Un incontro per salvare la ricerca italiana

Tagli all’istruzione e ai fondi per la ricerca, carriere universitarie lente e impossibili, e i ricercatori italiani fuggono all’estero. Per invertire questo trend, gli scienziati italiani hanno lanciato un dibattito nazionale sullo stato disastroso (e disastrato) del sistema di ricerca italiano. Così giovedì 25 febbraio, a La Sapienza Università di Roma, si sono riuniti diverse centinaia di ricercatori e studenti per tentare di salvare la ricerca italiana.

 

Tutto è iniziato con una lettera pubblicata su Nature qualche settimana fa dal fisico Giorgio Parisi, poi firmata da altri 69 ricercatori e accompagnata da una petizione online, che finora ha raccolto da più di 50.000 firme. La lettera dichiara apertamente come il governo italiano trascuri “gravemente la ricerca di base”,  ed esorta l’Unione Europea a spingere i governi nazionali a “mantenere i finanziamenti per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza”. Secondo Parisi, l’Unione europea dovrebbe imporre agli Stati membri di spendere almeno il 3% del prodotto interno lordo in ricerca e sviluppo, come stabilito nella strategia di Lisbona del 2000. Attualmente, invece, l’Italia spende solo l’1,25% del suo PIL per la ricerca: una percentuale molto al di sotto della media europea.

Come ha sottolineato Parisi nell’incontro di giovedì, i finanziamenti statali per le università italiane sono diminuiti di circa 1 miliardo di Euro (il 13%) dal 2009. Lo stesso vale per i fondi che dovrebbero sostenere la ricerca nazionale:  i fondi destinati ai PRIN, i progetti di ricerca di importanza nazionale, quest’anno ammontano a soli 92 milioni di Euro. Una goccia nel deserto: basta guardare oltre i nostri confini per constatare amaramente che l’Agenzia Nazionale francese per la Ricerca (ANR) ha un budget annuale di 1 miliardo di Euro. Oltre 10 volte i fondi italiani.

 

Inoltre come sottolinea il fisico del Politecnico di Torino Arianna Montorsi, l’Italia ha relativamente pochi ricercatori rispetto al suo PIL, il che significa anche che ottiene meno fondi europei per la ricerca. Di conseguenza, il capitale italiano investito nell’ottavo programma quadro (Horizon 2020) non ritorna in Italia, come invece avviene in altri paesi membri. Il problema quindi non è solo la mancanza di denaro, ma anche l’irregolarità con cui è distribuito il finanziamento. Molti scienziati infatti sostengono che l’Italia dovrebbe istituire un’agenzia nazionale di ricerca simile all’ANR francese o alla  National Science Foundation americana, e concedere finanziamenti in modo più regolare e trasparente.

Senza fondi e con uno scarso turn-over, «i giovani ricercatori, in particolare, non hanno prospettive. Molti vanno all’estero, mentre altri si abbattono» ha spiegato Francesco Ricci, chimico dell’Università di Roma Tor Vergata. Ad esempio il suo dipartimento, dove lavorano circa 40 ricercatori, negli ultimi 5 anni ha visto andare in pensione 6 persone, ma a fronte dei nuovi posti liberatisi è stata assunta solo una persona. «È una situazione drammatica», ha detto Ricci. Anche Fabiola Gianotti, fisica italiana a capo del CERN di Ginevra, è d’accordo: «al CERN vedo che molti italiani vanno a lavorare in Germania, Francia, o negli Stati Uniti».

 

Parisi ha tenuto a precisare che la petizione e l’incontro devono essere seguiti da azioni concrete, ed è fondamentale che l’Italia apprezzi di più la scienza e l’istruzione superiore: «il problema non è solo una mancanza di fondi, ma il fatto che le università sono viste negativamente. C’è ancora l’idea che le università possano essere rottamate, e questo è assolutamente sbagliato».

All’indomani dell’incontro, su Il Sole 24 Ore, il Ministro della Ricerca Stefania Giannini non ha fatto alcuna promessa, ma ha comunque riconosciuto che le denunce degli scienziati sono spesso fondate e che «molte buone idee sono arrivate da parte della comunità scientifica nel corso degli ultimi settimane». In particolare, sul “soffocamento burocratico” che i ricercatori sopportano a causa del loro status di dipendenti pubblici. «Sappiamo che sono necessarie molte più risorse» ha continuato la Giannini, «ma sappiamo anche che le risorse diventeranno futuri investimenti se, e solo se, abbiamo il coraggio di ripensare completamente il sistema della ricerca nazionale nel contesto europeo e internazionale».