Produzione alimentare e ambiente: da conflitto a opportunità

L’agricoltura è da sempre intesa come un’attività destinata a produrre cibo per l’uomo, anche con l’allevamento di animali, e fibra per l’industria tessile. Ma negli ultimi decenni le cose sono rapidamente cambiate e il sistema agrario si è venuto a trovare al centro di nuove pressioni e di nuove attese da parte di vari segmenti della società.

L’agricoltura di oggi, per esempio, viene chiamata a soddisfare la crescente richiesta di energia rinnovabile attraverso la produzione di biomasse da trasformare in energia (biogas, biodiesel, etanolo); ma anche a difendere il paesaggio rurale e la biodiversità introducendo pratiche ecocompatibili, a ridurre l’impatto dell’inquinamento del suolo e dell’aria, a proteggere il suolo dall’erosione e a mitigare le emissioni di gas a effetto serra che stanno causando evidenti variazioni nel clima globale. Ciò delinea un quadro estremamente complesso di forze apparentemente contrapposte che distorcono le finalità originali dell’agricoltura mettendo a rischio la capacità di soddisfare la crescente richiesta di alimenti dovuta alla rapida variazione delle diete in molte parti del pianeta e alla crescita della popolazione globale.

Spetta alla ricerca agraria il compito di trovare soluzioni e di coniugare queste diverse pressioni assicurando una sostanziale sostenibilità e l’equilibrio del sistema produttivo agrario evitando prioritariamente che il territorio da dedicare alla produzione agricola cresca ulteriormente, a scapito di una componente naturale degli ecosistemi terrestri i cui servizi sono di fatto imprescindibili per un pianeta che resti vivibile per l’uomo.
Questo contributo intende mettere a fuoco, come esempio, due soluzioni innovative su cui la ricerca sta dando un contributo intellettuale e sperimentale e la cui valenza sta proprio nel tentativo di coniugare tante e diverse esigenze, nel quadro di una generale sostenibilità di quella che è destinata a diventare sempre più l’attività economica chiave di un mondo in rapida e talvolta drammatica evoluzione.

 

Proteggere l’ecosistema producendo cibo
Cereali, semi oleosi e specie leguminose dominano l’agricoltura di oggi, occupando circa il 70% delle terre coltivate e fornendo la maggior parte delle calorie dell’alimentazione umana. Queste specie sono attualmente tutte a ciclo annuale e devono cioè essere ripiantate ogni anno da seme, richiedendo grandi quantità di fertilizzanti sempre più cari e di pesticidi spesso destinati ad accumularsi nell’ecosistema.

Le specie annuali non sono l’ideale per proteggere il suolo e non forniscono habitat per micro e mesofauna. La produzione agricola basata sul paradigma dell’annualismo emette quantità significative di gas a effetto serra (Greenhousegases, GHG), che contribuiscono al cambiamento climatico che a sua volta può avere retroazioni negative sulla stessa produttività agricola. La maggior parte delle specie coltivate annuali trascorre la gran parte del tempo sotto forma di seme prima che le condizioni siano adatte per un breve ciclo di crescita e riproduzione. Le colture annuali richiedono rotazioni, lavorazioni del suolo (arature), concimazioni, e l’uso di biocidi per il controllo di parassiti e agenti patogeni.

In prospettiva, l’uso di colture annuali per la produzione di cibo è una potenziale fonte di degrado del suolo e, di conseguenza, un grave pericolo per la sostenibilità agricola (van derPutten 2014). La biodiversità del suolo dipende da una serie di condizioni, tra cui la quantità e la qualità degli input di risorse, l’attività di predazione e lavorazione del terreno (Bardgett e Wardle 2010, Bardgett e van derPutten 2014). L’intensificazione può portare a una riduzione della biodiversità del suolo (Tsiafouli et al. 2015) e dell’ecosistema nel suo complesso (de Vries et al. 2013). Ed è anche per questo che l’Organizzazione Mondiale per l’Alimentazione e l’Agricoltura delle Nazioni Unite (FAO) ritiene che almeno un terzo dei terreni agricoli in tutto il mondo abbia già subito un importante degrado. In occasione della giornata mondiale del suolo è stato affermato che secondo uno scenario “business asusual”, in cui il degrado del suolo continuerà al ritmo attuale, tutti i terreni più importanti del mondo potrebbero essere irreversibilmente persi entro 60 anni.

È urgente un cambiamento radicale ed efficace dei sistemi colturali per garantire una produzione alimentare sostenibile su terreni sani per una popolazione mondiale che sta raggiungendo i sette miliardi di abitanti e potrà superare i nove miliardi entro la metà di questo secolo.

Un serio cambio di paradigma sarebbe quello di passare da colture a ciclo annuale a colture perennanti, ovvero coltivare specie in grado di ricrescere dopo la raccolta, senza dover essere riseminate. Esistono già versioni “perenni” di molte specie che oggi sono coltivate come “annuali”. Si tratta di nuove colture, principalmente ottenute mediante ibridazione e la ricerca sta facendo un grande sforzo per reinterpretare il modello più classico di produzione agricola (Wang e Alonzo 2014). Grazie alle moderne tecniche di ibridazione, incrocio e selezione, molte specie e varietà selvatiche sono già disponibili per la ricerca con grandi potenzialità in questa direzione.

La creazione di nuove colture perenni da granella (New PerennialGrains, NPG) è in rapida crescita. Esistono già le prima varietà perenni di colture di semi oleosi, legumi, frumento, sorgo, riso e girasole, ma resta ancora aperta la sfida di riuscire ad aumentare le rese di queste colture perenni e creare sistemi di mercato. Le tecniche emergenti a scala molecolare hanno tutto il potenziale necessario per migliorare rapidamente l’efficienza della selezione. Ma mentre la ricerca sugli NPG più promettenti sta ricevendo un notevole impulso negli Stati Uniti, in Australia e in Africa, l’interesse è quasi assente in Europa, con l’eccezione della Svezia e dell’Italia.

Le specie perenni hanno apparati radicali più profondi e più persistenti e si prevede che tali apparati possano modificare le proprietà fisico/chimiche del suolo, per consentire l’accesso all’acqua e nutrienti immagazzinati negli strati più profondi del terreno, per prevenire la lisciviazione di elementi nutrivi (la perdita per percolazione), per aumentare la componente organica del suolo e le interazioni favorevoli tra piante e microrganismi in grado di influenzare la fertilità e la tolleranza/resistenza a parassiti e malattie. La drastica diminuzione delle lavorazioni del terreno (arature, erpicature ecc.) riduce fortemente l’ossidazione della sostanza organica e quindi protegge e incrementa gli stock di carbonio del suolo. Oltre a ridurre il costo delle operazioni agronomiche e il consumo di energia dell’agricoltura.

La transizione da colture annuali a perenni si tradurrà in un miglioramento complessivo dei terreni agricoli, con particolare attenzione ai suoli che sono oggi degradati (o in rapido degrado) in molte parti del mondo.
Pur operando in tempi difficili per il finanziamento della ricerca, l’Unità di Ricerca per la Valorizzazione Qualitativa dei Cereali (CRA, Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria) e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) sono impegnati a portare avanti questa sfida attraverso attività di ricerca mirate. Si lavora con nuove specie di frumento ottenute attraverso l’ibridazione di una specie spontanea perenne (Thinopyrumintermedium, wheatgrass) e una coltivata annuale (Triticumaestivum, frumento tenero). Gli obiettivi più immediati riguardano il miglioramento della qualità e la struttura del suolo valutando cambiamenti nella qualità e la struttura del suolo dovuti all’introduzione di NPG nei sistemi agricoli intensivi sia nel lungo che nel breve termine ed esaminandone l’impatto sulla dinamica della frazione organica del suolo a diverse scale temporali. Ma anche il miglioramento della qualità delle acque e la riduzione del fabbisogno di irrigazione valutando sperimentalmente come gli NPGs possono effettivamente migliorare l’efficienza dell’uso dell’acqua e migliorarne la qualità sia attraverso la riduzione dell’input chimico sia attraverso la prevenzione della percolazione profonda e lisciviazione dei nutrienti.

Ma si cercherà anche di esplorare la suscettibilità/tolleranza/resistenza a parassiti pericolosi che richiedono, nelle colture a ciclo annuale, l’uso di pesticidi. E anche indagare come l’introduzione di NPG possa determinare un aumento della biodiversità microbica (funghi e batteri) in grado di riverberare in una maggiore tolleranza/resistenza delle piante a parassiti e malattie. E valutare, infine, come la transizione verso forme colturali perenni contribuisca a ridurre l’erosione del suolo sia attraverso una prolungata durata della copertura vegetale sia aumentando la profondità del sistema radicale. Ma l’introduzione di NPG richiede anche un impegno per quantificare il loro contributoalla riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra (GHG). È necessario, a tal fine, valutare sperimentalmente, ma anche teoricamente per mezzo tossido di azoto (N2di modelli, l’impatto di NPG sui flussi di biossido di carbonio (CO2) dal suolo verso l’atmosfera, e valutare a diverse scale il loro reale potenziale di mitigazione delle emissioni di gas climalteranti.

Il successo nello sviluppo di colture di grano perenni potrebbe avere effetti importanti sull’ambiente, sui consumatori e sugli agricoltori. I consumatori potranno continuare a utilizzare la stessa gamma di prodotti con inalterato valore nutritivo, ma con minore potenziale contaminazione (meno tossine, sostanze chimiche e pesticidi). Gli agricoltori continueranno a utilizzare pratiche di gestione standard, ma in modo meno intensivo, e avranno più flessibilità nelle rotazioni e maggiori opportunità per crescere contemporaneamente le colture annuali e perenni. I tempi necessari per lo sviluppo e la produzione diffusa di colture di grano perenni appaiono lunghi. Ma i vantaggi potenziali si proiettano verso un futuro migliore. L’aggiunta di cereali perenni al nostro arsenale produttivo darà agli agricoltori più scelte relativamente a quello che possono crescere e dove. Un tassello cruciale per un futuro sostenibile della produzione di cibo per una popolazione umana globale ancora in forte crescita.

 

Mitigare il cambiamento climatico producendo cibo
Tutti abbiamo sperimentato che quando il tempo è “caldo”, la percezione del calore varia molto da luogo a luogo, anche in uno stesso ambito territoriale. Il disagio è massimo, per esempio, quando ci si trova in un grande parcheggio pavimentato con asfalto scuro, mentre la presenza di vegetazione sicuramente riduce l’effetto. Così, diverse strutture vegetazionali e diverse strategie di gestione del territorio hanno anche effetti rilevabili sulla temperatura dell’aria. Si discute molto, in ambito scientifico, della possibilità di controbilanciare almeno una parte del riscaldamento globale del pianeta modificando le proprietà ottiche della superficie terrestre. Una strategia bio-geo-ingegneristica potrebbe essere quella di aumentare la frazione di radiazione riflessa verso lo spazio aumentando l’albedo delle superfici coltivate; ove il termine “albedo” indica appunto il rapporto fra la quantità di radiazione solare che viene riflessa e la quantità totale di radiazione incidente.

L’albedo dei terreni coltivati può essere aumentato in modo semplice, utilizzando per esempio colture e varietà con una maggiore riflettanza (Singarayer& Davies-Barnard 2012). Un esempio numerico semplificato fornisce un’introduzione critica alla complessità del tema. Supponiamo che queste siano le condizioni al contorno in una giornata di sole alle nostre latitudini:
– Radiazione solare (Shortwave down) = 800 W m-2
– Albedo (α): 0.1 – frazione di radiazione riflessa (Shortwave up) = –80 W m-2
– Radiazione a onde lunghe in entrata (Longwave down) = +400 W m-2
– Radiazione a onde lunghe in uscita (Longwave up) = –500 W m-2

Il carico di energia netta e cioè l’energia dissipata da flussi turbolenti, è quindi 620 W m-2. Se l’albedo aumentasse da 0.1 a 0.18, il flusso di radiazione in uscita aumenterebbe (Shortwave up = –144 W m-2) e se gli altri termini del bilancio restassero invariati, il bilancio di energia di superficie verrebbe ridotto di 64 W m-2, un valore che moltiplicato per la superficie complessiva del pianeta usata per la produzione agraria, sarebbe molto più elevato delle forzanti radiative associate al crescente effetto serra dell’atmosfera.

Ma si può modificare l’albedo senza ridurre la produttività agricola?
Il regno vegetale, nella sua multiforme natura, presenta moltissime forme diverse, fra cui spicca, nella logica del discorso fatto fino a qui, una grande diversità come proprietà ottiche delle foglie. L’idea è quella di esplorare i meccanismi che legano fra loro il “colore” delle foglie e la produttività delle piante, per poter modificare l’albedo della superficie. Non vi è dubbio che l’albedo delle specie coltivate possa essere modificato con l’allevamento e l’ingegneria genetica. Ma il primo esempio concreto di un ideotipo di pianta che risponda ai requisiti è in realtà una mutazione spontanea trovata in una varietà commerciale di soia, presso la Minnesota State University. La varietà mutante chiamata MinnGold (Campbell 2014) non esprime un gene legato al metabolismo del magnesio e quindi, di fatto, è un mutante cosiddetto Chl-deficient, dove il simbolo Chl indica il complesso molecolare delle clorofille. Con circa l’80% in meno di clorofilla nelle foglie, il mutante ha un colore molto diverso da quello della varietà da cui ha preso spontaneamente origine e, di conseguenza, un albedo molto più elevato. Ma nonostante questa forte deficienza nei pigmenti clorofilliani, le piante MinnGold hanno tassi fotosintetici prossimi a quelli delle altre varietà “verdi” di soia e, ancor più sorprendentemente, esse forniscono produzioni di granella del tutto paragonabili a quelle delle altre varietà commerciali.

I primi esperimenti di campo con questa nuova pianta sono in corso sia negli USA, in Germania e in Italia, dove il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali (Mipaaf) ha autorizzato di recente l’importazione di un piccolo lotto di semi. L’attesa è quella di poter verificare, dati alla mano, che il mutante abbia tutte le caratteristiche previste e quali sono i meccanismi eco-fisiologici necessari a spiegare il fatto che il mutante riesca a restare produttivo come le varietà commerciali correnti, pur assorbendo meno radiazione solare. Se verranno confermate tutte le ipotesi fatte in sede di programmazione sperimentale, il mutante MinnGold rappresenterà il primo esempio di come possa essere introdotta innovazione in agricoltura tenendo conto di un complesso equilibrio fra varie tipologie di pressioni produttive e ambientali. Un esempio di come la ricerca possa essere in grado, anche attraverso la collaborazione internazionale, di esplorare nuove soluzioni tecnologiche,finalizzate a raggiungere obiettivi equilibrati, in una precisa logica di sostenibilità ambientale.

 

Conclusioni
Molto spesso il dibattito sulla sostenibilità della produzione alimentare dimentica che la sfida di “nutrire il pianeta” non è uno slogan ma una priorità estremamente complessa e difficile. Ho già accennato nell’introduzione a come tale complessità tenda a creare una serie di forze centrifughe intorno al tema centrale dell’alimentazione e della produzione di cibo sano e sostenibile. E ci si divide sovente, nell’affrontare questo tema, fra i fautori di un sistema agricolo fortemente eco-compatibile che metta al bando fertilizzanti e pesticidi ritornando a pratiche e tecniche agricole del passato e sostenitoridell’intensificazione sostenibile, che ritengono che solo l’innovazione, un’innovazione fondata su dati scientifici certi, possa portare alla soluzione di una serie di problematiche aperte. La sfida, e qui esprimo il mio personale favore al tema dell’innovazione scientifica, è talmente cruciale per il nostro pianeta e per la società umana nel suo complesso, da non poter essere affrontata senza introdurre fondamentali novità. In questo articolo, ho solo brevemente illustrato due esempi di “soluzioni possibili” che sono al vaglio della ricerca e su cui si stanno concentrando impegni internazionali crescenti. Credo di aver dato il modo, con questo piccolo contributo, di sfatare almeno in parte il mito corrente, diffuso nella società, per cui l’innovazione scientifica in agricoltura è solo fatta di manipolazioni genetiche e di applicazioni biotecnologiche avanzate. Esistono anche altri approcci che hanno un fondamento scientifico solido ma sfruttano caratteristiche intrinseche e potenzialità ancora inespresse della vegetazione terrestre, dell’agronomia e della gestione del territorio.

 

Bibliografia
Bardgett R.D., van der Putten W.H., “Soil biodiversity and ecosystem functioning”, Nature, 2014, 515, 505-511.
Campbell B.W., “Chlorophyll Deficiency in the Soybean Mutant ‘MinnGold’ Is Caused by a Nonsynonymous Substitution in a Magnesium Chelatase Subunit”, Plant and Animal Genome XXII Conference. Plant and Animal Genome, 2014.
de Vries F., Liiri M., Bjørnlund L., Bowker M., Christensen S., Setälä H. &Bardgett R., “Land use alters the resistance and resilience of soil food webs to drought”, Nature Climate Change, aprile 2012, pp. 276-280.
Singarayer J.S. and Davies-Barnard T., “Regional climate change mitigation with crops: context and assessment”, Philosophical Transactions of the Royal Society of London A: Mathematical, Physical and Engineering Sciences, 2012, 370-1974: 4301-4316.
Tsiafouli M.A., Thébault E., Sgardelis S., De Ruiter P.C., van der Putten W.H., Birkhofer K., Hemerik L., De Vries F.T., Bardgett R.D., Brady M., Bjornlund L., BrachtJörgensen H., Christensen S., D’Hertfelt T., Hotes S., Hol W.H.G., Frouz J., Liiri M., Mortimer S.R., Setälä H., Stary J., Tzanopoulos J., Uteseny C., Wolters V. and Hedlund K., “Intensive agriculture reduces soil biodiversity across Europe”, Global Change Biology (in press).
van der Putten W.H., “Are perennial crops more adapted to maintain long-term relationships with soils and, therefore, to sustainable production systems, soil restoration and conservation?”, Perennial Crops for Food Security. Proceedings of the Fao Expert Workshop, 28-30 agosto 2013, Roma, I 252-255, 2014.
Wang R. & Alonzo G., “Perennial Crops for Food Security. Proceedings of the FaoExpertWorkshop, 28-30 agosto 2013, Rome, I 3-5, 2014.

 

*Tratto dalla rivista Scienza & Società n.23/24 – “Il cibo e/è l’uomo