Razza: senso e limiti di un lemma

Race/Race*:

i diritti del singolo individuo o di una comunità sono stati spesso affermati, e più spesso negati, in nome dell’appartenenza ad una specifica ‘razza’. Questo lemma chiarisce le origini della nozione di razza biologica ed i limiti della sua applicabilità, come premessa al lemma specifico sulle>> Razze umane.

In biologia, il termine razza è stato variamente applicato a indicare gruppi di individui o di popolazioni riconoscibili nell’ambito di una stessa specie e a fronte delle altre razze in base a caratteri di regola molto evidenti, come il colore del mantello dei cavalli o la lunghezza del pelo nei cani; in alcune accezioni, ma non tutte (vedi sotto), è sinonimo di sottospecie, soprattutto se intesa in senso geografico. L’ambito originario di applicazione del termine è quello degli animali domestici, come sarebbe confermato dalla probabile derivazione del termine dall’antico francese haraz, branco o allevamento di cavalli.

 

Specie e razza
Nell’ambito delle scienze biologiche pure e applicate (rispettivamente: sistematica degli animali e delle piante, antropologia e biologia evoluzionistica; scienze agrarie e zootecniche), il termine razza ha conosciuto una pluralità di accezioni e fortune alterne, sempre denotando, comunque, gruppi di individui o di popolazioni diagnosticabili all’interno di una medesima specie biologica. La storia della nozione di razza si intreccia pertanto con la storia del concetto di specie. Secondo Linneo (Philosophia botanica, 1751), in natura esistono tante specie quanti sono i diversi tipi di animali e di piante stabiliti dal Creatore all’inizio dei tempi; ciascuno di questi tipi si perpetua, sempre uguale, seguendo le leggi della generazione.

Lo stesso Linneo riconosceva tuttavia l’esistenza di continue deviazioni dal tipo ideale. Queste deviazioni, alle quali dava il nome collettivo di varietà, costituiscono peraltro una classe eterogenea, che comprende semplici varianti individuali (non necessariamente ereditarie) accanto a quelle che già allora potevano dirsi razze, per esempio quelle degli animali domestici e delle piante coltivate. Linneo, peraltro, non conosceva la dimensione temporale di quella che un secolo più tardi comincerà a essere apprezzata come la dimensione evolutiva della variabilità delle specie, né aveva chiara idea della variabilità geografica presente in moltissime specie.

Spettò ad Esper (De varietatibus specierum in natura productis, 1781) distinguere formalmente fra varianti accidentali e razze geografiche, restringendo l’uso di varietas alle prime, mentre propose il termine di subspecies per quelle che altrimenti si possono chiamare razze geografiche. Nella stessa epoca, una distinzione in sottospecie o razze viene operata anche all’interno della specie umana (>> Razze umane). Ne aveva dato esempio lo stesso Linneo: in maniera caratteristica, però, anche in questo caso aveva associato, a varietà largamente corrispondenti a gruppi geografici di popolazioni di Homo sapiens (americanus, europaeus, asiaticus, afer) una varietà ferus atta a raccogliere sette casi, più o meno documentati, di individui cresciuti in condizioni ‘selvatiche’ e privi di parola e un’eterogenea varietà monstrosus comprendente tipi umani leggendari e veri casi patologici devianti rispetto al presunto tipo.

Alla fine del Settecento, l’interesse a riconoscere e denominare le mere varianti individuali si fa più circoscritto, ma non si estingue. Queste varianti individuali, più tardi chiamate aberrazioni (nel senso di deviazioni occasionali rispetto al tipo), continueranno a essere descritte e denominate in gruppi di forte interesse collezionistico (e valore commerciale) come le farfalle diurne o i molluschi provvisti di conchiglia.

Nel frattempo, prende piede una nuova nozione di specie. Questa viene intesa (Dobzhansky, 1937) come una comunità riproduttiva della quale fanno parte tutti gli individui legati, di fatto o potenzialmente, da legami riproduttivi e capaci di generare tra loro una progenie fertile. Questo criterio in base al quale viene determinata l’appartenenza o meno di due individui alla medesima specie ribadisce la posizione infraspecifica delle varianti che non siano fra loro isolate sul piano riproduttivo, per grandi che siano le differenze morfologiche che le separano. Il criterio è di facile applicazione (di regola) per gli animali domestici e per le piante coltivate, cioè proprio per gli organismi ai quali già veniva applicata da tempo la nozione di razza, ma non si può dire altrettanto per le forme selvatiche, il cui studio tassonomico è generalmente limitato alla comparazione di esemplari morti, conservati nei musei e negli erbari.

Ne consegue che un numero larghissimo di semplici varianti geografiche locali, distinguibili per caratteri anche vistosi, come le dimensioni o la colorazione, vengono descritte come specie e solo in tempi più recenti ne verrà riconosciuto il valore di semplici razze. Clamoroso è il caso degli Uccelli, per i quali l’accurato catalogo di Sharpe (1909) elencava 19.000 specie, ridotte poi a sole 8.600 nella revisione di Mayr e Amadon del 1951, dopo che si riconobbe l’effettiva natura infraspecifica di moltissime entità.

 

La razza alla luce della genetica delle popolazioni
Verso la fine degli anni Trenta dello scorso secolo, la sistematica biologica attraversò un importante momento di revisione, alla luce di un’impostazione evoluzionistica che era finalmente riuscita ad appropriarsi dei progressi della >> genetica. Al centro di questa revisione vi fu il rifiuto di quanto ancora sopravviveva dell’impostazione statica e tipologica linneana, a favore di una visione dinamica e popolazionistica. Ciò ebbe profonde conseguenze sul modo di intendere la natura della diversità esistente all’interno delle specie. Ci si rese conto, ben presto, che la parte più significativa della variabilità intraspecifica non è rappresentata dai caratteri (a volte vistosi, ma generalmente in numero modesto) che separano tra loro le razze (sia quelle geografiche, sia quelle degli animali domestici), ma si ritrova, per così dire, diluita all’interno di ogni singola popolazione o razza.

La moderna genetica delle popolazioni ha altresì messo in luce il fatto importante che i singoli caratteri presentano di regola una variazione geografica indipendente. Queste importanti acquisizioni hanno notevolmente contribuito a rimettere in discussione il significato delle razze riconosciute in precedenza, accordando peraltro una condizione peculiare alle razze domestiche, le cui differenze, controllate dalla continua selezione operata dall’uomo, corrispondono per lo più a complessi ben definiti caratteri, pochi o tanti che siano i geni che su di essi esercitano il controllo.
Razze (o sottospecie) nella sistematica biologica moderna

Negli ultimi decenni, l’atteggiamento nei confronti della variabilità intraspecifica si è ulteriormente evoluto. In zoologia viene oggi riconosciuto status ufficiale solo alle razze geografiche, per le quali si applica una nomenclatura trinomia: al binomio latino corrispondente alla specie si aggiunge infatti un epiteto sottospecifico. Per esempio, Capra ibex ibex e Capra ibex sibirica sono, rispettivamente, i nomi scientifici di due sottospecie di stambecco (Capra ibex), quello delle Alpi e quello di Siberia. Non c’è spazio, nella nomenclatura scientifica moderna, per le razze degli animali domestici. C’è da osservare, inoltre, che lo stesso uso della categoria sottospecifica come livello formale di descrizione della variabilità all’interno della specie sta perdendo progressivamente di interesse, in molti gruppi zoologici, a vantaggio di una descrizione più articolata ma informale, che tende a caratterizzare le singole popolazioni, e le relazioni tra queste, sulla base di un campionamento adeguato di sequenze geniche caratteristiche.

È ormai chiaro che la struttura gerarchica ad albero, quasi sempre idonea a rappresentare le relazioni di parentela fra le specie e fra i gruppi di specie (generi, famiglie ecc.), non si adatta a rappresentare la struttura più complessa, e generalmente reticolata, delle relazioni che esistono fra le popolazioni e le (eventuali) razze locali. Quest’ultime richiedono una sorta di mappatura geografica, o geostorica, dei loro rapporti, che è divenuta l’oggetto di una nuova disciplina biologica detta filogeografia.

In campo botanico, l’interesse per il riconoscimento formale delle entità intraspecifiche è rimasto più elevato. Inoltre, uno specifico codice internazionale disciplina la nomenclatura delle razze prodotte dall’uomo nelle piante oggetto di coltura.

* Dal Dizionario UTET dei Diritti Umani

 

Lemmi correlati
> Discriminazione > Diversità > Educazione antirazzista > Genetica > Identità > Illuminismo > Individuo > Razze umane > Razzismo

 

Bibliografia essenziale
Dobzhansky T., Genetics and the Origin of Species, Columbia University Press, New York 1937 | Esper E. J. C., De varietatibus specierum in natura productis, Erlangen 1781 | Harpending H., Race: Population, Genetics, Perspectives, in Encyclopedia of Evolution, a cura di M. Pagel, Oxford University Press, Oxford 2002, pp. 979-981 | Herre W. e Röhrs M., Haustiere zoologisch gesehen, Fischer, Stoccarda 19902 | Linnaeus C., Philosophia botanica, Kiesewetter, Stoccolma 1751 | Mayr E. e Amadon D., A Classification of Recent Birds, in «American Museum Novitates», 1496, 1951, pp. 1-42 | Mayr E., L’evoluzione delle specie italiane (1963), Einaudi, Torino 1970 | Sharpe R. D., A handlist of the genera and species of birds, 5 voll., British Museum, Londra 1899-1909