Gli obiettivi internazionali della lotta alla fame. A che punto siamo?

Secondo la Dichiarazione del Vertice Mondiale del 2009, la sicurezza alimentare è una condizione che sussiste se “tutti i componenti di una popolazione, in qualunque momento, hanno la possibilità, fisica, sociale ed economica di accedere a una quantità sufficiente di cibo salubre, sicuro e nutriente, che consenta loro di soddisfare le preferenze e le esigenze nutritive necessarie a condurre una vita sana e attiva” (Committee on World Food Security, 2012)1.

Il 2015 è un anno speciale per questi temi, poiché segna il termine del ciclo di monitoraggio di due obiettivi che la comunità internazionale si è data in tema di sicurezza alimentare. Al Vertice Mondiale del 1996, infatti, poco meno di 182 capi di Stato e di governo convenuti a Roma si impegnarono a ridurre di almeno il 50 per cento il numero di persone affamate fra l’anno 1990 e il 2015. E pochi anni più tardi, nel 2001, con la definizione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, la comunità internazionale si impegnò a ridurre di almeno il 50 per cento la proporzione percentuale di persone che soffrono la fame nelle regioni in via di sviluppo lungo lo stesso arco temporale, fra il 1990 e il 2015.

Quali risultati hanno fatto seguito a questi impegni? Questa nota mira a fornire un quadro sintetico della situazione attuale dell’insicurezza alimentare nel mondo, utilizzando le informazioni fornite a riguardo dalla FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), dall’IFAD (International Fund for Agricultural Development) e dal WFP (World Food Programme) nel rapporto annuale (2015) sullo stato dell’insicurezza alimentare globale.

 

Sicurezza alimentare e sotto-alimentazione

Sebbene la fame sia un concetto del tutto intuitivo, non è semplice designarne l’assenza come problema sociale. Occorre fare riferimento a numerose condizioni, che nel loro insieme concorrono a determinare ciò che chiamiamo sicurezza alimentare2.

Numerosi sono gli indicatori che colgono diversi e importanti aspetti dell’insicurezza alimentare, e tali indicatori possono differire a seconda del livello a cui sono misurati – da quello individuale, a quello familiare, a quello della comunità, area geografica, Paese e regione, fino al livello globale.

La FAO ha recentemente proposto una suite di indicatori della sicurezza alimentare (FAO, IFAD e WFP, 2013, 2014, 2015), che presenta evidenza per le sue diverse dimensioni attraverso numerosi indicatori associati a ciascuna di esse3.

Tuttavia per monitorare il progresso globale verso la sicurezza alimentare, la comunità internazionale ha dovuto scegliere un indicatore per il quale è possibile ottenere informazioni relativamente omogenee nel tempo e nello spazio per un numero significativo di Paesi.

Tale indicatore è la Prevalence of Undernourishment – traducibile in italiano come “prevalenza della sotto-alimentazione” – che è una misura della sufficienza delle calorie disponibili per il consumo, riferita a una popolazione4.

La FAO ha avuto mandato di monitorare in base a questo indicatore gli obbiettivi del Vertice Mondiale del 1996 – la riduzione del numero di persone affamate – e quello del Primo Obiettivo del Millennio, vale a dire la proporzione, o prevalenza, delle persone che soffrono di sottoalimentazione nelle regioni in via di sviluppo5.

Più precisamente, la prevalenza della sotto-alimentazione è stimata attraverso un modello parametrico e corrisponde alla probabilità che un individuo scelto a caso in una popolazione di riferimento abbia a disposizione una quantità di calorie insufficiente a condurre una vita sana e attiva (FAO, IFAD e WFP, 2015, Annex 2; Wanner et al. 2014). I parametri che definiscono la distribuzione delle calorie nella popolazione sono ottenuti attraverso diverse fonti statistiche, che includono sia i bilanci di approvvigionamento calcolati dalla FAO – soprattutto per quanto riguarda il valore medio – che le indagini sui consumi disponibili a livello nazionale, soprattutto per quanto riguarda la variabilità e l’asimmetria della distribuzione intorno alla media. La soglia minima di sufficienza utilizza invece informazioni antropometriche sulla popolazione, insieme con indicazioni fornite dalla scienza della nutrizione circa i livelli desiderabili di assunzione calorica per classi di età e sesso (FAO, IFAD e WFP, 2015, Annex 2; Wanner et al. 2014).

È evidente che la prevalenza della sotto-alimentazione coglie solo un particolare aspetto del problema della insicurezza alimentare, che è quello più grave e cronico. La probabilità calcolata dall’indicatore si riferisce infatti a uno stato di carenza cronica dell’assunzione calorica lungo un periodo di un anno. Va notato che anche per i consumatori più poveri esistono numerose possibilità di accedere a diverse fonti caloriche, utilizzando quelle più a buon mercato in caso di deterioramento dei redditi reali. Pertanto una condizione cronica di carenza di calorie implica che tali possibilità siano state esaurite. Si tratta, in altre parole, di una condizione estrema di povertà e di carenza di cibo.

Oltre a cogliere solo un aspetto particolarmente grave del problema, altre due limitazioni significative di questo indicatore sono la impossibilità di derivarne informazioni sul grado di gravità dell’insicurezza alimentare e sulle sue variazioni di breve periodo. Negli anni recenti è migliorata la qualità delle stime condotte dalla FAO, e in certa misura anche dei dati su cui esse si basano, che vengono forniti dagli stessi Paesi monitorati6. Nuovi indicatori sono stati, inoltre, proposti e sperimentati. Per esempio, alcune delle limitazioni descritte sono superabili attraverso l’uso di indicatori che rilevano le esperienze individuali in tema di sicurezza alimentari, cha la FAO sta attualmente sperimentando7.

 

La situazione attuale e gli obiettivi internazionali

Le ultime stime fornite dalla FAO, dall’IFAD e dal WFP (2015) indicano che, globalmente, il target relativo alla sicurezza alimentare del Primo Obiettivo del Millennio – quello che richiedeva di ridurre la proporzione di persone affamate nella popolazione – è stato praticamente raggiunto, se si considerano le regioni in via di sviluppo nel loro complesso. Dal punto di vista numerico mancano pochi decimi di punto percentuale, ma considerando il grado di affidabilità dei dati utilizzati nella valutazione, la piccola distanza consente di concludere che l’impegno è stato mantenuto, almeno nelle sue linee generali.

Invece l’obiettivo proposto dal Vertice Mondiale del 1996 – quello che richiedeva la riduzione del numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare grave – non è stato raggiunto, per un ampio margine. Data la valutazione corrente del numero di persone in condizioni di fame al 1990-92 – il periodo assunto come base – raggiungere quell’obiettivo nel complesso delle regioni in via di sviluppo avrebbe richiesto di ridurre il numero di persone sotto-alimentate a circa 515 milioni entro il 2015, vale a dire circa 265 milioni meno di quelle che si osservano attualmente. Al tempo stesso, va considerato che la popolazione mondiale negli scorsi 25 anni è cresciuta di poco meno di due miliardi e questo ha reso più difficile il raggiungimento di quell’obiettivo.

Nonostante uno dei due obiettivi sia stato raggiunto, la fame resta dunque un problema esteso. Nel periodo più recente si stima che circa una persona ogni nove, o 795 milioni di persone, soffra questa condizione. Nelle regioni in via di sviluppo8 il numero di persone stimato è di 780 milioni nel 2014-16 che corrisponde al 12,9 per cento circa della popolazione. Fra il 1990-92 e il 2014-16 la proporzione della popolazione che soffriva la fame era passata dal 23,3 per cento al 12,9 per cento. Il numero di persone, invece, si era ridotto di poco più del 20 per cento.

La situazione è fortemente disomogenea fra le regioni. L’Africa presenta complessivamente un progresso insufficiente a raggiungere gli obiettivi internazionali. Nella regione a sud del Sahara, la prevalenza della sottoalimentazione della popolazione è passata dal 33,3 al 23,8 per cento fra il 1990-92 e il 2014-16. In più di un Paese di questa regione gli standard di vita vanno migliorando rapidamente, soprattutto dove le condizioni politiche riescono ad assicurare pace e stabilità. In complesso l’Africa sub-sahariana resta una delle aree in cui l’incidenza delle persone che soffrono la fame è fra le più elevate al mondo, con una persona su quattro che non ha a disposizione una quantità sufficiente di calorie. Le condizioni sono radicalmente diverse in Nord Africa, dove l’insufficienza calorica, e dunque la condizione di maggiore gravità, interessa una quota della popolazione minore del 5 per cento in quasi tutti i Paesi. Sebbene permangano difficoltà in termini di accesso della popolazione a una dieta variata, e nonostante la recente crescita dei prezzi internazionali abbia avuto un impatto significativo in più di un Paese, la forma più grave di insicurezza alimentare si è notevolmente ridimensionata, grazie anche alle politiche di sussidio del consumo adottate in più di un Paese. Nel contempo, il sussidio ai prodotti di base ha portato a un consumo eccessivo di carboidrati e zuccheri, che determina crescenti problemi di malnutrizione e obesità.

L’Asia nel suo complesso presenta condizioni allineate alla media delle regioni in via di sviluppo, con circa una persona ogni otto in condizioni di sotto-alimentazione. Data l’ampia popolazione del continente, questa quota corrisponde a poco più di mezzo miliardo di persone – 512 milioni nel 2014-16 – ovvero circa due terzi del numero stimato totale di persone che soffrono la fame. All’interno del continente, le condizioni sono molto variabili. Sia la regione più orientale – dominata dalla Cina – che il Sud-Est Asiatico – dominato da Paesi emergenti come la Thailandia, il Vietnam, la Malesia e l’Indonesia – hanno raggiunto l’obiettivo più ambizioso del Vertice Mondiale dell’Alimentazione del 1996.

Viceversa la situazione è meno favorevole in Asia meridionale – regione dominata dall’India, dove si registra un progresso lento – e in Asia occidentale, vale a dire nel cosiddetto Vicino Oriente, dove si registra addirittura un regresso. In Asia meridionale, le stime indicano che 281 milioni di persone sono cronicamente sottoalimentate nel 2014-16; la loro incidenza nella popolazione si è ridotta dal 24 per cento nel 1990-92 al 15.7 per cento nel 2014-16, un progresso insufficiente a centrare il target del Primo Obiettivo del Millennio. Questo andamento riflette soprattutto le condizioni dell’India e del Pakistan. Viceversa un progresso più rapido si registra in Bangladesh.

In Asia occidentale, la prevalenza della sotto-alimentazione è generalmente contenuta, anche a causa della presenza di molti Paesi con larghe disponibilità di valuta derivanti dalle esportazioni di petrolio, in cui il problema interessa porzioni marginali della popolazione. Tuttavia, l’incidenza della sotto-alimentazione cronica è passata dal 6,4 per cento nel 1990-92 all’8,4 per cento del periodo più recente, soprattutto a seguito dell’instabilità politico-militare di Paesi come l’Iraq e lo Yemen, nonché, più recentemente, la Siria, Paesi per i quali spesso mancano anche delle valutazioni interamente affidabili. In questi Paesi sussistono e vanno aumentando alcune sacche di povertà estrema, in cui l’insicurezza alimentare è in crescita.

La regione dell’America Latina e dei Caraibi, nel suo complesso, registra un progresso rapido e ha raggiunto l’obiettivo fissato nel 1996 dal Vertice Mondiale dell’Alimentazione. Il successo di questa regione si deve interamente ai Paesi dell’area meridionale, mentre il progresso è ben più lento nei Caraibi. Il successo dei Paesi del cono meridionale si deve da un lato alla crescita della produttività in agricoltura e dell’economia nel suo complesso, che hanno contribuito a generare aumenti del reddito nelle aree rurali. D’altra parte, in più di un Paese le politiche di protezione sociale e redistribuzione hanno avuto successo nell’aumentare capacità di acceso al cibo da parte delle fasce più povere di popolazione, sia direttamente che attraverso la creazione di maggiori opportunità di reddito e occupazione. Un progresso rapido si registra negli ultimi anni in molti Paesi fra cui il Cile, il Brasile, la Colombia, la Bolivia, il Nicaragua e altri ancora.

Ma che succede a livello dei singoli Paesi? L’obiettivo internazionale del Vertice Mondiale dell’Alimentazione del 1996 e il target del primo Obiettivo del Millennio erano stati definiti per un insieme dei Paesi; questo implica che essi potrebbero essere raggiunti nel complesso ma non in ciascun Paese. Secondo le stime proposte da FAO, IFAD e WFP (2015) i due obiettivi sono stati raggiunti in svariati Paesi e in alcune regioni. In particolare, 29 Paesi hanno raggiunto l’obiettivo internazionale del Vertice Mondiale dell’Alimentazione del 1996. Mentre l’altro obiettivo, quello del Primo Obiettivo del Millennio, è stato raggiunto in 72 Paesi, che includono – per definizione dell’obiettivo – i 29 di cui sopra. In 72 Paesi la proporzione di persone sottoalimentate nella popolazione si è ridotta della metà, o si è ridotta (o mantenuta prossima) alla soglia del 5 per cento, considerata prossima all’eradicazione della fame, perlomeno nella sua forma più grave e cronica.

 

C’è ancora molto da fare

Il successo di tanti Paesi nel raggiungere gli obiettivi fissati dalla comunità internazionale in questo campo non deve fare dimenticare la gravità che ancora caratterizza la condizione di tanti Paesi e gruppi di popolazione. Nonostante si registri un progresso nella riduzione delle forme più gravi di insicurezza alimentare, la dimensione complessiva della sottonutrizione rimane drammaticamente elevata. Peraltro essa si accompagna, sia in molti Paesi poveri che a medio reddito, con un peso crescente di altri disagi legati all’alimentazione, quali l’obesità, o i gravi squilibri delle dieta come la carenza di micronutrienti – la cosiddetta hidden hunger o fame nascosta. Sebbene la disponibilità complessiva di beni alimentari consenta di avere cibo sufficiente per tutti, la capacità di accedere al cibo da parte dei più poveri rimane fragile in molti Paesi. E in alcune delle aree più povere del pianeta, la fragilità dell’ambiente naturale e sociale rischia di compromettere anche in prospettiva la sicurezza alimentare di larghi gruppi di popolazione.

Ciascuno dei Paesi che ha avuto successo nel debellare la parte più grave dell’insicurezza alimentare ha seguito un suo percorso, non sempre generalizzabile. Tuttavia, vi sono alcuni elementi comuni nell’esperienza dei Paesi che hanno avuto successo. Uno di questi è il grado di priorità elevato assegnato ai diversi interventi di politica economica e sociale rivolti a ridurre l’insicurezza alimentare; un altro è la combinazione di interventi volti a promuovere lo sviluppo dell’agricoltura e del sistema agroalimentare, facendo leva sulle risorse interne utilizzabili in modo efficiente. Un altro ancora è la creazione di reti di protezione sociale e la redistribuzione. In generale, il progresso dell’economia, soprattutto se coinvolge i gruppi di popolazione più deboli e vulnerabili, resta il più deciso e sostenibile motore dei miglioramenti.

Viceversa, i Paesi e le comunità in cui l’insicurezza alimentare aumenta, o non sembra avviata a ridursi in modo consistente e rapido, tendono a essere accumunati dalla fragilità dell’ambiente, sia socio-economico che naturale. L’instabilità politica, la frequenza di disastri naturali e l’assenza di sviluppo della produttività in agricoltura sono caratteri frequenti nei Paesi e nelle regioni in cui la sottonutrizione permane elevata, accompagnata dall’assenza di istituzioni in grado di favorire e perseguire interventi a favore dei più deboli.

Migliorare i sistemi d’informazione sulla sicurezza alimentare costituisce un inevitabile necessario requisito per porre in essere azioni e politiche efficaci e mirate. Tale miglioramento costituisce, non a caso, un tema importante nella discussione sui nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals – che la comunità internazionale si avvia a proporre per il periodo successivo al 2015.

 

Note

1 Le opinioni espresse in questo testo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni o la politica della FAO.

2 Il problema di come misurare la sicurezza alimentare va oltre i limiti di questa nota. Rassegne recenti sul tema si trovano in Pangaribowo et al. (2013) e Cafiero et al. (2014).

3 Questa definizione ingloba quattro diverse dimensioni: la disponibilità di cibo, l’accesso al cibo, l’utilizzazione del cibo e la stabilità delle tre dimensioni precedenti. Ciascuna di queste dimensioni identifica un insieme di condizioni necessarie ma non sufficienti per affrancare una popolazione dall’insicurezza alimentare. Esse sono strettamente collegate fra loro, in rapporti che riflettono l’evoluzione dei consumi e dell’organizzazione della produzione dei beni alimentari attraverso il tempo (FAO, IFAD e WFP, 2013, 2014, 2015).

4 Si noti che il concetto di sotto-alimentazione è diverso da quello di malnutrizione. Quest’ultima si riferisce alla capacità degli individui di assimilare i nutrienti attraverso il cibo (FAO, IFAD e WFP, 2015, Annex 3).

5 I due obiettivi utilizzano, di fatto, lo stesso indicatore, poiché la stima del numero di persone è ottenuta moltiplicando la prevalenza nella popolazione per il numero di abitanti di ciascun Paese (FAO, IFAD e WFP, 2014, Annex 2). La prevalenza della sotto-alimentazione è solo uno degli indicatori utilizzati dal Primo Obiettivo del Millennio (si veda http://mdgs.un.org/unsd/mdg/Default.aspx), denominato Target 1.c.

6 Si vedano, in proposito, FAO, IFAD e WFP (2013, 2014, 2015) e Wanner et al. (2014).

7 Si tratta del progetto Voices of the Hungry (www.fao.org/economic/ess/ess-fs/voices/it) che mira a costruire uno standard globale per monitorare la capacità di accesso al cibo attraverso un questionario che rileva stati crescenti di disagio legati all’insicurezza alimentare.

8 Il monitoraggio della sicurezza alimentare ha escluso, finora, i Paesi più ricchi, come quelli dell’Oecd . Non esiste al tempo stesso una lista ufficiale e univoca di Paesi “in via di sviluppo”, e tale dizione desta crescenti perplessità, data la complessità e continuità di condizioni fra i Paesi di tutte le regioni del mondo e il rapido emergere di molte economie tradizionalmente considerate. Il rapporto annuale della FAO, IFAD e WFP (2015) fa riferimento alle “regioni in via di sviluppo” così definite dalla classificazione denominata M49, utilizzata dalle Nazioni Unite, che include l’Africa, l’America Latina e l’Asia, con alcune eccezioni.

 

Bibliografia

Cafiero C., Melgar-Quinonez H.R., Ballard T., Kepple A.W., “Validity and reliability of food security measures”, Annals of the New York Academy of Sciences, 2014.

Committee on World Food Security, Coming To Terms With Terminology: Food Security, Nutrition Security, Food Security and Nutrition, Food and Nutrition Security. Thirty-ninth Session, Rome, Italy, 2012, www.fao.org/fileadmin/user_upload/bodies/CFS_sessions/39th_Session/39emerg/MF027_CFS_39_FINAL_

REPORT_compiled_E.pdf.

FAO, IFAD e WFP, The State of Food Insecurity in the World 2013, Rome, 2013, www.fao.org/publications/sofi/2013/en/.

FAO, IFAD e WFP, The State of Food Insecurity in the World 2014, Rome, 2014, www.fao.org/publications/sofi/2014/en/.

FAO, IFAD e WFP, The State of Food Insecurity in the World 2015, Rome, 2015 www.fao.org/publications/sofi/2015/en/.

Pangaribowo E.H., Gerber N., Torero M., “Food and Nutrition Security Indicators: A Review”, ZEF Working Paper 108, Department of Political and Cultural Change, Center for Development Research, University of Bonn, 2013.

Wanner N., Cafiero C., Troubat N., Conforti P., “Refinements to the FAO Methodology for estimating the Prevalence of Undernourishment Indicator”, FAO Statistics Division Working Papers Series 14-05, www.fao.org/3/a-i4046e.pdf, Rome, 2014.

 

*Tratto dalla rivista Scienza & Società n.23/24 – “Il cibo e/è l’uomo