Rompiamo il tetto di cristallo

I ministri della ricerca e dell’università dei Paesi Ocse nella loro ultima riunione collegiale tenutasi in Corea nell’ottobre 2015[1] ribadiscono come ricerca scientifica e tecnologica e innovazione siano motore di una crescita stabile, solida e duratura, garanzia della creazione di nuova occupazione anche attraverso la nascita di nuove imprese in nuovi settori.

La Commissione Europea, dal suo canto, sostiene da almeno un paio di decenni l’importanza della ricerca e dell’innovazione in una strategia europea di  sviluppo: culturale, economico e sociale.

Le risorse finanziarie per la ricerca sono essenziali ma possono esserci ricerca e innovazione senza l’adeguato sostegno di un capitale umano adeguatamente preparato? Per incentivare e indirizzare le politiche nazionali al riguardo l’Ocse, predisponendo la sua strategia per le abilità e le competenze (Oecd, 2012), invia una serie di messaggi di policy ai responsabili delle politiche scientifiche dei Paesi Membri, e si sofferma, tra gli altri, sui punti che più direttamente interessano reclutamento e mantenimento delle risorse umane per la scienza.

Tra questi la necessità di mettere in atto politiche che riequilibrino domanda e offerta di competenze e capacità che quali considerino questioni quali: bassi stipendi iniziali, contratti precari in crescita, difficoltà di mobilità intra-istituzionale e internazionale dovuta anche alla carenza di portabilità dei diritti anche pensionistici, diminuzione di attrattività delle carriere scientifiche e di ricerca in ambito accademico.

 

In particolare viene spesso indicata la necessità di rimuovere le barriere che ostacolano la partecipazione delle donne all’attività scientifica tra le quali gli stereotipi di genere, le nomine e le procedure di reclutamento non trasparenti, la mancanza di adeguati sostegni nel corso della carriera

In tutta Europa il gap nel mondo del lavoro è certamente in progressiva diminuzione, tuttavia le diseguaglianze sono ancora marcate in molti ambiti. Per esempio si è calcolato che per ogni ora lavorata le donne guadagnano in media il 16,4% in meno degli uomini.

Nell’ambito della formazione le differenze di orientamento delle ragazze e dei ragazzi verso gli studi scientifici e tecnici, e quindi la minore presenza delle donne nelle relative professioni, si fanno ancora sentire. Le donne infatti, pur avendo maggiori probabilità di avere un grado di istruzione superiore (oltre il 60% dei nuovi laureati sono donne), sono significativamente sottorappresentate negli studi e delle carriere scientifiche, soprattutto ai livelli più elevati di responsabilità.

Ancora molto scarsa presenza femminile nelle strutture decisionali delle grandi aziende e nei relativi processi decisionali. Le donne continuano a rappresentare meno di un quarto dei membri dei consigli di amministrazione e dei livelli decisionali delle imprese, pur rappresentando quasi la metà della forza lavoro ivi impiegata (46%).

Il tasso di occupazione femminile in Italia è del 46,5% mentre la media europea è di poco inferiore al 60%. Ma il dato più preoccupante si riferisce al sottoutilizzo del capitale umano e riguarda soprattutto le donne: infatti il 40% delle laureate italiane svolge un lavoro che richiede un titolo di studio inferiore,

Per quel che riguarda gli occupati nella ricerca e nell’università in Italia si registrano su mille occupati 5.0 donne e 6.7 uomini a fronte dei corrispondenti valori europei di 7.6 e 11.9, una situazione quindi tutt’altro che brillante.

Tuttavia la presenza delle donne nella scienza non può dirsi statica: i cambiamenti avvengono e sono avvenuti anche se in maniera lenta ma costante. È aumentata infatti la partecipazione all’istruzione terziaria, è aumentato l’output di laureate sia in assoluto che nelle discipline scientifiche, è aumentata l’occupazione scientifica delle donne.

Ma la forbice della divaricazione di carriera accademica si apre piuttosto velocemente. Se infatti all’ingresso le quote sono abbastanza simili, non appena si sale di grado la componente maschile prevale nettamente su quella femminile (Figura 1).

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Le donne non riescono ancora a rompere il soffitto di cristallo se non in pochi casi e con molta difficoltà e spesso, nel contesto di progressione di carriera, l’eccellenza nella ricerca non è sufficiente a garantire il successo nel salire la scala gerarchica delle organizzazioni.

La consapevolezza di questi problemi è ormai diffusa a tutti i livelli ma cosa si fa in Europa per contrastare questa tendenza?

 

La Commissione europea si è lungamente impegnata e il concetto viene ribadito in più di una occasione, dalle raccomandazioni emesse ‘Strategia per la parità tra donne e uomini’ del 21/9/2010 (European Commission, 2010), ai rapporti pubblicati Report on Equality between Women and Men, pubblicato nel 2014 dalla DG Justice, Consumers and Gender Equality. alle audizioni nel Parlamento europeo, alle linee guida proposte (European Commission, 2015) ed ai numerosi Progetti finanziati[2].

Sono state messe in atto da molti Paesi europei una serie di strategie che vanno da quelle di carattere nazionale a quelle delle singole istituzioni con caratteristiche diverse. Si possono infatti trovare grants specifici per l’accesso alle qualifiche universitarie,  pacchetti iniziali (start packages) per donne assunte di recente o progetti di mentorship per affiancare le giovani ricercatrici. Molte istituzioni hanno introdotto la prospettiva di genere a tutti i livelli dei processi di budgeting, per consentire non solo interventi mirati ma anche la valutazione degli esiti di tali interventi.

Un’altra componente essenziale individuata risiede nella misurazione e valutazione dell’eccellenza scientifica che, oltre che rispondere a criteri chiari e le linee guida definite e (per quanto possibile) stabili, dovrebbe creare criteri di valutazione e di distribuzione dei fondi sensibili al genere (gender-sensitive), per esempio, introdurre anche nuove componenti quali gli impegni di insegnamento, le capacità di condurre e gestire un gruppo di ricerca, le cosiddette team building capacities e così via, il tutto assicurando il monitoraggio costante dei risultati sulla base del genere.

Molte le barriere, dirette e indirette, che si interpongono sul processo di  impegno delle donne nella scienza e soprattutto alla progressione di carriera; tipicamente gli obblighi derivanti dalla famiglia ma anche una competitività minore o diversamente diretta. Queste barriere sono paradossalmente a volte poste dalle stesse donne che non riescono a valorizzare il proprio lavoro ed arrivano a sentirsi meno competenti e inadeguate ad assumere posizioni di prestigio o addirittura non meritevoli di quelle raggiunte, colpite dalla cosiddetta ‘sindrome dell’impostore’ (Zoppè, 2015)

Molto, quindi, resta ancora da fare: la Commissione Europea ne è ben conscia e in H2020 una buona fetta di ricerca nell’area Science with and for Society è dedicata alla promozione della ‘uguaglianza di genere nella ricerca e innovazione’. Oltre ad interventi di valutazione delle iniziative volte a promuovere la parità di genere nella politica di ricerca e nelle organizzazioni di ricerca, la Commissione incoraggia e finanzia progetti di sostegno alle istituzioni di ricerca per l’attuazione di piani per la parità genere[3]. Sono previste e finanziate inoltre iniziative di mero carattere comunicativo per garantire un approccio innovativo alla comunicazione ed incoraggiare le ragazze allo studio della scienza. Si ricordano a questo proposito le attività messe in atto sotto l’ombrello ‘Science it’s a girl thing’ che prevede anche una serie di eventi specifici, quali Workshops, oltre che campagne di comunicazione multimediale anche sui social network in particolare You tube e Facebook

 

Per contrastare e rompere il soffitto di cristallo da una parte, e la perdita lenta ma costante della componente femminile (la leaky pipeline) dall’altra, ci si trova concordi, studiosi, Commissione Europea e OCSE nella necessità di compiere una serie di azioni: favorire l’internazionalizzazione del sistema della ricerca, introdurre norme e procedure relative alla parità di rappresentanza di genere, sperimentare nuovi strumenti di relazione tra studiose esperte e giovani e perseguire il mentoring femminile. Metodi specifici includono l’uso di quote, e l’uso di programmi di supporto per il bilanciamento vita-lavoro, famiglia e carriera.

Gli indicatori sono chiari: accesso paritario agli studi universitari, migliori e più veloci performance al livello di laurea, accesso iniziale alle carriere scientifiche (ricercatori universitari e non) nel complesso paritario con la forbice che via via comincia ad aprirsi per farsi del tutto spaiata ai livelli elevati di carriera. Molte le buone pratiche indicate dalle istituzioni sovranazionali e a volte messe in atto da quelle nazionali, gender plan e gender budgeting in primis.

Va evidenziato tuttavia che il cambiamento si verifica quando la discriminazione comporta il dover sostenere dei costi. Inoltre, anche se è possibile trovare numerosi esempi di buoni programmi, politiche e pratiche esse vanno di pari passo sostenute da ampi cambiamenti di tipo sociale e culturale, i più lunghi e difficili da ottenere.

2Certo la situazione sta migliorando, lentamente avanza la presenza femminile nella ricerca e non solo tuttavia, stando ai calcoli del Word Economic Forum (WEF, 2015), una fonte autorevole che non può certo essere tacciata di  indulgenza al femminismo, in mancanza di nuove politiche ed azioni mirate, si è stimato che nel nostro paese sarebbero necessari, a partire dalla fine del 2015, altri 118 anni per chiudere il gap di genere e quindi una bimba nata il 31 dicembre dello scorso anno avrebbe ben 117 anni prima di vedere le sue opportunità e i suoi diritti appaiati a quelli che il bimbo della culla accanto trova già oggi disponibili (Figura 2 e 3). Forse converrebbe agire con più celerità e solerzia.

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Riferimenti bibliografici

[1] Réunion au niveau ministériel du Comité de la politique scientifique et technologique de l’OCDE: Bâtir notre avenir commun grâce à la science, la technologie et l’innovation 20-21 ottobre 2015, Daejeon, Corea.

[2] Solo per memoria si ricordano quelli che fanno parte del network dei Sister Projects italiani: Genera, Trigger, GenderTime, Festa, Garcia, GenisLab, Genovate, Stages.

[3] A questo proposito si richiama il progetto GENERA, finanziato dalla Commissione Europea del quale l’IRPPS è partner, proprio diretto a questo scopo http://genera-project.com/index.php.

EUROPEAN COMMISSION, Directorate-General for Research and Innovation 2015 The Knowledge Future: Intelligent policy choices for Europe 2050, Luxembourg: Publications Office of the European Union.

EUROPEAN COMMISSION, Brussels, 21.9.2010, COM(2010) 491 final, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, Strategy for equality between women and men 2010-2015 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri= OM:2010:0491:FIN:en:PDF.

OECD Skills Strategy. Better Skills, Better Jobs, Better Lives: A Strategic Approach to Skills Policies, Parigi, OECD, 2012

World Economic Forum, Global Gender Gap Report 2015, http://reports.weforum.org/global-gender-gap-report-2015/

Zoppè, M. (2015). La sindrome dell’impostore: Non sono davvero brava come sembra in: Scienza, genere e società. Prospettive di genere in una società che si evolve. A cura di Sveva Avveduto, Maria Luigia Paciello, Tatiana Arrigoni, Cristina Mangia, Lucia Martinelli (2015). Roma: CNR-IRPPS e-Publishing.