slides-1_1920_395

Nel recente passato, un fattore chiave per lo sviluppo della moderna società industriale è stato l’inclusione di discipline quali la matematica, la fisica, la biologia e la chimica come materie obbligatorie nella scuola secondaria, con un’introduzione ad esse già dalla primaria.
Lo scopo non era quello di far diventare tutti gli studenti dei matematici, dei fisici, dei biologi o dei chimici. La società aveva riconosciuto la necessità che ogni cittadino conoscesse i concetti di base di queste scienze: non c’è tecnologia né competenza economica senza la matematica, non c’è ingegneria senza fisica e chimica, non c’è medicina senza biologia, non c’è diritto senza la logica. Questo continua ad esser vero anche oggi, ma adesso è necessaria la conoscenza dei concetti base di un’ulteriore disciplina scientifica autonoma: l’informatica.
Ma perché proprio l’informatica? Nella società contemporanea, in cui la tecnologia dipende in misura fondamentale dall’informatica e la presenza dei calcolatori (computer) diventa pervasiva, avere familiarità con i concetti di base dell’informatica è un elemento indispensabile del processo di formazione delle persone.
Ma in realtà le motivazioni sono molto più profonde: il modo di lavorare è stato radicalmente trasformato dall’introduzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La riduzione esponenziale dei tempi di trasmissione delle informazioni attraverso i computer e le reti, e la capacità quindi di poter lavorare insieme ad altri senza limiti legati alla localizzazione in luoghi distanti dei colleghi ha infatti posto nei luoghi di lavoro una maggiore enfasi proprio sulla collaborazione e sulla comunicazione tra colleghi e con soggetti esterni all’azienda. Ma lavorare “a distanza” ed in rete richiede un approccio diverso da quello accettabile per lavorare con una persona nella stanza a fianco.
Ciò impone quindi un ripensamento di quali siano le competenze di base che possano essere utili oggi a chi lavorerà domani.
Il “pensiero computazionale” è certamente una di queste ed i benefici dell’apprendimento delle sue tecniche si estendono a tutte le professioni. Avvocati, insegnanti, dirigenti di azienda, psicologi, architetti, medici, funzionari di amministrazioni – solo per citarne alcune – ogni giorno devono affrontare problemi complessi; ipotizzare soluzioni che prevedono più fasi e la collaborazione con altri colleghi o collaboratori; formulare una descrizione chiara di cosa fare e quando farlo. In poche parole, progettare e redigere una procedura più o meno formale per collaborare con altri.
Ma queste competenze sono proprio quelle che in maniera naturale ed empirica acquista chiunque cominci ad avvicinarsi alla programmazione dei calcolatori. Al coding, in parole povere.
Programma il Futuro, il progetto che il MIUR ha lanciato nel 2014 con il Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica, sta ottenendo un notevole successo nelle scuole di ogni ordine. Con oltre 300.000 studenti coinvolti, si tratta di uno degli interventi didattici sulle competenze digitali di maggior successo di sempre. Un progetto che è riuscito ad ottenere l’attenzione della politica sull’esigenza di introdurre tali competenze in maniera strutturata nei programmi di studio, come dimostrato dal successo del Convegno organizzato il 15 settembre alla Camera dei Deputati dai parlamentari dell’Intergruppo per l’Innovazione alla presenza della Presidente Laura Boldrini e del Ministro Stefania Giannini. Noi speriamo che questa esperienza possa essere utile nella definizione di nuovi curricula in grado di favorire lo sviluppo di quelle competenze logiche e relazionali sempre più necessarie nel mondo del lavoro di oggi. Se volete provare, non c’è che andare subito ad iscriversi su programmailfuturo.it .
Buon divertimento!

Giorgio Ventre, Università Degli Studi Di Napoli Federico II