La Città metropolitana di Napoli e lo sviluppo produttivo dell’area: interrogativi ed ipotesi

La Città metropolitana è stata finalmente istituita per effetto della legge Delrio. La novità non sembra aver inciso nelle consapevolezze correnti, al di là degli ambienti ristretti direttamente coinvolti, probabilmente perché sui cittadini pesano di più i problemi del declino economico della città e della regione. Si può tentare di mettere in relazione l’una e gli altri?


Com’è noto, nel passato lontano l’economia di un comprensorio viveva su un rapporto fra città e contado che si sostanziava della distinzione/interazione fra lo svolgimento nel contado delle produzioni agroalimentari e la concentrazione in città dei servizi, includenti gran parte dell’allora “nuovo” artigianato urbano. Con la rivoluzione industriale la città attrasse, nelle sue fasce periferiche, pure la grande produzione manifatturiera, conservando tuttavia, fino al secondo dopoguerra, una definita riconoscibilità, un confine. Ed anche con la successiva grande crescita dei suburbi che erodevano i confini dell’urbano, continuò a valere una prevalente correlazione fra città e servizi, da un lato, e hinterland e produzione, dall’altro.

Come si presenta oggi il tema, con la incontrollata dispersione edilizia in atto e con la sostituzione del modello metropolitano a quello urbano?

Forse conviene condurre una breve ricognizione – anche in riferimento a Napoli e al meridione – dei caratteri del modello. Non sono cambiate solo le dimensioni di riferimento, ma anche la configurazione materiale: le odierne aree metropolitane comprendono territori assai estesi e disordinati, nei quali si succedono e si intrecciano insediamenti (fortemente disomogenei sotto il profilo funzionale, morfologico e sociale) e superstiti brani rurali, talvolta cospicui, nonché grandi attrattori specialistici “puntiformi” (centri commerciali, poli della ricreazione …). Territori innervati da reti stradali gerarchizzate, piuttosto fitte, e più rade trame ferroviarie; e percorsi da flussi di traffico, specie automobilistico, relativamente poco polarizzati nel tempo e, in certo qual modo, nello spazio. La mobilità metropolitana, infatti, anche per i mutamenti dei rapporti di lavoro (precarietà, part time, “partite Iva”, telelavoro), non è più scandita da un omogeneo ritmo alterno di punte di carico e di stanca in rapporto agli orari rigidi del sistema produttivo basato sull’universalità del lavoro dipendente. E cresce contestualmente la quota di persone che non rintraccia più nel quartiere o nel comune di residenza l’orizzonte entro cui soddisfare le proprie esigenze di vita. Senza contare che una parte non marginale del tempo libero viene ormai impiegato nel percorrere per il percorrere il territorio metropolitano.

Nelle prime fasi della perdita dei confini le attività industriali si erano distribuite, spesso disordinatamente, nei contesti metropolitani secondo convenienze occasionali. Nello stato di cose attuale, la deindustrializzazione – verificatasi massicciamente in tutte le conurbazioni meridionali – ha introdotto ulteriori elementi di disordine, perché i vuoti che ha determinato sono divenuti nell’immediato fattori di degrado e, in modo più mediato ma assai casuale, oggetto di programmi occasionali e disomogenei di valorizzazione che hanno, al di là della loro effettiva concretezza, innescato nei contesti locali tensioni svariate, ancora una volta ancorate a logiche asfittiche di rendita immobiliare.

Ci sono anche per questo seri interrogativi da porsi in rapporto all’economia dell’area metropolitana di Napoli, forse interpretabile anche come riferimento esemplare per le analoghe “aree metropolitane” meridionali. Possono bastare alla sua vitalità le produzioni agricole e le residue produzioni industriali? Di fronte ad una risposta evidentemente negativa, è consueto proporre di puntare sul turismo. La cosa è fondata: non abbiamo prospettive di sviluppo basate su esportazioni di massa, è invece sensato proporre di importare la domanda di beni e servizi localizzati. Ma occorre in proposito selezionarei tipi e i segmenti di domanda, in modo da progettare ed attuare le necessarie forme organizzative endogene: ricettività e servizi complementari per la domanda turistica di visita/conoscenza del patrimonio artistico e paesaggistico; attrezzature per la fruizione “esperienziale” delle attività di produzione culturale (musica, teatro, comunicazione); attrezzature e servizi per l’alta formazione e il trasferimento dell’innovazione.

È però assolutamente necessario promuovere anche una vera e propria reindustrializzazione, puntando su unità produttive diffuse, medie e medio-piccole, basate su energie rinnovabili e su tecnologie avanzate. Anche in questo caso attivando politiche propedeutiche complesse, per la formazione, per la riforma della pubblica amministrazione, per la contemporanea riqualificazione dei modelli di consumo (consumi sociali versus consumi individuali) e per la conseguente politica dell’ambiente (contenimento dei rifiuti, lotta agli inquinamenti).
In rapporto a tali questioni, la neo-istituita Città metropolitana, dotata di risorse economiche scarsissime e di poteri assai vaghi in materia di sostegno all’economia, può fare qualcosa di rilevante? Sembrerebbe di no, a prima vista. Si possono tuttavia proporre ipotesi diverse, in considerazione soprattutto delle preminenti competenze di governo del territorio poste in capo alla nuova istituzione locale.

Quali linee strategiche in materia potrebbero essere utilmente innescate da parte delle iniziative della Città metropolitana? La priorità assoluta, in rapporto anche ai processi “spontanei” in atto, spetta alla tutela, riqualificazione e valorizzazione del patrimonio ambientale, che include tanto i beni storico-culturali quanto i territori non artificializzati. Finora l’azione istituzionale si è manifestata in misura preponderante attraverso la mera apposizione di vincoli discontinui: la Città metropolitana potrebbe finalmente lanciare invece una politica sistemica di conservazione attiva, fondata sulla manutenzione e sulla riqualificazione indispensabili per praticare concrete forme di valorizzazione sociale del patrimonio.

Sul versante pubblico, questo significa ottenere dallo Stato e dalla Regione quote crescenti di stanziamenti per il risanamento idrogeologico, per il restauro dei beni architettonici, per l’assestamento naturalistico degli ambiti protetti, per il sostegno ad una riqualificazione polifunzionale delle attività coltivatrici. E contestualmente questo significa costruire forme sinergiche di cooperazione istituzionale con la Regione e i Comuni per una efficace azione di riassetto policentrico del sistema insediativo che progressivamente trasformi la disordinata e squilibrata conurbazione in una rete di città medie, legate da rapporti di complementarità integrata.

Sul versante degli investimenti privati, cruciali in questa fase dell’economia, questo significa proporre scenari convincenti per la credibile remuneratività non più di operazioni speculative di sfruttamento della rendita urbano-immobiliare, bensì di iniziative imprenditoriali produttive nel turismo – anzi, nei turismi –, nella mobilità collettiva, nella attivazione di servizi avanzati, nell’insediamento in localizzazioni attrezzate di impianti industriali innovativi ecologicamente compatibili. E significa anche dimostrare la convenienza, generale e specifica, a riconvertire il settore delle costruzioni in direzione della rigenerazione urbana, che richiede più alte professionalità, più qualificati livelli di management, nonché innovazioni di processo e di prodotto, ma determina flussi economici durevoli e produce benefici ambientali e sociali imponenti.

A tutto ciò la Città metropolitana può fortemente contribuire esercitando in modo adeguato proprio le sue competenze in materia di governo del territorio, attraverso una interpretazione avanzata ed innovativa della pianificazione urbanistico-territoriale. Il piano metropolitano, infatti, dovrà saper coniugare direttive ed indirizzi di area vasta, rivolti a istituzioni pubbliche, organizzazioni sociali ed aziende, con cogenti scelte dispositive locali di ambito intercomunale. Ma la Città metropolitana potrà conseguire esiti proficui solo al seguito di un consistente dialogo di merito, intenso e permanente, con tutti i soggetti pubblici e privati: uno straordinario impegno, da affrontare con senso di responsabilità e spirito inventivo insieme.