L’ ecologia compie 150 anni

Nulla accade all’improvviso, specialmente nella ricerca scientifica. Le grandi innovazioni sono il frutto di una serie di eventi preliminari, come uno sciame sismico prima del terremoto. Così fu per l’evoluzione per selezione naturale di Darwin (e Wallace), così per la doppia elica del DNA di Watson, Crick (e la Franklin) e per la teoria quantica di Planck, Einstein, Bohr& company. Così, per il battesimo dell’Ecologia.

Si perché di battesimo si trattò, quando nella seconda metà del diciannovesimo secolo Ernst Heinrich Haeckel, biologo, zoologo, filosofo, nonché fine artista tedesco, coniò e definì la parola Ecologia. By ecology, we mean the whole science of the relations of the organism to the environment, in the broad sense, all the conditions of existence.These are partly organic, partly inorganic in nature; both, as we have shown, are of the greatest significance for the form of organisms, for they force them to become adapted (E.Haeckel, 1866).

Prima di tutto, inquadriamo il personaggio. Non uno a caso, non un creativo pubblicitario che partorisce paroline che funzionano.

Haeckel, medico tedesco fu un fervente sostenitore delle teorie darwiniane, si interessò, con arguzia e dedizione all’antropologia, alla filogenesi e all’ontogenesi. Lui è quello della frase “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”. Descrisse migliaia di nuove specie, in molti casi producendo tavole che sono dei monumenti per il disegno naturalistico. Fu anche filosofo, il DieWelträtsel (termine usato per indicare l’Enigma del mondo o anche L’enigma dell’universo) è un libro di Haeckel che fu menzionato da Friedrich Nietzsche in Così parlò Zarathustra. Non si può che ammettere, uno bravo con le parole ad effetto.

 

Ma ritorniamo al battesimo dell’Ecologia, andiamo per ordine temporale, senza nemmeno scomodare la filosofia greca che tutto anticipò togliendoci la maggior parte delle gioie della scoperta. Infatti, Teofrasto (300 AC) già percepisce e fa luce riguardo l’interrelazione tra animali e il loro ambiente! Ma si sa, l’occhio del greco è buono quando anticipa il moderno, e non lo è quando è irretito nei limiti del suo tempo.

Lo “sciame sismico”, quello che anticipò la definizione di Haeckel,comincia meno di un secolo prima. Carl Nilsson Linneus, un secolo prima del battesimo, appunto, durante la sua irrefrenabile libido classificativa già percepiva le relazioni esistenti tra le specie, auspicando che ciascuna parte fosse collegata con ogni altra in modo interattivo: ”che tutte le cose naturali si porgano reciprocamente la mano”. Dio ha voluto “che si mantenesse una giusta proporzione fra tutte le specie, e che fosse impedito che alcune si moltiplichino più del dovuto” (Oeconomia Naturae).

Fino a pochi anni prima il battesimo, già emergeva con forza l’aspetto funzionale della comunità ecologica, quando Adolphe Dureau de la Malle scomodò il termine Societè (1825) per definire l’assemblaggio di individui di piante appartenenti a differenti specie.

Addirittura, veramente poco prima ci fu anche Lui, il big. Nella teoria dell’evoluzione per selezione naturale Charles Robert Darwin (1859) esprime uno straordinario concetto ecologico, rimarcando l’influenza dell’ambiente circostante sul processo adattativo delle specie. Purtroppo, il furore che scatenò la teoria darwiniana in seguito alla pubblicazione di The origin, eclissò il contributo che essa diede alla definizione di ecologia. Così, nel 1866 ci fu il battesimo, e da lì in poi un esplosione di contenuti. Come quando si trova il recipiente giusto per mettere dei pezzi di qualcosa che fino a quel momento stavano sparpagliati per casa. Passarono pochi anni e molta parte di questo contenitore fu riempita da Eugene Warming, la prima cattedra universitaria di Ecologia alla Copenaghen University. Warming con le sue escursioni per il mondo raccontò l’ecologia delle piante, delle straordinarie interazioni in ambienti estremi, dune desertiche, foreste tropicali e zone salmastre. Introducendo l’importanza dei fattori abiotici, che fino ad allora erano stati un po’ adombrati dalla competizione inter e intraspecifica che regnava negli scritti darwiniani.

 

Centocinquanta anni fa, fu coniato un termine che ha poi avuto una ripercussione straordinaria sulla nostra società in termini di conoscenza scientifica, sensibilità verso fenomeni naturali, argomentazione politica e stile di vita. Movimenti, associazionismo, partiti politici, diete e perfino capi d’abbigliamento sono stati di volta in volta affiancati alla parola ecologico.

La crescente sensibilità e il senso di responsabilità che ha coinvolto la nostra specie probabilmente dipende anche dall’impatto che essa ha iniziato a far sentire in maniera irreversibile sul nostro pianeta. Diciamo anche che in questi 150 anni la nostra popolazione è aumentata da due a quasi otto miliardi. Abbiamo costruito, trivellato, prosciugato, laghi fiumi e spostato il margine dei mari. Abbiamo immesso nell’ambiente migliaia di composti chimici tossici, convertito buona parte della terra in terreno agricolo e stiamo esaurendo le riserve di acqua dolce. Altro che sensibilità, si dovrebbe suonare un allarme.

L’antropocene, così si chiama l’era geologica in cui la nostra specie ha cambiato il pianeta imprimendo L’Impronta Originale, è caratterizzata della sesta grande estinzione. Da quando la nostra specie ha rotto questo magico equilibrio con l’ambiente ci hanno lasciato specie come il leone delle caverne e il mammut, in Eurasia, mentre dei grandi mammiferi che nel Pleistocene frequentavano il Nordamerica ne è sopravvissuti solo il 28%!

La biomassa delle specie selvatiche è diminuita gradualmente ed inesorabilmente, a favore della biomassa delle specie allevate nonché a favore del peso della nostra specie. Su questo sottile film che racchiude la vita sulla Terra noi umani pesavamo, tutti insieme, 70.000 tonnellate fino al Paleolitico. Pesavamo 13 milioni di tonnellate quando nasceva Cristo ed oggi siamo 469 milioni di tonnellate di massa umana. Un travaso di biomassa, dalla megalofauna non umana a quella umana, che ha un trend spaventoso.

Abbiamo colonizzato l’intero pianeta riducendoci in una eccessiva specializzazione. Un fenomeno inconsueto in ecologia, ma la capacità di fare strumenti che mediano il processo adattativo lo ha reso possibile. Basti pensare che delle cinquantamila specie di piante selvatiche, la maggior parte della popolazione sulla terra si nutre con i semi di sole quattro specie: riso, grano, mais e miglio. E se un’epidemia le sterminasse?

É tutto molto strano, se da un lato con la conoscenza è cresciuto un senso di attenzione e di tutela dell’ambiente, dall’altro si sono moltiplicate le azioni che possono minacciare l’ambiente stesso. Qualcosa è restato sui libri. Abbiamo fatto poco per tradurre in benefici le scoperte in campo ecologico?

 

Sono convinto che è riduttivo relegare una disciplina scientifica ai soli aspetti funzionali, la gratificazione intellettuale che ci viene dal comprendere la natura e i suoi processi rappresenta il cuore pulsante di molti che continuano a portare, seppure indegnamente, il testimone di Ernst Haeckel.É pur vero che in epoche come la nostra è necessario sporcarsi le mani con i problemi reali, agire o perlomeno pensare, studiare facendo riferimento al nostro territorio e alle persone.

Forse sarà stata l’evoluzione culturale dell’ecologia che ha funzionato da propellente ad un secolo di convenzioni internazionali, fiorite e mai completamente rispettate, instituite per tamponare un processo che è sulle ali della produttività del benessere e della irrefrenabile voglia di allungare la vita.

Il ‘900 inizia con gli studi di Henry Chandler Cowles sulle successioni ecologiche. L’ecologia oltre che interazione è dinamismo, e questa nuova visione riceve anche un altro importante contributo da parte di Alfred James Lotka (1925) e Vito Volterra (1926) sulle relazioni tra preda e predatore.

Gli anni venti e trenta che vedono la formalizzazione del concetto di biosfera ad opera di Vladimir Vernadsky (1926) come forza geologica che plasma la forma della Terra (il termine Biosfera è comunque da attribuire a Eduard Suess’ 1885). In questi anni,Charles Elton parla di catena trofica, compiendo interessanti studi in ambiente Artico dove getta le basi dell’ecologia animale e delle reti trofiche. Sono anche gli anni delle prime convenzioni internazionali, Londra (1933), sulla conservazione della fauna e della flora e Washington (1946) per la regolamentazione sulla caccia alle balene.

Di lì a poco un botanico/zoologo Arthur Tansley (1935), introduce il concetto di “ecosistema” che immediatamente si diffonde come elemento funzionale e strutturale in tutti gli studi ecologici. Intanto si chiudono gli anni quaranta con l’accordo di Roma (1949) per la pesca nel Mediterraneo e la convenzione di Parigi per la protezione degli Uccelli (1950). A Washington nel 1959 si sigla il primo trattato sull’Antartide.

Mentre a casa nostra qualcuno prevede l’epilogo dello sviluppo economico, la limitatezza delle risorse non rinnovabili e della non infinita capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta, con Augusto Peccei nasce l’associazione non governativa il Club di Roma.

 

Si dovranno aspettare gli anni settanta per un’importante convenzione di respiro mondiale che guarda ad un fenomeno che abbatte i confini nazionali, ovvero la migrazione degli uccelli. Viene infatti varata la convenzione di Ramsar (1971) come strumento di tutela degli habitat umidi di importanza per gli uccelli, trovando un ulteriore forza dalla Convenzione di Bonn del 1979.

Ma con gli anni settanta si affaccia un nuovo e preoccupante effetto della nostra attività sulla Terra. Harold Harvey studia e scopre gli effetti delle piogge acide (1972) e durante lo stesso anno a Stoccolma si tenne la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente Umano. Per la prima volta si convenne di controllare i processi legati allo sfruttamento delle risorse naturali e alla necessità di varare strategie di pianificazione. Purtroppo i governi che vi parteciparono (ben 113) non presero decisioni di alcun genere.

Sono anche gli anni della Convenzione di Washington (1973), che regola il commercio internazionale di specie selvatiche, varando il tema della tutela della biodiversità entro gli areali originari delle specie (autoctonicità).

Sebbene la metà degli anni settanta si caratterizzi per l’accordo di Parigi sull’energia (1974), gli anni ottanta si aprono con un problema globale connesso a questo aspetto. Shigeru Chubachi del Meteorological Research Institute individua un assottigliamento dello strato di ozono presso Syowa in Antartide. Nel 1984 tre ricercatori della British Antarctic Survey, Joesph Farman, Brian Gardiner, e Jonathan Shanklin, scoprono un buco nello strato di ozono ricorrente durante la primavera, pubblicando i loro dati sulla rivista britannica Nature nel 1985.

Proprio in quell’anno a Vienna si apre la Convenzione per la protezione dello strato di Ozono.

Due anni dopo è la volta dell’importante protocollo di Kyoto che si occupa del riscaldamento globale e coinvolge oltre 160 paesi: si dovrà aspettare il 2005 per la sua entrata in vigore.

Nel giugno 1992, Rio de Janeiro ospita la seconda Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, il mondo incominciava a rendersi conto della necessitàà di coniugare salvaguardia dell’ambiente e sviluppo economico e sociale. Il vertice parte infatti con grandi ambizioni, promuovendo trattati, accordi e convenzioni che riguardavano tutte le principali emergenze ambientali e sociali del Pianeta.

 

Siamo al 1995 quando Later James Lovelock introduce la visione della terra come macro-organismo con l’Ipotesi Gaia. Gli organismi co-evolvono con il loro ambiente influenzando anche l’ambiente abiotico che a sua volta cambia le condizioni del biota.

Dopo dieci anni dalla Conferenza di Rio, nel 2002 si tiene a Johannesburg, in Sudafrica, il Vertice mondiale dello sviluppo sostenibile, teso a verificare i progressi realizzati in campo ambientale e di elaborare norme che possano migliorare la qualità della vita nel rispetto dell’ambiente. Amare sono le constatazioni che emergono riguardo gli obiettivi perseguiti fino a quel momento.

I primi anni del terzo millennio sono un susseguirsi di importanti contributi scientifici che aprono ad interessanti applicazioni e creano legami,per esempio tra l’ecologia e le scienze mediche. Tra questi il lavoro di Oliver e collaboratori (2005 e 2009) dimostra che la suscettibilità di un afide agli attacchi di una vespa è determinato dal fatto che i suoi microbi intestinali portano un fago batterico capace di creare resistenza.

I microbiomi intestinali, quelli polmonari come pure il microbioma della pelle, che rappresenta la prima interfaccia sull’ambiente esterno,possono rappresentare le sentinelle verso patogeni esterni. Una sorta di simbiosi basata su fagi (pezzi di DNA) che passano tra batteri e loro ospiti. Già si intravedono applicazioni alla cura dell’asma o delle infezioni vaginali (anche collegate al rischi di contrarre HIV).Questi trasferimenti in campo medico di questo e altri studi ecologici stanno aprendo una breccia su una nuova frontiera di questa disciplina. Un’Ecologia che può guardare al globale o all’infinitamente piccolo cogliendo comunque aspetti che riguardano molto da vicino la nostra specie.