I 70 anni del Bulletin of the Atomic Scientists

Tre minuti. È questo il (brevissimo) tempo che ci separa dalla catastrofe nucleare. A gennaio 2015, la lancetta dell’«Orologio dell’apocalisse», il simbolico segnatempo del Bulletin of the Atomic Scientists (Bas) che indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare, ha raggiunto lo stesso livello del 1984: in piena guerra fredda.

Il “Doomsday Clock”, creato due anni dopo lo scoppio della prima bomba atomica, dai fisici che parteciparono al progetto Manhattan, è il simbolo più rappresentativo del pericolo nucleare. Da quel momento, quasi 70 anni fa, è stato regolato solo 22 volte.

Così il Bas compie un traguardo importante. Ancor più, se consideriamo il clima politico mondiale e gli ultimi avvenimenti che vedono tristemente protagonisti gli armamenti nucleari.

Dall’ultimo numero del Bulletin, per festeggiare il vicinissimo settantesimo compleanno della rivista, ecco l’editoriale di John Mecklin, Direttore del Bas.

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Tratto da: Bulletin of the Atomic Scientists – November/December 2015 vol. 71 no. 6, 1-3. Qui l’originale.

Al suo 70° compleanno, il Bulletin guarda avanti

di John Mecklin

Il primo numero del Bollettino era un piccolo volumetto che ottenne scarso riscontro, poco perfino per il 1945. Era più simile a una newsletter, che a una rivista o un giornale (Bulletin of the Atomic Scientists of Chicago, 1945).

Ma sin dalla sua nascita 70 anni fa, quello che era conosciuto inizialmente come il Bulletin of the Atomic Scientists of Chicago mirava in alto. L’articolo principale in quel primo numero sfruttò il quarto anniversario dell’attacco giapponese a Pearl Harbor come un punto di partenza per argomentare non a favore di un continuo stato di allerta militare, ma l’internazionalizzazione del controllo delle armi nucleari.

Il 10 dicembre 1945, a pochi mesi dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli americani quasi certamente non erano disposti a rinunciare alla gestione delle “magiche armi”, allora considerate meritevoli di aver messo fine alla guerra. Ma, gli scienziati che avevano creato quelle prime bombe atomiche sapevano che erano diverse da tutti gli armamenti concepiti in precedenza. I fisici del progetto Manhattan erano consapevoli che, per la prima volta, gli esseri umani avevano raggiunto la capacità di innescare l”Armageddon” e mettere fine alla civiltà. Volevano perciò mettere in guardia i capi di governo, e i semplici cittadini, del pericolo globale insito in queste nuove armi, nella speranza di favorire quello che Einstein chiamava “un nuovo modo di pensare”, che avrebbe potuto prevenire una catastrofe finale e radioattiva (New York Times, 1946:11).

All’inizio di quest’anno, ho introdotto (Mecklin, 2015) un numero speciale (Bulletin of the Atomic Scientists, 2015) che riconsidera la storia che venne fuori da quella prima pubblicazione del Bollettino. È una storia davvero notevole, in cui un numero enorme di eminenti scienziati, specializzati in un’ampia gamma di campi diversi, si dedicavano innegabilmente all’interesse pubblico – assicurare l’esistenza della razza umana – spesso mettendosi in grande pericolo professionale. La documentazione degli interventi, scritti e parlati, nel pubblico interesse di Albert Einstein, Hans Bethe, Leo Szilard, Edward Teller, J. Robert Oppenheimer, e Mikhail Gorbachev e molti altri deve essere rivisto e ricordato, e io raccomando quel primo numero ai lettori che lo hanno perso.

Con questo numero finale del 2015, tuttavia, il Bulletin guarda oltre i suoi primi sette decenni di pubblicazioni per affrontare un futuro che non includerà solo una continua ed estesa minaccia di una catastrofe termonucleare, ma anche una serie di altri pericoli globali, tra cui il cambiamento climatico, il potenziale abuso dei progressi della biologia sintetica, informazioni tecnologiche e l’intelligenza artificiale. Per descrivere le terribili minacce che l’umanità dovrà affrontare, ho chiesto ad alcuni dei migliori intellettuali di oggi di sondare i pericoli nel prossimo (e talvolta non così prossimo) futuro.