Dal prosumer al consumAutore: la rete diventa conflitto

“Ogni prodotto coincide più con il suo racconto che con il suo contenuto”. Cosi Mary Douglas, una delle più brillanti e lucide teoriche del nuovo marketing globale spiega le dinamiche che guidano i fenomeni del consumo.
Oggi, circondato  promotori di relazioni digitali, siamo già oltre. Siamo in quella che ormai si definisce  la società  on demand, sorretta e guidata dall’esplosione del web 2.0 e dall’attesa della cosiddetta Internet delle cose, che sposterà il motore del consumo dalla relazioni sociali al flusso dei dati che si sprigionerà fra 50 miliardi di oggetti che cominceranno nei prossimi 36 mesi ad entrare nella rete da protagonisti.
In questo contesto in formazione potremmo dire  che “ogni consumatore coincide con il software che lo sceglie più che del prodotto che acquista”.

La discussione che faremo al Dipartimento di scienze sociali dell’Università Federico II, promosso dalla Federconsumatori in collaborazione con la cattedra di Sociologia delle culture digitali, affronterà questo nodo: consumo e consumatori nella società dei nuovi persuasori digitali.

Il riferimento è chiaramente all’altra tappa del movimento consumerista occidentale, l’avvento dei famosi persuasori occulti, teorizzati fin dagli anni ’50 da Vance Packard.

In quel passaggio, di un giornalista disoccupato quale era Vance Packard nel 1957, anno di pubblicazione del suo fortunato saggio Hidden Persuaders, non a caso i consumatori si trovarono stretti in una morsa fatale fra il dominio dei produttori e il vassallaggio dei media che ignoravano ogni forma di protagonismo sociale che minacciasse il potere dei mediatori.

Oggi lo scenario è straordinariamente diverso, con l’affermazione nella società a rete del potere di chi sceglie rispetto a quello di chi offre e soprattutto con un sistema di relazioni sociali che vede proprio i media accerchiati e riconfigurati dal protagonismo degli utenti.

Uno scenario nuovo e promettente, ma non per questo privo di rischi e scompensi.
Se è vero infatti che il ruolo dei vecchi persuasori occulti, come la pubblicità e le forme di formattazione del senso comune, e dei tradizionali mediatori, come media e figure di trasmissione della conoscenza, stanno declinando, è anche vero che si propongono nuovi poteri, nuovi cerchi per dirla con il fortunato romanzo di David Eggers, che incombono sulla nostra vita.

Il nuovo mediatore che oggi ci affianca e guida non solo nei nostri consumi, ma il nostro pensiero, è indiscutibilmente il software

Già Italo Calvino nella sue Lezioni Americane ci avvertiva che sarebbe stato il software a prevalere sull’hardware .

È infatti il software, meglio ancora l’algoritmo, il nuovo ordinatore sociale  che  performa la relazione fra ogni singolo cittadino che si trova nelle condizione di  scegliere un prodotto o usufruire di un servizio.
I dati sono alluvionali. Se rimaniamo ai trend, vediamo come due siano i processi in corso più rilevanti:
1) una smaterializzazione sia di processo che di prodotto delle modalità di consumo
2)una intermediazione delle decisioni di acquisto o di adesione che vede ormai sempre un dispositivo digitale a filtrare e guidare  gusti e volontà.

Entrambi i fenomeni sono assolutamente organici e coerenti sia nel contesto nazionale che in quello globale.
Ma il vero elemento che ha rivoluzionato radicalmente il mercato, segnando  con i caratteri a fuoco dei passaggi epocali la fase storica che stiamo vivendo, riguarda il profilo che il consumatore ha assunto nella catena del valore  industriale. Lo spiega il rapporto della Harvard Business Review che nel 2013 a concluso
un lungo report sulle caratteristiche del capitalismo al tempo della rete affermando: per le fortune delle aziende oggi i clienti sono più rilevanti degli azionisti.

Rispetto alle polemiche sollevate da Packard negli anni ’50, la novità è infatti questa: l’inversione del rapporto di determinazione fra produttore e consumatore. Il secondo ha trovato linguaggi, istinti e modalità per risalire quella filiera che separava l’autore dal destinatario di merci o contenuti, e che, fin dagli anni 30 già Walter Benjamin aveva genialmente individuato nelle forme di partecipazione dei lettori al giornale mediante le prime rubriche di lettere al direttore: il lettore si siederà accanto al giornalista, vaticinò Benjamin, ovviamente ignorato dalla cultura progressista europea.

La rete ha globalizzato questa nuova realtà, rendendo produzione e consumo due categorie intercambiabili e sovrapponibili in un unica  composita ma riconoscibile funzione: la condivisione mediante relazione.

In questo binomio risiede  oggi la fonte della ricchezza sociale e i codici di identità e gerarchia della nostra società. Condivisione mediante relazione che si materializza attraverso la forma del consumo, dell’adesione, della cooperazione competitiva. Diciamo simbolicamente del I LIKE. Non è certo un caso che oggi il sistema che ha adottato come proprio il modello produttivo  I LIKE, come Facebook , raccolga il  massimo numero di aderenti, più di qualsiasi altra  motivazione umana: nessuna ideologia, religione, comportamento o lingua può contare un miliardo e seicento milioni di aderenti come il social network di Mark Zuckerberg. Non vogliamo scomodare il materialismo storico per dedurre che qualcosa di rilevante è accaduto nel mondo.

Tanto più se vediamo che questo comportamento sta selezionando e uniformando tutte le principali forme di identità e comportamento sociale: dalla militanza politica, all’immaginario cinematografico, dai modi di fare e sentire musica a quello di prendere un taxi, organizzare una vacanza, o ancora leggere un libro o comunicare con i propri simili. Il tutto avviene a tutte le latitudini e longitudini con una pervasività inedita ed esclusiva.

In altri tempi bastava molto meno per entusiasmare gli adepti di questa o quella visione del mondo che sulla base delle occasionali espressioni di qualche centinaio di milioni di persone deducevano che il destino dell’umanità sarebbe irrimediabilmente cambiato.

Ora nessuno si pone il problema di prevedere cambi epocali. Basta viverli nel presente.
Proprio il presente, quello che gli americani chiamano il narrow casting, è la dimensione a cui ci vogliamo attenerci, evitando ogni acrobazia da mago merlino sulle previsioni del futuro, tempo in cui, come ci avvertiva Maynard Keynes saremo tutti morti.

Il presente oggi ci dice che il 71% dei nostri consumi, intendendo per tali non solo l’acquisto di beni materiali, ma l’insieme dell’organizzazione della nostra vita nella sua quotidianità, si realizza mediante la delega ad un algoritmo di nostre attività discrezionali.

Questo dato al momento misura solo il cosiddetto web 2.0, ossia lo scambio di informazioni fra esseri umani. Ignora ancora l’incipiente automatizzazione delle nostre attività mediante agenti intelligenti-penso ai banali Siri, Cortana , o GoogleNow o ancora ai citati scambi di dati diretti fra oggetti.

Due circostanze queste che richiamo, che appartengono a pieno titolo alla dimensione del narrow casting, del presente e non di un avveniristico futuro.

Concretamente quando ci riferiamo alla mediazione dei nuovi sistemi di intelligenza artificiale  stiamo descrivendo i nuovi modelli di fare banca, media te i conti e i depositi virtuali, o di fare acquisti, mediante le liste preordinate di Amazon, o di fare amministrazione, mediante le soluzioni di smart cities sulla mobilità intelligente.
In questo scenario si pongono dunque due nodi da sciogliere: come preservare l’autonomia del consumatore nelle sue relazioni, sempre più seducentemente comode, con i dispositivi intelligenti; e come assicurare la piena sovranità di una comunità locale o nazionale, sia essa città o un intero paese, dinanzi all’invasione di sistemi cognitivi, gli algoritmi, che importano modi di pensare e di vedere il mondo, dietro l’apparente semplicità delle loro soluzioni.

Questi sono i nodi che stanno incombendo sulla scena politica e geo politica globale. Da questi temi ricaviamo la centralità della figura del consumatore nel nuovo contesto della conoscenza. Un consumatore che diviene, consapevolmente o meno, sempre più complice del proprio prodotto. Per questo ormai parliamo di consumAutore, ossia di una figura ibrida, che partecipa direttamente alla profulazione e selezione delle linee di prototipazione di prodotti e servizi, assumendone identità e coinvolgimento. Le 136  versioni della confezione di Nutella, ognuna con un nome e una regione diversa, ci dice quale livello di  cooptazione ormai i produttori si pongono.

Al tempo stesso le forme di nuova sussidiarietà sociale nelle piattaforme di smart city mettono all’ordine del giorno il ruolo di partecipazione, politica e civile, di ogni cittadino. Non è questa una forma inedita ed estesa di complicità attiva. A fronte della quale il movimento del consumerismo deve far crescere una cultura della negoziazione e della co-determinazione delle matrici cognitive del mondo digitale.
Una cultura che non può prescindere dalle forme e dai linguaggi che la rete assume: un’app si bilancia solo con un’altra app. Un algoritmo si negozia solo con un altro algoritmo. In questa logica pensiamo che il movimento del consumerismo, la Federconsumatori come principale espressione organizzata, debba entrare nella logica di essere produttore e gestore di intelligenze tecnologiche.

Ci sono ormai esempi di soluzioni e dispositivi che adottano l’automatismo tecnologico non solo per vendere ma anche per controllare. L’obbiettivo è quello di costruire organizzazione  e rappresentanza anche sulla base di  meccanismi e piattaforme che diano potenza e strumenti adeguati al consumatore. Penso ad esempio a dispositivi che leggono e validano bollette ed etichette, o soluzioni che memorizzano e certificano contratti ed accordi.

Questo passaggio diventa oggi ulteriormente significativo nel pieno del tornante che ci sta conducendo dalla fase del computer a quella del movile. Siamo infatti nel pieno di quella che Michel Serres definisce l’interattività del pollice, ossia il nuovo alfabeto espressivo che tramite lo smartphone ci rende cittadini del mondo mobile.

Questo passaggio è ancora tutto da giocare, ed è possibile porci l’obbiettivo di una più equilibrata realtà, dove non  siano i monopoli del software, come è invece ormai nel mondo del computer, a dominare e determinare lo sviluppo sociale.

La partita sta iniziando di nuovo, e l’unica certezza che ci convince che ogni ripiego sia assolutamente perdente è ricordare il detto del corano che ci dice che ogni bambino che nasce assomiglia sempre più al suo tempo piuttosto che a suo padre.