Bagnoli e le ambizioni di futuro metropolitano

Napoli è stata per molto tempo una grande realtà europea, oggi è una grande realtà difficile. La sua identità è in vistose permanenze, ma anche nel progressivo degrado che da metropoli straordinaria la sta riducendo a minimi inediti. Napoli continua a perdere ruoli, attività, significati di rilievo internazionale e nazionale: sembra ineluttabilmente ridimensionarsi. Il trend degli ultimi decenni, privo di utili “scosse”, mostra assetti tendenziali preoccupanti.

Cinquant’anni fa la cultura urbanistica invitava al decongestionamento della fascia costiera della Campania (vedi lo studio Novacco/Rossi Doria – 1957, poi la proposta Capobianco/Sbandi/Pica Ciamarra/Pieraccini – 1964 per l’Istituto di Studi per la Programmazione Economica (SPE) coordinato da Franco Archibugi per conto del Ministero del Bilancio). Cinquant’anni fa, a scala internazionale, la cultura urbanistica aveva anche superato la temperie dei Centri Direzionali: ma nell’agosto 1964 il Consiglio Comunale di Napoli decise di realizzare proprio nella “fascia costiera” un enorme Centro Direzionale, oggi privo di funzioni direzionali di livello nazionale.

Napoli-Città Metropolitana si è da poco data uno Statuto, allo stato più attento ai rapporti di potere che predisposto ad esaltarne potenzialità e risorse straordinarie; quindi che ancora non coglie opportunità che dovrebbero essere insite nella sua istituzione. Comunque Napoli sta realizzando una rete ferroviaria metropolitana di eccezionale interesse, con qualità inedite a livello mondiale; in prospettiva potrà avvalersi degli sviluppi del lungimirante progetto di “sistema metropolitano regionale della Campania”; a breve, grazie all’Alta Velocità, risulterà collegata in 45 minuti alla Città Capitale. La nuova dimensione della città dovrebbe portare a ripensare e innovare i suoi programmi, con agilità e riflessiva velocità.

Sintomatico il caso Bagnoli. Oltre vent’anni dissipati: a partire dal “Preliminare di Piano” del 1991, allora duramente contestato per indici edificatori di quest’area, ritenuti eccessivi, ma poi incrementati nel Piano ancora oggi in vigore e confinato in impropri limiti comunali.

L’ottica della Città Metropolitana impone anche per Bagnoli nuove ipotesi, attente ad un territorio da poco incluso dalla Protezione Civile nel perimetro della cosiddetta “zona rossa” dei Campi Flegrei, il che esclude nuove residenze e certo non spinge ad usi intensivi. Inoltre in Italia sta per mettersi fine al “consumo suolo” e si è sempre più convinti che nelle aree urbane sia molto positiva la compresenza di spazi per attività primarie. Ragionando quindi a scala metropolitana, forse nuovi grandi parchi urbani vanno prioritariamente previsti nella “corona di spine” (come Francesco Saverio Nitti definiva la conurbazione che già cent’anni fa soffocava la città); sono cioè più opportuni nell’entroterra che all’interno degli anacronistici limiti dell’attuale Comune di Napoli.

Perché allora non valutare l’ipotesi di convertire in area agricola gli ampi spazi delle aree industriali dismesse a Bagnoli? magari prevedendo anche attività di trasformazione agricola, quindi produttive? Peraltro le limitazioni ambientali e paesaggistiche -ed i forti vincoli della “zona rossa”- non fanno prevedere significativi contributi da oneri edilizi: tutto allora deve essere intelligentemente semplice. Di conseguenza, perché il programma per Bagnoli abbia fattibilità economica, occorre limitare il costo delle infrastrutture: non ha senso quanto è negli attuali strumenti urbanistici, occorre evitare costose linee metropolitane a quaranta metri di profondità, magari avvalersi di tram senza fili.

Discorso diverso per il breve tratto di costa fra il costone di Posillipo e Bagnoli. Non c’è alcuna esigenza di tornare alla Mappa del Duca di Noja: fattori naturali ed antropici hanno sempre spinto molte città di mare -Napoli fra queste- a modificare la linea di costa. Gli oltre 200km complessivi della costa di Napoli-Città Metropolitana -in particolare il tratto che include Nisida / Coroglio / Bagnoli- sono una importante risorsa per il benessere degli abitanti. Su questo tema è indiscussa la priorità ambientale e paesistica. Ricordo l’intelligente impostazione data da Bruno Zevi al concorso per Bagnoli bandito nel 1992 dal Comune di Napoli con consulenza INARCH (avviato, poi ritirato per proteste corporative) che portava economisti ed architetti provenienti da tutto il mondo a confrontarsi su ipotesi morfologiche e diversi modi di “costruire il paesaggio”, senza aprioristici limiti o vincoli funzionali.

Sono più di venti anni che nell’area di Bagnoli c’è Città della Scienza: realtà straordinaria e decisamente anomala in un contesto che continua a perdere attività di rilievo nazionale o internazionale. Creata quasi dal nulla -interpretando le potenzialità, la creatività, la forza culturale non sopita di un contesto in apparenza diverso- Città della Scienza è una realtà di considerevoli dimensioni, soprattutto in continuo sviluppo: ha sempre dimostrato di saper individuare e di riuscire quasi miracolosamente a realizzare programmi sempre più ambiziosi. Città della Scienza è un raro esempio per come Napoli-Città Metropolitana possa invertire l’attuale tendenza al degrado dotandosi di funzioni significative e di scala nettamente superiore a quella regionale.

Non bastano lo straordinario patrimonio archeologico, l’eccezionale concentrazione di siti UNESCO o condizioni storiche e paesaggistiche inusuali; non bastano singole personalità di rilievo nelle arti, nella musica, nel cinema, nel teatro, nelle scienze o altrove. Tutti gli indicatori classificano oggi Napoli fra le ultime città italiane per qualità della vita. Eppure è fra le tre Città Metropolitane italiane di grande dimensione ed è unica fra queste a disporre di un sistema portuale forte, certo da ripensare, ma altamente significativo nel Mediterraneo. Fra le Città Metropolitane europee, Napoli è anche fra quelle con più forte densità abitativa: se ci si affranca dai modelli abituali, l’eccezionale densità può aprire scenari di grandissimo interesse.

Il Governo nazionale, poiché Napoli-Città Metropolitana è una grande risorsa per l’intero Paese, dovrebbe contribuire a far sì che in questa realtà -ormai marginale anche sotto il profilo bancario e del credito- trovino interesse a localizzarsi attività direzionali e decisionali di rilievo; dovrebbe azzerare burocrazie pleonastiche e procedure paralizzanti; dovrebbe favorire velocità e ponderazione.

Soprattutto però è a livello locale che c’è esigenza di “riarmo morale”. Qui occorre una politica che faccia leva sull’istruzione e sulla conoscenza, che renda evidente l’anacronismo degli atavici individualismi, che spinga a far comprendere che solo aggregazioni di massa critica idonea -unita a propensioni innovative ed idee apparentemente utopiche- possono raggiungere obiettivi rilevanti. Occorre soprattutto evitare che Napoli pensi solo a se stessa, che voglia rigenerarsi solo in funzione degli abitanti residenti: una città non si misura per il numero di abitanti, ma sull’entità e sulla qualità dei flussi di ogni tipo che l’attraversano.

Per determinare questo “passaggio di stato” -del tipo di quelli per i quali la materia è solida o liquida o gassosa- occorre agire con acuta lucidità sull’ancora recente Statuto metropolitano. Nella “grande Napoli” va determinata coscienza e consapevolezza dell’opportunità di nuove aggregazioni; che ogni parte è essenziale, ma che non ha senso esaltarne l’autonomia; e che per ogni parte è conveniente contribuire alla formazione di un insieme fortemente relazionato, in grado di attrarre e così tornare ad essere significativo quantomeno nel contesto europeo e mediterraneo.