L’ Ecologia, figlia dell’Antropocene, si è fatta in tre

Se ogni anno ha i suoi anniversari, il 2016 ne celebra di tragici (il disastro della centrale nucleare di Chernobyl – 1986) e di felici, come la nascita, nel 1866, del concetto di “ecologia” ad opera del tedesco Ernst Heinrich Philipp August Haeckel (1834-1919), medico diventato zoologo (ma anche artista autore di accurate tavole naturalistiche, filosofo e biologo – strumentalizzato post mortem dal nazismo per via di qualche cantonata presa sulle razze).
La Federazione delle società europee di ecologia gli sta dedicando un programma di celebrazioni e un sito web apposito che vale la pena visitare per la ricchezza di documenti e una bella “timeline”.
Haeckel, a sua volta, deve molto a Darwin, convertendosi alla zoologia dopo la lettura della Origine delle specie, pubblicata nel 1859.
In quegli stessi anni, arrivato a Torino come primo ambasciatore degli Stati Uniti nel neonato Regno d’Italia, George Perkins Marsh scriveva Man and Nature (1864) fondando, prima che si chiamasse così, l’ecologismo scientifico.

Allo sviluppo delle scienze tra il XVIII e il XIX secolo dobbiamo, insomma, la scoperta dell’evoluzione, che “tutto è interconnesso” e, appunto, l’ecologia, che in senso stretto è lo studio scientifico delle relazioni tra gli organismi e l’ambiente e dei fattori organici e inorganici da cui le relazioni dipendono. Sono, insomma, prodotti dell’Antropocene, che fornisce nuovi e potenti mezzi per comprendere il mondo e soprattutto per trasformarlo, nel bene e nel male.
Inevitabile che il concetto di ecologia, scienza interdisciplinare, sfugga di mano agli scienziati della natura quando nel XX secolo, tra gli anni ’60 e ’70, diventano evidenti l’impatto della specie umana sul pianeta e le retroazioni di questo impatto sulla nostra salute, sulla vita sociale e politica, sull’economia. Nascono dunque molti rami dell’ecologia. L’ecologia si fa saggezza (“ecosofia”) e modello di pensiero (“deep ecology”, ecologia profonda).
Per Félix Guattari (1930-1992) di ecologie ce ne sono tre (ambientale, sociale, mentale), ma nell’uso corrente se ne perde il conto. Una ricerca su Google al momento della redazione del presente articolo restituisce circa 35.700.000 risultati per il sostantivo “ecologia” (101.000.000 se proviamo con l’inglese), 15.600.000 risultati per l’aggettivo.

“Ecologia” ed “ecologico” possono indicare un settore della macchina comunale, una impresa di trattamento rifiuti, una attività di disinquinamento, un prodotto “amico” dell’ambiente, un’auto che emette CO2 un po’ meno delle altre, una casa a basso impatto, un marchio tranquillizzante la nostra coscienza, una furbata pubblicitaria. Nel dilagare del termine (da un certo punto in poi, in coppia con “sostenibile”) si infiltrano l’eufemismo e il greenwashing.
Grande appropriatore, l’Homo sapiens si è appropriato anche del termine e lo studio scientifico delle relazioni tra gli organismi e l’ambiente è diventato occuparsi delle relazioni di un organismo, il più attivo e invasivo, con l’ambiente terrestre.
In fondo, è giusto così: senza la presenza umana, le relazioni tra organismi viventi e ambiente biotico e abiotico continuerebbero a svilupparsi come avevano fatto per qualche miliardo di anni. Ma con l’ominazione e soprattutto con l’esplosione esponenziale degli ultimi due secoli e mezzo (l’Antropocene, appunto) tutto è cambiato. Capire (per rispettarle) le relazioni degli organismi con l’ambiente è diventato fondamentale per il nostro benessere e per il nostro futuro, così come capire (per rivoluzionarle) le relazioni all’interno di quell’organismo tanto complesso che è la società umana e tra questa, gli altri organismi e tutti gli elementi organici e inorganici del pianeta.
Ecologiche dovrebbero diventare le nostre tecnologie, le nostre ricerche, la cultura, le città, le istituzioni, l’economia, la politica, le pratiche sociali,…

Solo una ecologia integrale (a ricordarcelo è papa Francesco in Laudato si’), una ecologia che includa giustizia ambientale e giustizia sociale, ci salverà.