La scienza e la sfida alimentare

Expo 2015 ha avuto l’indubbio merito di portare o, meglio, riportare le problematiche riguardanti l’alimentazione e la sicurezza alimentare al centro dell’attenzione dei mezzi di comunicazione e del grande pubblico. Queste problematiche sono complesse e richiedono di essere affrontate con interventi integrati che comprendano misure di natura tecnologica, politica, sociale, economica e finanziaria1. La scienza può comunque, e quindi deve, contribuire ad affrontare la sfida alimentare, prima di tutto offrendo gli elementi di analisi della situazione attuale e di previsione degli scenari futuri, in modo da fornire a livello politico gli elementi necessari per la formulazione di politiche appropriate. In secondo luogo, la scienza è chiamata a espandere le conoscenze e a permettere quindi lo sviluppo delle innovazioni tecnologiche che, opportunamente integrate alle altre misure, possano fornire soluzioni sostenibili. Quest’articolo si propone di contribuire alla comprensione della sfida alimentare e di discutere il possibile apporto della scienza.

 

I termini della sfida alimentare

Almeno cinque fattori strettamente interconnessi hanno modificato negli ultimi cinquant’anni e ancor più modificheranno nel futuro la quantità e la qualità di cibo richiesti dai consumatori. Il primo fattore è l’aumento del numero di consumatori: la popolazione mondiale è più che raddoppiata (+220%) negli ultimi cinquant’anni e dagli attuali 7 miliardi passeremo nel 2050 a 9 miliardi e mezzo di persone2. Secondo il World Resources Institute 3, la domanda globale di alimenti raggiungerà nel 2050 la quota di 16.000 trilioni di chilocalorie per anno, considerando sia le calorie di origine vegetale consumate direttamente per l’alimentazione umana, che quelle usate come mangimi per gli animali, come sementi e come materie prime per usi industriali e per la produzione di biocarburanti.

Il secondo fattore è determinato dal fenomeno dell’urbanizzazione e dalle conseguenti profonde trasformazioni socio-culturali: nel 2050 circa i due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle città, contro il 50% di oggi4. Le popolazioni urbane, ivi compresi gli strati più poveri, sono maggiormente esposte delle popolazioni rurali alla pubblicità di alimenti trasformati e confezionati ricchi in zuccheri e grassi5, e avendo una maggiore possibilità di acquisirli, possono essere indotte a cambiare le proprie abitudini alimentari. Il terzo fattore consiste nella costante crescita del reddito medio: si prevede che il PIL (Prodotto Interno Lordo) dei Paesi in via di sviluppo sarà nel 2050 quasi di dieci volte superiore a quello del 20056 e che il PIL pro capite crescerà di 6,6 volte. Pur se la nuova ricchezza prodotta non è riparita in maniera equa, la prevalenza della povertà (definita come percentuale di persone che vivono con meno di 2 US$ per giorno) è diminuita dal 69% al 51% tra il 1988 e il 2008, mentre la prevalenza della povertà estrema (percentuale di persone che vivono con meno 1,25 US$ per giorno) è scesa dal 45% al 27% nello stesso periodo7. Si prevede che la diminuzione della povertà manterrà almeno lo stesso ritmo anche nel futuro. Secondo la legge di Engel, i consumatori tendono ad aumentare la loro spesa in prodotti alimentari in modo meno che proporzionale rispetto all’aumento del loro reddito, ma comprano comunque più prodotti alimentari e spostano le loro preferenze verso quelli più “ricchi”.

Il quarto fattore è rappresentato dall’invecchiamento della popolazione: presumibilmente nel 2050 il 20% della popolazione mondiale avrà superato i 65 anni, e quasi il 15% sarà composto da ultrasessantenni, mentre nel 2000 queste categorie di età raggiungevano solo il 10% e il 7% rispettivamente8.

Il quinto e ultimo fattore è dato dall’aumento del livello medio d’istruzione: nel 2050 la percentuale di persone sopra i 15 anni con istruzione secondaria o superiore avrà raggiunto quasi l’80%, sostanzialmente uguale per maschi e femmine, mentre nel 2010 non raggiungeva il 70% per gli uomini ed era sensibilmente inferiore per le donne9.

Le preferenze alimentari sono ovviamente influenzate anche da altri fattori culturali, religiosi e sociali. La domanda alimentare mondiale si è quindi accresciuta in maniera molto consistente ed è profondamente cambiata: è diminuita la quota di cereali e alimenti di base a favore di ortaggi, frutta, carne, uova, pesce e prodotti lattiero-caseari, alimenti certamente più nutrititi, ma anche caratterizzati da una maggiore impronta ambientale. Per esempio, tra il 1961 e il 2005 il consumo globale di uova è quintuplicato, e quello di latte quasi duplicato, mentre il consumo di carne è aumentato di tre volte e mezzo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo10. La FAO stima che la domanda globale di alimenti crescerà del 60% da qui al 2050, con punte del 100% nei Paesi in via di sviluppo. L’incremento della domanda globale di alimenti sarà causato per circa due terzi dall’aumento demografico e per il restante terzo dall’accresciuta ricchezza11.

Alla crescita della domanda alimentare il sistema agricolo mondiale, composto da 570 milioni di aziende agricole, ha risposto accrescendo l’offerta. Nel periodo 1961-2012 la produzione mondiale netta di alimenti si è all’incirca triplicata12. In particolare la produzione di cereali si è triplicata, quella di orticole quintuplicata, mentre la produzione di oleaginose è aumentata di quasi 8 volte (Figura 1). La produzione di alimenti di origine animale è aumentata in misura addirittura maggiore (Figura 2): la produzione di carne bovina e bufalina, di carne ovina e caprina e di latte è più che raddoppiata, mentre la produzione di uova è quintuplicata e quella di carne avicola si è accresciuta di quasi 12 volte. L’agricoltura mondiale produce ogni giorno una media di 19,5 milioni di tonnellate di cereali, di patate e altri tuberi e radici, di frutta e ortaggi, 1,1 milioni di tonnellate di carne e 2,1 miliardi di litri di latte. Ogni giorno il sistema agricolo mondiale mette a disposizione dei consumatori 23,7 milioni di tonnellate di cibo, per un valore totale di 7 miliardi di dollari. La produzione netta pro-capite ha raggiunto nel 2011 il livello di 2868 Kcal giornaliere

FAO Stat

 

La disponibilità teorica media di alimenti eccede quindi il fabbisogno alimentare medio, anche tenendo in conto le perdite che si verificano tra la raccolta dei prodotti agricoli e il loro consumo. La produzione alimentare è però distribuita in modo ineguale: nel biennio 2012-2014 quasi 805 milioni di persone, ossia più di una persona ogni nove, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, hanno sofferto la fame14. Le politiche di sicurezza alimentare adottate a livello internazionale e nazionale hanno permesso di ridurre il numero totale delle persone denutrite sia in termini assoluti (meno 209 milioni dal 1990-92), che in termini relativi (dal 23,2 al 13,5% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo nello stesso periodo) (Figura 3). Il risultato è stato quindi positivo, ma non sufficiente a eradicare un fenomeno moralmente inaccettabile ed economicamente deleterio. Inoltre, circa 2 miliardi di persone, pur assumendo un numero adeguato di calorie, sono affette da deficienze alimentari, per esempio di iodio, di vitamina A, di ferro o di altri microelementi.

L’altra faccia del problema della sicurezza alimentare è la sovralimentazione, che interessa circa 1,6 miliardi di persone sovrappeso, di cui 500 milioni sono obesi15. Il problema della sovralimentazione è particolarmente grave nei Paesi industrializzati, dove riguarda più del 40% della popolazione, ma è in aumento anche in molti Paesi in via di sviluppo (Figura 4).

Denutrizione

 

Impatto sulle risorse naturali

I sistemi agricoli si basano sull’uso di risorse naturali per la produzione di alimenti, si basano cioè sull’uso di suolo, inteso sia come superficie che come fertilità, di acqua, di energia e di biodiversità, oltre che sui fattori di produzione comuni al settore secondario, quali capitale, lavoro e innovazione. L’aumento della produzione di alimenti registrato nelle decadi passate è stato conseguito in parte mediante incrementi della produttività e in parte consumando più risorse naturali.

La superficie utilizzata per attività agricole (coltivazioni erbacee, piantagioni perenni, prati permanenti e pascoli) si è espansa tra il 1961 e il 2011 da 4,46 (34% della superficie emersa) a 4,91 miliardi di ettari (38% della superficie emersa). Se si escludono i deserti, i ghiacci perenni e gli specchi d’acqua, la superficie dedicata alla produzione di alimenti raggiunge oggi il 50% delle terre emerse16. L’incremento dell’area agricola è avvenuto soprattutto a spese di foreste e altri ecosistemi naturali. La concomitante crescita demografica, che ha visto la popolazione mondiale più che raddoppiata nel periodo considerato, ha drasticamente ridotto la superficie coltivata pro-capite, che è diminuita da 0,45 a 0,22 ettari17.

Un terzo delle terre coltivate è stato classificato come contraddistinto da suoli degradati o molto degradati, spesso a causa di pratiche produttive non sostenibili, quali il sovrapascolamento, la monocoltura, le eccessive lavorazioni, la non corretta gestione dell’irrigazione e dei nutrienti e la mancata restituzione di sostanza organica17.

Il consumo di acqua per usi agricoli ammonta a 2.710 Km3 al 70% del consumo totale. La produzione degli alimenti consumati ogni giorno da ciascuna persona richiede quindi circa 3.000 litri di acqua. La quantità di acqua estratta è pari a circa il 9% delle risorse idriche rinnovabili, ma questo dato è una media globale di livelli di sfruttamento tutt’altro che omogenei nelle diverse aree geografiche. In alcune aree, particolarmente nel Medio Oriente, nell’Africa settentrionale e nell’Asia centrale, lo sfruttamento delle risorse idriche è superiore alla reintegrazione naturale. La superficie agricola irrigata è più che raddoppiata nel periodo tra il 1961 e il 2009, passando da 139 a 301 milioni di ettari, e continua a espandersi dello 0,6% per anno. L’irrigazione contribuisce ad aumentare la produzione agricola per anno, pari ettaro di 2-3 volte rispetto alle terre non irrigate18, ma la crescente competizione esercitata dagli usi civili e industriali rende difficilmente ipotizzabile che la superficie irrigata continui a lungo a espandersi allo stesso ritmo. Le pratiche agricole non sostenibili hanno anche contribuito all’erosione della biodiversità19. Tra le specie vegetali coltivate, 900 sono considerate a rischio di estinzione e 14 sono irrimediabilmente estinte. La variabilità intraspecifica delle specie coltivate è in diminuzione a causa della sostituzione delle varietà tradizionali con poche varietà migliorate. Il 50% delle specie forestali sono minacciate o soggette a erosione genetica20. La deforestazione è comunque una delle più importanti cause di perdita della biodiversità considerato che le foreste ospitano circa tre quarti della biodiversità terrestre totale. Si stima che la distruzione di foreste pluviali delle aree tropicali causa l’estinzione di circa 100 specie per giorno. Il 20% delle 7.616 razze animali censite dalla FAO sono classificate come a rischio di estinzione mentre 690 sono già estinte21. Nonostante l’unanime riconoscimento della sua importanza strategica, anche la diversità di microrganismi e invertebrati è minacciata da molti fattori, compreso l’uso non razionale di fitofarmaci.

Gli aumenti di produttività della produzione agricola sono stati resi possibili anche da un’abbondante disponibilità di combustibili di origine fossile a prezzo relativamente basso, che ha permesso di espandere la meccanizzazione delle pratiche agricole, l’irrigazione, la produzione e l’uso di fertilizzanti e di altri prodotti chimici, e il trasporto e la conservazione di prodotti deperibili. I consumi diretti e indiretti di energia del sistema agroalimentare mondiale, ivi compresi le coltivazioni, gli allevamenti zootecnici, la pesca, la trasformazione industriale, la conservazione, la distribuzione e la cottura, assommano a circa 95 exajoule per anno, pari a circa il 30% dell’energia consumata a livello globale. Il sistema agroalimentare mondiale è responsabile quindi dell’emissione di 9,7 gigatonnellate di CO2.

 

Soddisfare in modo sostenibile la domanda di alimenti

L’attuale sistema alimentare riesce quindi a soddisfare la domanda globale di alimenti, ma non a eliminare la fame e gli altri squilibri alimentari. Incisivi interventi politici e sociali contro la povertà e l’emarginazione sociale possono promuovere una più equa distribuzione del cibo prodotto. Il miglioramento della produttività dei fattori di produzione può contribuire ad aumentare la disponibilità locale di alimenti e può concorrere ad accrescere il reddito dei piccoli agricoltori e a migliorarne il tenore di vita22.

La prevista espansione della domanda mondiale di alimenti e il cambiamento della sua composizione, unite al cambio climatico, esacerberanno ulteriormente la scarsità di terra coltivabile e delle altre risorse naturali su cui si basa la produzione agricola. Per affrontare la sfida di soddisfare in modo sostenibile la domanda di alimenti, si può agire su uno o su entrambi i lati dell’equazione: riducendo la domanda di alimenti, e/o aumentando l’offerta12. Per ambedue le opzioni, la ricerca scientifica e tecnologica può offrire un grande contributo.

Appropriate strategie di comunicazione, supportate da evidenza scientifica, possono incoraggiare l’adozione di diete più consone alle reali esigenze e quindi il contenimento della domanda totale, o indirizzare la domanda verso alimenti di origine vegetale o ottenuti da allevamenti animali a maggiore efficienza. Gli interventi volti alla riduzione di sprechi e perdite delle filiere di trasformazione e distribuzione di alimenti, pari a circa un terzo dell’intera produzione alimentare, che possono avere un impatto consistente23, richiedono un adeguato sviluppo di conoscenze e tecnologie.

Anche se le strategie di riduzione della domanda di alimenti fossero coronate da pieno successo, cosa tutt’altro che sicura, non sarebbero comunque sufficienti a equilibrare l’equazione domanda-offerta e persisterebbe quindi la necessità di aumentare la produzione alimentare, diminuendone al contempo l’impatto ambientale (Figura 5).

Impatto ambientale produzione alimenti

Per non ampliare ulteriormente la frontiera agricola e distruggere foreste ed ecosistemi naturali, si dovranno adottare pratiche agricole migliorate per ottenere significativi incrementi di produttività16 o, in altre parole, promuovere l’intensificazione sostenibile della produzione agricola. Si dovrà cioè applicare la combinazione dei fattori di produzione che minimizzi l’esternalizzazione dei costi di produzione, capitalizzando i processi ecologici degli agroecosistemi. Il principale fattore produttivo che deve essere ottimizzato è certamente il fattore immateriale delle conoscenze e delle tecnologie applicate alla produzione agricola24. In particolare, si dovrà colmare il divario di produttività esistente tra le aziende più efficienti e quelle meno avanzate25, assicurando ai piccoli agricoltori accesso ai servizi di assistenza tecnica, alle tecnologie, al credito e ali canali di commercializzazione di prodotti.

Infine, abbattere le disuguaglianze di genere, migliorando l’accesso delle donne all’educazione, ai diritti civili, all’assistenza tecnica, all’associazionismo, al credito e ai servizi, avrebbe molteplici effetti positivi. La FAO stima che se fossero garantiti alle donne gli stessi diritti degli uomini, la produttività delle loro aziende agrarie migliorerebbe del 20-30%, con un incremento totale del 2,5-4% della produzione agricola dei Paesi in via di sviluppo26.

 

Conclusioni

Per affrontare la sfida di soddisfare la crescente domanda alimentare mondiale riducendo l’impatto ambientale, bisogna pertanto promuovere sistemi agricoli capaci di produrre di più, consumando meno risorse naturali. Ciò è possibile solo con un cambiamento radicale dei paradigmi di produzione e a questo fine si devono ampliare le conoscenze ed espandere la capacità di trasformare le conoscenze in valore (economico, sociale, ambientale), aumentando l’intensità delle conoscenze applicate alla produzione agricola. Ricerca, assistenza tecnica agli agricoltori e istruzione giocano un ruolo sempre più essenziale per aumentare in modo sostenibile la produttività agricola27 e per limitare il consumo delle risorse naturali. Secondo la FAO, più di tre quarti degli incrementi produttivi necessari per soddisfare la crescente domanda di alimenti potranno essere ottenuti mediante interventi sugli elementi immateriali della produzione agricola, come ricerca, assistenza tecnica, istruzione ed efficienza delle istituzioni28.

Le conoscenze sviluppate e le tecnologie oggi applicate sono il frutto di un lungo processo iniziato nel Neolitico, all’alba dell’agricoltura. La crescente complessità della produzione agricola e della sua gestione ha portato ad adottare un approccio riduzionistico, a segmentare cioè la realtà in una serie di fenomeni, studiati singolarmente da discipline differenti. La transizione verso sistemi di produzione più sostenibili richiede ora la ricomposizione dei singoli elementi in una visione integrata12. I moderni strumenti cognitivi e di analisi dei dati acquisiti permettono oggi di governare la complessità delle conoscenze e di definire strategie complesse d’innovazione tecnologica, politica e sociale.

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*Tratto dalla rivista Scienza & Società n.23/24 – “Il cibo e/è l’uomo