Bioetica ed ecologia

“Bioetica” ed “ecologia”. Sono due termini che nell’evoluzione della bioetica come area interdisciplinare si sono sviluppati in modo separato. La bioetica si è, per lo più, identificata con la bioetica medica e con i suoi problemi di inizio e di fine vita, della cura e dell’uso nella ricerca  dei biofarmaci e delle bioterapie.

L’ecologia – che è quella parte della biologia che studia i sistemi complessi all’interno dei quali si formano gli organismi viventi – si è, invece, sviluppata insieme alle tematiche dell’«ambientalismo», ossia alla analisi – sempre più preoccupata: ricordiamo le conclusioni del Club di Roma sulla sovrappopolazione proposte già negli anni ’60 del secolo scorso – delle relazioni degli uomini con il contesto naturale della vita. La terra, l’acqua, l’aria, l’energia sono strettamente implicate nelle trasformazioni del clima (Global Warming), nell’inquinamento ambientale e nella gestione delle fonti energetiche non rinnovabili. In una frase: emergono alla coscienza ambientalista le contraddittorie conseguenze della sempre più invasiva antropizzazione economico-sociale del Pianeta. A tal proposito si avanzato il termine di ecoetica per indicare gli specifici dilemmi etici sottesi alla relazione ambientale e interspecifica.

Noi approfondiremo oggi i temi della bioetica medica e dell’ecologia facendo emergere le connessioni fra questi due ambiti. Non è una novità: infatti l’oncologo statunitense Van Rensselaer Potter (1911-2001) – tra i fondatori della bioetica contemporanea – utilizzò congiuntamente i termini di «bioetica» e di «ecologia» già nel 1970: in un articolo pubblicato sulla rivista dell’Università del Wisconsin “Perspectives in Biology and Medicine” intitolato “Bioetica: la scienza della sopravvivenza”. Nel 1971, lo stesso autore raccolse vari articoli su questi argomenti nel libro intitolato Bioethics: Bridge to the future. Scrisse Potter del suo approccio alla bioetica: «la radice bio sta per rappresentare la conoscenza biologica e la scienza dei sistemi viventi; e la radice ethics sta per indicare la conoscenza del sistema dei valori umani». Per Potter il mutamento ecologico nella biosfera e nella catena trofica indotto dalla civilizzazione moderna stava alterando il rapporto fra l’organismo umano e l’ambiente naturale ed era quindi all’origine della comparsa delle patologie degenerative nell’organismo dell’uomo (i tumori) e della estinzione di altre specie viventi. Potter pensava quindi che l’etica umana non potesse restare distinta né da ciò che stava emergendo dalle ricerche portate avanti dalla medicina e dalla biologia e neppure dalle consapevolezze dell’ecologia.

 

Partecipando qui a Roma, nel febbraio del 2012, al Convegno sulle “Biotecnologie mediche” all’Accademia dei Lincei, constatai come da parte dei medici e pure dei biologi e dei genetisti si era superata ogni concezione meccanicistica e astratta del genoma e si parlava volentieri di «ingegneria genetica» come modificazione benefica delle sequenze geniche portatrici di malattie ereditarie. Si discuteva anche delle conseguenza della modificazione – in questo caso poco favorevole all’uomo – dell’ambiente vitale a causa dell’inquinamento chimico e biologico. Si dava, insomma, per acquisita la possibilità della mutazione epigenetica di alcune parti della chimica cellulare – dovute sia alle azioni deliberate dei genetisti che agli influssi ambientali – tanto da potersene riscontrare gli effetti sull’organismo umano in un arco temporale breve.

Se, negli anni Sessanta del ‘900 qualcuno avesse parlato di alterazioni del genoma e di mutazioni epigenetiche – indotte da una qualche azione deliberata dell’uomo o da un qualche influsso ambientale – sarebbe stato accusato di essere un apprendista stregone. Si pensava, infatti, che il genoma fosse una struttura rigida e nettamente separata dall’ambiente esterno alla cellula, collocata in un nucleo che si modificava soltanto attraverso lentissime mutazioni interne e secondo un programma evoluzionisticamente prefissato. Oggi – accanto alle vere e proprie “malattie genetiche” che derivano per ereditarietà da combinazioni intergeniche – la medicina e la biologia riconoscono che sono sufficienti alcuni anni di esposizione ad agenti teratogeni e oncogeni nel lavoro o nella vita urbana per modificare in forma gravemente dannosa per l’organismo umano segmenti della chimica cellulare. Oggi, ad esempio, si pensa – non solo da parte di «cassandre» o di giudici e di politici – che il fumo o l’alimentazione carnea o la manipolazione di specifiche sostanze chimiche possano indurre – in tempi relativamente brevi e apprezzabili dal singolo individuo – la comparsa di alterazioni epigenetiche che modificano i sistemi di controllo e riproduzione cellulare e conducono alla formazione di tumori nell’organismo umano. Quindi, l’ecologia – come scienza delle mutazioni ambientali – ha un riflesso sulla genetica e sulla biologia medica e quindi anche sulla bioetica che riflette in modo sistemico (olistico) sul fenomeno umano e che diventerebbe così parte di un’ecoetica secondo lo schema riportato qui sotto.

bioetica ed ecologia

Non possiamo però fermarci ad un generico sincretismo tra quelli che sono, in ultima analisi, settori diversi della biologia. Non tutti gli autori, infatti, ritengono che la biologia medica e la biologia ambientale possano utilizzare lo stesso plesso valoriale, che sia quello umanistico della bioetica in senso strettamente medico o quello olistico dell’ecoetica. Ad esempio: Hans Jonas ha scritto di un’etica della responsabilità come principio di riferimento comune sia alla medicina che alla vita economica e all’utilizzo delle più recenti biotecnologie. La responsabilità dell’uomo rispetto alle conseguenze, anche remote, delle sue azioni è volta, in primo luogo, a garantire alle «generazioni future» le migliori condizioni di vivibilità sul pianeta Terra.

Altri autori – come Arne Naess (1912-2009) e James Lovelock (n. 1919) – hanno invece scritto di una «ecologia profonda» (Deep Ecology) e quindi dell’emergere per l’uomo, in ogni suo comportamento, di valori specificamente ecocentrici in relazione all’ambiente e alle altre specie viventi terrestri, valori che sono radicalmente alternativi rispetto a quelli contemporanei, anche a quelli maggiormente vicini alla cultura ambientalista, come quelli di Jonas.

Per questi autori – seguaci di Aldo Leopold (1887-1948), di Potter e di Rachel Carson (1907-1964) – dall’ambientalismo emergerebbe una costellazione etica nuova e radicale, tale da mettere in discussione ogni forma di etica della responsabilità, nella tecnologia come nell’economia. Quest’ultima resterebbe, infatti, ancora caratterizzata da un ambientalismo antropocentrico e quindi “di superficie” (Shallow Ecology), volto alla ricerca di una fantomatica eco-sostenibilità dello sviluppo.

Un ultimo argomento: il rapporto fra bioetica, ecologia e legislazione. Qui non si può nascondere il paradosso etico in cui ci troviamo. Nel mondo anglo-americano, la bioetica può svilupparsi in un contesto in cui le leggi lasciano un ampio spazio alla negoziazione fra i soggetti interessati all’applicazione delle norme: il giudice interviene tassativamente solo quando le azioni di un singolo abbiano provocato un danno evidente o abbiano implicato per la comunità costi inaccettabili. In Europa vi è, invece, minore fiducia nella capacità deontologica e negoziale dei cittadini nel regolare i propri personali interessi. Per questo – in specie sui temi propriamente bioetici e di bioetica medica – si è optato per il ricorso alla legislazione positiva che definisce rigidamente, con concessioni e divieti generali, i comportamenti concreti e particolari degli individui.

 

Tuttavia, la continua tensione fra le leggi, la loro interpretazione nei tribunali e i diritti dei cittadini, ha trasformato lo spazio della bioetica in quello della biopolitica. Proprio le associazioni, i medici e i singoli cittadini reputano sia necessaria una più precisa normativa di legge: si tratti dei problemi dell’inizio vita, della cura delle malattie, del fine vita. In questo caso, sarà opportuno che l’«agenda biopolitica» dei partiti e del Parlamento non si contrapponga a ciò che la società richiede sotto forma di nuovi diritti e di nuovi orientamenti valoriali. Ad esempio, la «procreazione medicalmente assistita» è giusto che si configuri, anche nelle modalità eterologhe, sempre di più come una nuova forma della procreazione umana.

Nell’ambito dei problemi della tutela dell’ambiente e dei diritti degli animali, le tante “Seveso” o “Terra dei fuochi” che costellano il territorio italiano e le tante “Thyssenkrupp” o “Ilva” che sorgono nelle periferie delle nostre città gridano vendetta. Si chiede che le attività economiche – private e pubbliche – siano attentamente monitorate dalle istituzioni e che si svolgano dentro un orizzonte di piena legalità ambientale. Eguale attenzione è rivolta alla manipolazione genetica delle specie vegetali e animali. Per questo, si auspica una normativa restrittiva, affinché vengano sanzionati in sede penale – e condannati al risarcimento civile – quei comportamenti perpetrati a danno della natura e della salute pubblica, comportamenti che oggi sono avvertiti dai cittadini come dei veri e propri crimini. – cosa che è poi avvenuta, nell’ambito dei reati ambientali, con la Legge 22/05/2015 n°68, G.U. 28/05/2015.

In sintesi: fra bioetica e ecologia vi è un dibattito ancora aperto. L’ecoetica non deve occultare il proprio dissidio interno. Aperta è la disputa fra gli antropocentristi (più o meno ambientalisti) e gli ecocentristi (spesso intransigenti). Come pure aperta è la contesa fra quanti invocano più libertà e quanti, invece, richiedono più tutela. In effetti, la società vuole accedere in libertà, ma con informazione e discernimento, alle opportunità offerte dalle biotecnologie e dalla biomedicina, ma vuole anche vivere in un territorio ecologicamente sano, pure in presenza di attività economiche a forte impatto ambientale. Da questo punto di vista – e per uscire dalla strumentalizzazione dei cosiddetti «argomenti sensibili» – una delle esigenze del prossimo futuro sarà quella di assegnare maggiore spazio alla negozialità e alle mediazioni locali sulla base delle competenze etiche e deliberative dei cittadini.