Approvato il nuovo Piano nazionale della ricerca Pnr

Il 2 maggio è stato approvato dal Cipe (comitato interministeriale per la programmazione economica), il nuovo Piano nazionale della ricerca (Pnr) 2015-2020. Quasi 2,5 miliardi di euro per la ricerca e un miliardo per i beni culturali italiani: cifre che  dovrebbero rilanciare l’università italiana, riportare in patria i “cervelli scappati” e dar vita a progetti all’avanguardia.

Secondo il piano, il 42% di questa cifra andrà al capitolo capitale umano, il 14% alle infrastrutture di ricerca, il 20% alla cooperazione pubblico-privato e alla ricerca industriale, il 18% alla ricerca nel Mezzogiorno, il 5% all’internazionalizzazione e, infine, l’1% alla quality spending.

Dodici le aree di specializzazione su cui punta il governo:  aerospaziale, agrifood, industria 4.0, salute, ma anche design-creatività- made in Italy, chimica verde, cultural heritage e blu growth. Questi i settori su cui puntare, ma è tutta ricerca applicata, mentre i fondi per la ricerca di base restano un’incognita.

Non sono quindi tardate ad arrivare le prime critiche: innanzitutto il documento arriva con due anni di ritardo rispetto alla prima bozza, elaborata dal governo Letta nel gennaio 2014. Il Pnr “2014-2020″ è stato quindi ribattezzato “2015-2020″. Inoltre i 2,5 miliardi stanziati per il triennio 2015-2017 (diventeranno 4,6 fino al 2020) sono in realtà i fondi ordinari, già in dotazione negli scorsi anni, per università ed enti. Mentre i contributi supplementari in arrivo dall’Europa per i progetti Horizon 2020 sono ancora tutti da verificare e probabilmente sono stati sovrastimati dal governo.

Anche se in seguito alla petizione lanciata da Giorgio Parisi qualcosa si sta muovendo, l’Italia rischia comunque di restare lontana dagli standard europei per la ricerca: il nostro Paese spende l’1,31% del Pil in ricerca e innovazione, molto sotto la media europea pari al 2,01% del Pil. Per il nuovo Pnr, quindi, l’obiettivo è di riuscire ad arrivare all’1,53% del Pil entro il 2020.

 

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