Migranti: quanti sono, dove sono

Il migrante

La definizione di migrante varia a seconda dei sistemi giuridici; non è universale. Tuttavia si può attribuire al termine migrazione la definizione proposta dalle Nazioni Unite: il migrante è colui che si è spostato in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno.
Questa definizione include tre elementi molto importanti: l’attraversamento di un confine nazionale; un paese diverso da quello in cui il migrante ha vissuto precedentemente; la permanenza nel nuovo paese per almeno un anno. Ne deriva che questa definizione esclude le permanenze di durata inferiore a un anno e le migrazioni interne, ovvero gli spostamenti da una regione all’altra dello stesso paese (Ambrosini 2011, p.17).
Se storicamente le migrazioni erano considerate lo strumento per migliorare le condizioni di vita e  cercare ecosistemi più ricchi di risorse, oggi i motivi che portano allo status di immigrato sono diversi: sfuggire da condizioni politiche o religiose avverse (i cosiddetti rifugiati politici e religiosi) o da condizioni ambientali sfavorevoli (i migranti ambientali). In ogni caso ciò che accomuna i migranti – qualunque sia il motivo di fondo –  è un ragionamento individuale o di gruppo su costi e benefici. Le valutazioni coinvolgono tanti aspetti, non solo a livello economico: dalla capacità di adattamento, alla propensione a sfruttare una nuova opportunità; dall’avere una motivazione solida per intraprendere un percorso da migrante, all’essere costretti per motivi estrinseci a migrare.

 

L’umanità che migra

Fin dalle origini, il genere umano ha sempre manifestato la propensione a migrare dal proprio luogo d’origine verso nuovi territori. La migrazione è un fenomeno che rimanda alla storia della vita dell’uomo. La scoperta di nuovi attrezzi da lavoro, ad esempio, ha consentito la migrazione verso nuovi territori dove è stato possibile coltivare la terra, in modo da garantire maggiori quantità di cibo e quindi la sopravvivenza della popolazione stessa.
Lo spostamento di massa  è la conseguenza dei cambiamenti culturali, ma anche biologici.
L’umanità è stata sempre impegnata in continui spostamenti. Le migrazioni, le cui cause sono tante, ma prevalentemente volontarie, hanno un unico punto di arrivo: la ricerca di condizioni di vita migliori.

Tuttavia, con lo sviluppo delle società con organizzazione politica, i flussi migratori diventano sempre più “regolati”: nasce la necessità di delineare i confini di una nazione, definire chi appartiene a essa e chi invece deve essere considerato uno straniero.

La mobilità con il passare del tempo è stata sempre meno individuale e più improntata sulle logiche politiche. Dal 1300 in avanti si sono registrati in Europa due importanti movimenti migratori: la “Reconquista” cristiana delle regioni spagnole a dominio arabo da Nord verso Sud, che culminò con l’espulsione dei governanti musulmani; e il “Drang Nach Osten”, lo spostamento delle popolazioni germaniche verso Est, cioè negli attuali territori tedeschi (Micheli 2010).
Nei secoli dal 1500 al 1800 si sono registrate invece due migrazioni transoceaniche partite dall’Europa: la prima verso Stati Uniti, Canada e Sudafrica; e la seconda verso Russia, Argentina e Australia (Micheli 2010). Un ruolo importante ebbero anche le migrazioni di persone con particolari specializzazioni, come ingegneri, medici, scienziati, artisti e musicisti per i quali stava iniziando a formarsi un mercato globale. In questi anni l’Europa diventa esportatrice di risorse umane e le migrazioni transoceaniche si configurarono come tasselli fondamentali dello sviluppo e del progresso.

Questa mobilità può essere vista come rafforzamento del capitale umano che ha sfruttato la capacità degli individui di cambiare residenza e di sviluppare nuove innovazioni tecnologiche (il progresso nelle tecniche di navigazione ad esempio): da questo momento gli spostamenti fisici della popolazione non erano più considerati comportamenti da giustificare, ma venivano legittimati.
Nell’Ottocento le migrazioni dall’Europa presentano caratteristiche diverse: si rafforza la capacità di spostarsi, si accorciano le distanze, si accelerano i ritmi di cambiamento. Vi è inoltre la componente del cambiamento demografico, sociale ed economico: rispetto ai secoli precedenti, infatti, si registra una crescita demografica, un aumento della produzione agricola e contemporaneamente industriale, ma anche un consistente aumento di forza lavoro poco remunerata o di disoccupati. Questi fenomeni porteranno a movimenti di massa mai registrati prima: alla fine dell’Ottocento circa cinquanta milioni di europei su una popolazione di 188 milioni di persone si spostano. Si assiste, nel medesimo tempo, a una cospicua accelerazione demografica che porta la popolazione del continente europeo a moltiplicarsi per due volte e mezzo. Ma gran parte di questa accelerazione demografica è dovuta anche al contenimento della mortalità, alla crescita delle conoscenze mediche e all’aumento delle risorse alimentari.

Nell’ultimo secolo le correnti migratorie a livello internazionale si sono fortemente accresciute grazie ai mutamenti tecnologici e alle maggiori disponibilità economiche. Correnti che tuttavia sono state intralciate e condizionate dagli avvenimenti politici. Per fare qualche esempio ricordiamo i maggiori eventi del ventesimo secolo: le due guerre mondiali e il riassetto geopolitico dell’Europa postbellica; la crisi del ’29 che ha portato gli Stati a bloccare il processo di internazionalizzazione economica iniziato alla fine dell’Ottocento; il consolidarsi del blocco sovietico e poi la sua dissoluzione; la nascita e il consolidamento dell’Unione Europea. Nell’ultimo secolo la popolazione europea si assesta su bassi livelli di natalità e cessa di essere produttrice di abbondanti risorse umane. Ma nonostante ciò, la popolazione continua a crescere, arrivando a più di settecento milioni di abitanti nei primi anni del 2000.
Le scelte politiche hanno qui un ruolo fondamentale. Da una parte c’è la tendenza ad adottare un tipo di politica chiusa, pronta a valorizzare le risorse e le tradizioni interne, nonché una politica volta a favorire la natalità: l’immigrazione qui non ha influenza sul tessuto sociale. Dalla parte opposta c’è l’idea di una società aperta che possa sfruttare le opportunità dell’immigrazione e investire nell’integrazione dei migranti. Questi due modelli presentano caratteristiche opposte che hanno a che fare anche con l’idea di società: il primo modello, infatti, consentirebbe una continuità sociale con il succedersi delle generazioni (attraverso processi riproduttivi quasi esclusivamente biologici); il secondo modello, invece, consentirebbe una riproduzione non solo biologica ma anche sociale, in cui le nuove generazioni sono figli non solo di autoctoni, ma anche di immigrati.

 

I migranti di oggi

Il polo migratorio più consistente al mondo è oggi costituito, insieme al Nord America, dall’Europa.
La normativa europea regola i flussi migratori e tutti gli Stati membri devono attenersi ai principi normativi; anche se i soggiorni, la determinazione delle quote, l’integrazione e l’acquisizione della cittadinanza sono aspetti di competenza nazionale, con numerose differenze tra gli Stati membri. Le politiche comunitarie sull’immigrazione tuttavia assicurano un minimo comune denominatore nei ventotto Stati europei.
Attraverso la somma delle statistiche compilate da tutti gli Stati (Regolamento n. 862 del 2007), è possibile pervenire al numero degli immigranti presenti in Europa. Le fonti principali sono l’Eurostat e l’OCSE che contano, fino al dicembre 2009, circa 32,5 milioni di stranieri residenti in Europa.

L’incidenza degli immigrati è diversa nei vari Stati dell’Unione Europea. La popolazione straniera è concentrata per i tre quarti in cinque paesi: Germania, Spagna, Italia, Regno Unito e Francia. In Germania vi è un’incidenza dell’8,7% di cittadini stranieri: sono 7.130.919, il numero maggiore rispetto agli altri paesi, ma in diminuzione perché in parte sono lavoratori stagionali (che quindi non ottengono la residenza) e perchè gli stranieri residenti, che hanno acquisito la cittadinanza tedesca, sono più numerosi rispetto a quelli che si sono appena stabiliti lì.
La Spagna è il secondo paese per numerosità di stranieri presenti (5.663.525 migranti), ma con un’incidenza maggiore rispetto alla Germania (12,3%), a testimonianza di come la diversa politica nazionale incida sulla capacità attrattiva nei confronti dello straniero che in Spagna (ma anche in altri paesi come il Lussemburgo, la Lettonia, l’Estonia e Cipro) trova una cospicua presenza di strutture comunitarie e di attività che ruotano intorno all’integrazione dell’immigrato. Il Lussemburgo ospita migranti provenienti prevalentemente dai paesi dall’Unione Europea.
L’Italia e il Regno Unito, occupano rispettivamente il terzo e quarto posto e hanno un’incidenza di cittadini stranieri pari al 7,0 %. Il quinto paese per numerosità di popolazione straniera, invece, è la Francia con 3.769.016 cittadini immigrati e un’incidenza del 5,8%.
In totale, in Europa, i residenti nati all’estero sono più numerosi di quelli che hanno la cittadinanza estera e sono 47,3 milioni, dei quali 31,4 milioni sono nati al di fuori dei confini dell’unione Europea.

Diversi fattori di natura geografica, storica, economica, sociale,  culturale e personale incidono in maniera differente sull’insediamento di determinate collettività nei singoli paesi dell’Unione Europea. Inoltre  grande importanza riveste la vicinanza tra il paese d’origine e quello di accoglienza (per fare qualche esempio, sono molti gli albanesi che vivono in Grecia o in Italia, così come sono tanti i tedeschi in Polonia e gli irlandesi in Gran Bretagna).

In base ai dati dell’Eurostat del 2013, le variazioni demografiche dell’ultimo periodo nell’Unione Europea sono uno dei principali fattori che influenzano la vita degli europei. Il profilo e la struttura della popolazione dell’UE sono cambiati considerevolmente anche in virtù di livelli più elevati di migrazione e di maggiore mobilità geografica. Complessivamente 3,4 milioni di migranti si sono insediati in uno Stato europeo, mentre almeno 2,8 milioni di persone hanno lasciato lo Stato d’origine (fig.1).

Figura1

Figura 1: Immigrati per gruppo di cittadinanza. Fontehttp://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Migration_and_migrant_population_statistics/it

Il tasso di immigrazione più elevato, in rapporto con la popolazione residente, è stato registrato dal Lussemburgo (39 immigrati per mille abitanti), seguito da Malta (20 per mille abitanti) e da Cipro con quindici immigrati per mille abitanti (fig.2).

Immigrati per mille abitanti

Figura 2: Immigrati per mille abitanti. Fontehttp://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Migration_and_migrant_population_statistics/it

Inoltre nel 2013 il numero delle acquisizioni di cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione Europea è salito del 20% rispetto al 2012.
È da tenere in considerazione, però, che una buona fetta dei flussi migratori sfuggono alle rilevazioni statistiche, in quanto irregolari. A livello europeo i migranti irregolari sono oggetto di studio nell’ambito del progetto “Clandestino”(2009), grazie al quale è stato pubblicato un volume dal titolo “Irregular Migration in Europe” ed è stato costituito un database on-line (www.irregular-migration.hwwi.net), in base al quale si stima che nei cinque paesi su citati la presenza di migranti irregolari è di 200.000-400.000 in Francia; 120.000-380.000 nel Regno Unito; 500.000-1.000.000 in Germania; 300.000-600.000 in Spagna; circa 500.000 in Italia.

Al 1° gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni e 656.000residenti. Gli stranieri sono 5 milioni e 54.000 e rappresentano l’8,3% della popolazione totale (in diminuzione). La popolazione di cittadinanza italiana risulta così di 55,6 milioni.
Inoltre, continua a crescere l’emigrazione e a diminuire l’immigrazione. Lo scorso decennio è stato caratterizzato da cospicui flussi migratori verso l’Italia, tendenza che oggi si sta progressivamente attenuando, a causa della perdita di attrattività del Paese nei confronti sia dei migranti internazionali che dei connazionali. Sul versante delle uscite, invece, il numero di italiani che emigrano all’estero è in aumento in maniera significativa. Il risultato di tali comportamenti migratori è un saldo migratorio con l’estero negativo e pari a 72.000 unità (per i soli cittadini italiani). Quello degli stranieri invece risulta ampiamente positivo e conta circa 200.000 unità. Il saldo migratorio con l’estero risulta ovunque positivo, anche nelle regioni del Mezzogiorno (+1,6 per mille). Tuttavia, esiste, come sempre, una grande variabilità geografica nelle capacità attrattive e repulsive delle tre aree del territorio italiano rispetto al luogo di dimora abituale da eleggere o da abbandonare. Infatti, se come detto il Mezzogiorno registra un saldo pari a +1,6 per mille,
nelle regioni del Centro il saldo migratorio con l’estero è all’incirca doppio rispetto al Mezzogiorno (+3,2 per mille), anche perché in tale ripartizione pesa positivamente il contributo del Lazio (+4 per mille). Mentreal Nord, il saldo migratorio con l’estero cala nuovamente: è pari al 2 per mille, con valori massimi in Emilia-Romagna (+3 per mille) e Lombardia (+2,3).

 
 
Fonti

Ambrosini, M. (2011) Sociologia delle migrazioni, Bologna, il Mulino.

Gozzini, G. (2005) Le migrazioni di ieri e di oggi: una storia comparata, Milano, Mondadori.

Livi Bacci, M. (2014) In cammino. Breve storia sulle migrazioni, Bologna, il Mulino.

http://www.dossierimmigrazione.it/docnews/file/2012_Handbook_Cap3.pdf

http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Migration_and_migrant_population_statistics/it

http://www.istat.it/it/archivio/180494

http://www.istat.it/it/files/2016/02/Indicatori-demografici_2015.pdf?title=Indicatori+demografici++-+19%2Ffeb%2F2016+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf