Terrorismo nucleare: la bomba sporca

Dopo che si è saputo che in Belgio un esperto nucleare era stato spiato dai terroristi responsabili degli attacchi del novembre a Parigi, si è riaffacciata la preoccupazione per la minaccia di un attacco con armi “nucleari”. Ma di che tipo di armi in realtà si tratta, e di che rischio, non è sempre chiaro.

Recenti articoli di  Elisabeth Eaves (relativamente ottimista) e di Joe Cirincione (pessimista) sul Bulletin of the atomic scientists dell’aprile 2016 spiegano bene la questione.

Un attacco alle città con un missile dotato di una testata nucleare, del tipo degli scenari apocalittici del tempo della guerra fredda, è estremamente improbabile: da escludere. Vanno invece valutati tre altri tipi di minaccia, di natura molto diversa.

La più devastante, ma anche la meno probabile, è che i terroristi riescano a fabbricare o a ottenere da qualche fonte una vera bomba nucleare e a farla esplodere in una zona densamente abitata, causando distruzioni immense.

Per fabbricare una rudimentale bomba a fissione(°) occorre disporre del materiale fissile, uranio fortemente arricchito(^) o di plutonio, e di competenze tecniche; uranio arricchito e plutonio potrebbero essere rubati (ne basterebbe una quantità che può essere contenuta in una scatola da scarpe), ma i siti dove il materiale fissile è tenuto dovrebbero essere ben controllati (il dubbio è legittimo);  competenze tecniche adeguate invece non sono disponibili nello stato islamico o nei gruppi terroristici. Le possibilità di rubare una bomba sono scarse, anche se in Europa – e nella stessa Italia –  sono ancora sparpagliate circa 200 bombe atomiche tattiche americane; quella di comprare una bomba rubata dagli arsenali esistenti in molti paesi, o di ottenerla da uno stato nucleare ostile agli interessi occidentali, come la Corea del Nord, è ritenuta remota per varie ragioni: gli arsenali esistenti sono ben controllati e inoltre uno stato canaglia sarebbe presto riconosciuto responsabile e sottoposto a rappresaglia. Infine sarebbe necessario disporre dei codici di autorizzazione per rendere la bomba operativa.

Da diversi anni il Nuclear Security Summit, che riunisce oltre 50 paesi, si preoccupa di predisporre le misure affinché i terroristi non giungano a disporre di un’arma nucleare o radiologica. Uno dei suoi obiettivi in particolare  è: “Securing the Use, Storage and Transport of Strategic Nuclear and Radiological Materials”.

Il comunicato finale dell’ultimo Summit così inizia: «The threat of nuclear and radiological terrorism remains one of the greatest challenges to international security, and the threat is constantly evolving.  We, the leaders, gathered in Washington, D.C. on the first day of April, 2016 on the occasion of the fourth Nuclear Security Summit, are proud to observe that the Summits have since 2010 raised awareness of this threat and driven many tangible, meaningful and lasting improvements in nuclear security».   Si è raggiunto un accordo sulla eliminazione di oltre 1500 chili di uranio fortemente arricchito e di plutonio, sulla istituzione di molti centri di addestramento e sull’ aggiornamento delle leggi nazionali sulla sicurezza nucleare. Molto ancora resta da fare.

Il secondo tipo di minaccia, il più probabile, non è quello di un’arma nucleare, ma quello di una bomba sporca, detta anche bomba radiologica; l’esplosivo è convenzionale, ossia lo stesso impiegato in tutte la bombe del mondo, ma  l’ordigno è riempito di materiale fortemente radioattivo, che verrebbe disperso nell’ambiente all’atto dell’esplosione. Questo tipo di arma sarebbe di facile realizzazione, perché non è difficile impadronirsi di materiale radioattivo, reperibile in centinaia di siti poco protetti.

Mentre una bomba atomica sprigiona una energia milioni di volte maggiore di quella di una bomba convenzionale e distrugge un’area immensa, un’intera città o anche oltre, gli effetti meccanici dell’esplosione di una bomba sporca coinvolgerebbero solo un’area limitata; nell’immediato una bomba sporca  ucciderebbe e ferirebbe meno persone di quanto fa una bomba convenzionale.

Ma a questo effetto si sommerebbe quello della dispersione nell’ambiente del materiale radioattivo che contiene. Indipendentemente dal danno reale che la radioattività produrrebbe sulle persone, la sola notizia della sua diffusione provocherebbe un panico diffuso, e provocare panico è appunto uno degli obiettivi dei terroristi.

Procurarsi il materiale necessario non è un problema; in più di cento paesi esistono migliaia di siti che contengono isotopi radioattivi, largamente usati in medicina, nell’industria e in agricoltura. Spesso questi siti non sono adeguatamente controllati, e infatti  si sono verificati numerosi furti; l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA)  di Vienna ha documentato quasi 400 casi di traffico di materiali radioattivi dal 1993. L’IAEA suddivide il materiale radioattivo in cinque categorie. La prima include quello più pericoloso, tanto che basterebbe una esposizione di pochi minuti per provocare gravissimi danni o la morte; la quinta riguarda isotopi, come l’americio 241, il cesio 137  o lo stronzio 90, che non presentano grande pericolosità se l’esposizione è breve.

Qualche etto di cesio o di stronzio, dispersi da un’esplosione, contaminerebbe pesantemente l’area circostante.

Dopo un’esplosione si porrebbero vari problemi: individuare il tipo di materiale disperso, evacuare la popolazione dalla zona contaminata, decontaminare l’area dell’incidente. A parte i danni  provocati  direttamente dall’esplosione della bomba, i danni alla salute delle persone coinvolte dovuti alla radioattività non sarebbero immediatamente evidenti e  i danni  a lungo termine non sarebbero facilmente quantificabili (*).

Il primo riferimento ad armi radiologiche è in un rapporto del Progetto Manhattan  del 1943, “Use of Radioactive Materials as a Military Weapon“:

«Come un gas per utilizzo militare, il materiale potrebbe[…]essere inalato. L’ammontare necessario per provocare la morte ad una persona che inala il materiale è estremamente piccolo. […] Non può essere individuato dai sensi; può essere distribuito sotto forma di polvere o fumo.  […] I materiali radioattivi possono essere usati […]per rendere inabitabili  le aree evacuate, per contaminare piccole aree critiche come stazioni ferroviarie e aeroporti  come gas radioattivo velenoso per causare vittime tra le truppe o contro grandi città, per promuovere il panico e provocare vittime tra le popolazioni civili».

La maggioranza degli esperti intervistati dal Bulletin ritiene probabile che entro i prossimi cinque anni vi sia un attentato terroristico con una bomba sporca.

Il terzo tipo di minaccia è il sabotaggio di una centrale nucleare. E’ estremamente improbabile che i sabotatori siano in grado di provocare la fuga del materiale del nocciolo del reattore, causando un disastro tipo Chernobyl, ma i danni potrebbero essere considerevoli. I reattori sono protetti tanto da poter resistere all’impatto di un aereo, e gli impianti nucleari sono seriamente controllati; non dimentichiamo però che in Belgio nel 2014 un impianto ha subito un sabotaggio.

Meno difficile sarebbe un attacco per disperdere il materiale contenuto nei depositi del combustibile nucleare esausto, che è fortemente radioattivo; ne esistono in tutti i paesi che dispongono di reattori elettronucleari, e anche in Italia. Spesso non sono controllati a sufficienza.

 

Note:

(°) La fissione nucleare è la reazione nella quale un nucleo atomico (pesante) si spezza in due frammenti più altre particelle, con l’emissione di una grande quantità di energia. E’ il processo alla base del funzionamento delle centrali nucleari e delle esplosioni “atomiche”.

(^) L’uranio naturale, quello che si scava nelle miniere, è costituito quasi esclusivamente da due tipi di atomi: l’U238, il più pesante, che ne costituisce un poco più del 99%, e l’U235, il più leggero, che ne costituisca un po’ meno dell’1%. Per costruire le bombe occorre aumentare fortemente la percentuale dell’ U235, ossia di disporre di uranio fortemente arricchito.

(*) Quanto sia difficile valutare il danno a lungo termine è dimostrato anche dai dati sul drammatico incidente al reattore di Chernobyl. Si va dai 56 morti accertati , alle 4000 probabili vittime  a lungo termine  indicate in alcuni rapporti ufficiali del 2006, ai 250000 cancri, 100000 dei quali mortali, secondo un rapporto di Greenpeace.