Sud d’Italia. Una risorsa per la ripresa

Domenica 27 dicembre, la “questione meridionale” è in prima pagina su La Repubblica con un’”articolessa” di Eugenio Scalfari. Il lunedì precedente, 21 dicembre, la “questione meridionale” era in prima pagina su Il Corriere della Sera, con un editoriale di Ernesto Galli della Loggia.

Buon segno. I due maggiori quotidiani italiani cercano di rompere il lungo silenzio che (da almeno trent’anni, come nota Scalfari) è calato sulla questione irrisolta della storia italiana: lo sviluppo del Mezzogiorno.

Il merito principale di questo ritorno di attenzione è dovuto quasi per intero al “grido di dolore” che l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ) ha lanciato con il suo ultimo rapporto: il Sud è alla deriva. Il distacco delle regioni meridionali dal resto d’Italia e d’Europa è ormai enorme. Tanto che qualcuno sostiene sia al limite della irreversibilità. Dovesse continuare questo silenzio, scrive il Presidente di SVIMEZ, Adriano Giannola, in un libro di cui parleremo tra poco: tra pochi anni, nel 2040, ci accoreremo che il Mezzogiorno è svanito, «senza clamore, per eutanasia».

Rompere il trentennale silenzio sulla irrisolta “questione meridionale”, sembrano concordare tanto Eugenio Scalfari ed Ernesto Galli della Loggia quanto Adriano Giannola, è dunque condizione necessaria per evitare la morte in un “flebile lamento” del Mezzogiorno d’Italia. Condizione necessaria, ma non sufficiente. Non basta essere consapevoli e persino gridare che il re è nudo. Occorre anche rivestirlo e restituirlo alle sue funzioni. Occorre, fuor di metafora, un piano che eviti al Mezzogiorno il suo triste destino. Occorre riproporre in termini nuovi l’antica “questione meridionale”.

Eugenio Scalfari d Ernesto Galli della Loggia hanno suggerito, in maniera più o meno esplicita, questa seconda necessità. Ma non l’hanno declinata. Non hanno indicato la strada possibile per evitare che il Mezzogiorno prosegua nella sua deriva.

Adriano Giannola, invece, ha scritto un libro in cui non solo denuncia il colpevole silenzio sulla deriva del Mezzogiorno, ma indica anche la strada per riprendere la rotta verso un porto sicuro. Il libro si intitola, un po’ a sorpresa, Sud d’Italia. Una risorsa per la ripresa (Salerno Editrice, Roma, 2015, pagg. 108, euro 8,90) e dopo un’efficace ricostruzione storica dell’origine e dell’evoluzione del dualismo tra Settentrione e Meridione d’Italia indica come “costruire il futuro”.

Adriano Giannola guarda al Sud non solo come a un pezzo d’Italia alla deriva, ma anche come a una risorsa per la ripresa dell’intero paese. È piuttosto significativo che questa visione che non sia stata sottolineata da Scalfari e da Galli della Loggia, mentre è stata fatta propria negli articoli che Daniela Palma e Sergio Ferrari hanno pubblicato sulla nostra rivista. Questa differenza segna il grado di consapevolezza che gli intellettuali italiani hanno oggi del problema.

C’è chi pensa che il Sud sia il vagone piombato di un treno-Paese che impedisce alla locomotiva, il Nord, di correre a briglia sciolta. Adriano Giannola cita un intellettuale autorevole, come Massimo Cacciari, che pone la “questione settentrionale” in questi termini: «il peso che il Nord deve sostenere per i conti generali del Paese è un dato oggettivo […] perché lì “al Sud”, una grande fetta dell’economia è in mano alla criminalità […]. O si ricomincia dalla locomotiva o non c’è ripresa. Mica i vagoni possono portare avanti il Paese […] e allora cerchiamo di non strozzare la gallina». In altri termini, risolviamo la “questione settentrionale” e poi, vedrete, anche il Sud sarà trascinato verso lo sviluppo.

C’è chi pensa che le due questioni, quella settentrionale e quella meridionale, siano collegate e che siano aspetti di una più generale “questione Italia”. Anche se poi stentano a definire cosa sia questa “questione italiana”.

Ma pochi sostengono – come fa Giannola nel suo libro (ma anche Palma e Ferrari nei loro articoli) – che il Sud sia una “risorsa” – sia “la” risorsa – per la ripresa del paese. E, dunque, pochi affermano la centralità della “questione meridionale”.

Nel suo libro, come abbiamo detto, Adriano Giannola ripercorre la storia el dualismo Nord/Sud, con rapide ma efficacissime pennellate. Torneremo in un altro momento su questa ricostruzione, illuminante. Prendiamo in considerazione, ora, la parte di analisi che riguarda il presente e la parte progettuale: come costruire il futuro. Il futuro dell’Italia, beninteso, non solo della sua parte meridionale alla deriva.

L’analisi lega alcuni fatti.

  1. La “questione italiana” non è contingente e non nasce con la crisi finanziaria mondiale del 2007. L’Italia è in una fase di declino relativo, che secondo Giannola dura da vent’anni e secondo noi da almeno trenta. Sono due, anzi tre, decenni pieni che l’Italia corre meno degli altri paesi europei, per non parlare di quella dozzina di paesi cosiddetti a economia emergente dell’Asia sud-orientale (Cina in testa) e di altri paesi sparsi in America Latina e persino in Africa e nel Medio Oriente dilaniato da infinite guerre.
  2. La crisi italiana è strutturale. E ha origine nella specializzazione produttiva del sistema paese. La nostra specializzazione produttiva è nei beni a media e bassa tecnologia e nei servizi a medio e basso tasso di conoscenza aggiunto. Con la cosiddetta “nuova globalizzazione” e l’entrata sulla scena dell’industria e del commercio mondiale di paesi con un basso costo del lavoro, il modello di produzione italiano, da alcuni definito “senza ricerca”, è entrato inevitabilmente in crisi.
  3. La risposta del sistema Italia alla “nuova globalizzazione” è stata ed è tuttora miope. Si è pensato di conservare il vecchio modello produttivo e di accettare la sfida dei paesi meno avanzati cercando di agire sul costo del lavoro (stipendi minori, maggiore flessibilità, erosione dei diritti) invece di cercare di cambiare specializzazione produttiva e accettare la sfida dei paesi più avanzati nei settori a maggior tasso di conoscenza aggiunto. Gli effetti di questa scelta, messi in luce da Giannola, sono stati devastanti: sul piano economico hanno prodotto la desertificazione industriale del Mezzogiorno e la diminuzione del mercato interno, determinando un avvitamento della crisi; sul piano sociale e politico hanno prodotto una “narrazione artefatta e consolate”: l’idea che il rallentamento del treno Italia fosse prodotto dal Sud incapace e in mano alla criminalità. Di qui una serie di politiche tese a “sganciare” il vagone piombato, abbandona dolo al suo destino, e a “liberare” la locomotiva del Nord.
  4. Queste politiche hanno prodotto un avvitamento della crisi. Il Sud è diventato un deserto industriale, il reddito è stato attaccato, la povertà è aumentata, l’ambiente si è degradato, i giovani (i pochi giovani) laureati o comunque qualificati sono emigrati. Nel medesimo tempo le aziende del Nord hanno non solo tenuto a fatica il passo con quelle dei paesi di nuova industrializzazione, ma hanno assistito alla caduta del mercato interno.

Come si interrompe questa crisi che si è avvitata su se stessa? Adriano Giannola propone una ricetta – un piano industriale – che solo agli occhi di chi non ne ha compreso la natura appiano spiazzanti.

  1. Capire finalmente che siamo entrati nella società della conoscenza. E che solo la capacità di competere nei settori ad alto tasso di conoscenza (scientifica ma anche non) può rilanciare la nostra economia.
  2. Considerare il Sud non come il vagone piombato del treno Italia, come un pozzo senza fondo che assorbe le ricchezze prodotte al Nord (analisi che, peraltro, non ha fondamento alcuno), ma come “la” risorsa per la ripresa.
  3. Giannola individua anche tre settori in cui il rilancio degli investimenti al Sud può tradursi in un fattore importante di ripresa per l’intero Paese: il settore energetico; la logistica a valore; il territorio.

COP 21, la recente Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici tenuta a Parigi, ha ormai dichiarato irreversibile la transizione dai combustibili fossili alle fonti di energia rinnovabili e carbon free. Ne deriva che il solare, l’eolico, la geotermia sono le fonti del futuro. E il Sud d’Italia è nella condizione di produrre energia da queste fonti, regalando all’intero paese una maggiore autonomia energetica.

Il Mezzogiorno d’Italia è un grande porto al centro del Mediterraneo, ovvero del mare a più alta intensità di traffico commerciale del mondo. Con l’ampliamento del Canale di Suez il traffico navale nel Mediterraneo è destinato a aumentare. In particolare sono destinati a aumentare i traffici con Cina e India. Il Mezzogiorno, lavorando con un’ottica sistemica, può (anzi, deve) proporsi come snodo principale di questi traffici.

Giannola ritiene, infine, che la rigenerazione urbana ed ambientale sia la terza opportunità per il Mezzogiorno. Rigenerazione significa rilancio di un’edilizia di qualità e non di quantità; ma anche nuova industrializzazione (industrie della conoscenza). Le città meridionali nel primo decennio del XXI secolo hanno perso il 3,3% della popolazione, mentre quelle del Nord hanno fatto registrare un incremento del 4,8%. Ulteriore sintomo di un depauperamento economico e culturale. Le città del Sud devono essere il centro di una nuova industrializzazione, di un nuovo “piano del lavoro” che comprenda e integri l’intero territorio.

È dalle risposte che la classe dirigente nazionale (politica, ma non solo politica) ma anche europea saprà dare alle domande poste dalla “questione meridionale” sapremo, conclude Giannola, «come sarà, se ci sarà, questa nuova Italia». Perché oggi più che mai è valido l’ammonimento di Giustino Fortunato: «il Mezzogiorno, sappiatelo pure, sarà la fortuna o la sciagura d’Italia!».