Aenaria e le piccole isole tirreniche nella storia del Mediterraneo

L’intervento di Alessandra Benini al Convegno “Natura e cultura delle piccole isole” dell’edizione 2016 della Scuola Scienza & Società.

 

La penisola italiana si estende in mare con circa 7500 chilometri di coste ed è costellata da circa 800 isole che vanno dalle grandi regioni come la Sicilia e la Sardegna fino a piccoli scogli disabitati, molti dei quali pressoché sconosciuti, se non in ambito locale. La sua posizione al centro del Mediterraneo, la natura delle coste a tratti alte e frastagliate a tratti basse e sabbiose e la moltitudine di isole che la caratterizzano hanno giocato un ruolo fondamentale nella diffusione ed esportazione delle conoscenze culturali e della tecnologia fin dalle epoche più remote.

Le prime rotte marittime si affidarono esclusivamente ad una navigazione a vista e le piccole isole, insieme a scogli e promontori, divennero non solo dei precisi riferimenti ottici ma anche dei sicuri capisaldi distribuiti lungo i primi tentativi di spostamento via mare.
Una delle testimonianze inequivocabili della presenza di commerci marittimi, già a partire dal Mesolitico e ampiamente consolidatisi durante il Neolitico[1], è legata al ritrovamento sulla terraferma di ossidiana lavorata per la realizzazione di lame e punte proveniente principalmente dalla Sardegna (Monte Arci), da Palmarola (Isole Pontine), da Pantelleria e da Lipari (Isole Eolie)[2].

Analisi petrografiche e fisico-chimiche condotte sui ritrovamenti effettuati in ambito continentale  hanno permesso di riconoscere le singole colate laviche di provenienza  e quindi ricomporre un quadro delle direttrici di esportazione che coinvolgevano soprattutto l’Italia peninsulare e continentale, ma anche la Francia meridionale, l’Africa settentrionale e Malta (Fig. 1).

Fig. 1: Carta delle direttrici di distribuzione dell’ossidiana.

Fig. 1: Carta delle direttrici di distribuzione dell’ossidiana.

Per lo svolgimento di questi traffici commerciali d’oltremare vennero utilizzate imbarcazioni monossili, realizzate scavando con il fuoco tronchi di albero, o tutt’al più zattere, sospinte esclusivamente da remi, delle quali una delle più antiche raffigurazioni risale al III millennio a.C. (Fig. 2).

Fig. 2 Padella proveniente da Syros (Cicladi) con raffigurazione di imbarcazione a remi (III millennio a.C.).

Fig. 2: Padella proveniente da Syros (Cicladi) con raffigurazione di imbarcazione a remi (III millennio a.C.).

Il paesaggio marittimo in cui si mossero i primi navigatori era comunque ben diverso da quello odierno e le distanze da coprire per raggiungere il continente erano in media inferiori rispetto alle attuali.  La principale causa di questo cambiamento risiede nelle importanti variazioni che il livello del mare ha subìto nel corso dei millenni in relazione ai forti mutamenti climatici del globo terrestre e le conseguenti glaciazioni. Alla fine dell’ultima glaciazione – nota come glaciazione Würm e  terminata 18.000 anni fa – il livello del mare era più basso di circa 120 metri come conseguenza delle grandi quantità di acqua bloccate nelle calotte polari che arrivarono a coprire gran parte dell’Europa settentrionale (Fig. 3).

Fig. 3 Variazioni climatiche e conseguenti variazioni del livello del mare.

Fig. 3: Variazioni climatiche e conseguenti variazioni del livello del mare.

 

La più nota testimonianza archeologica che documenta questo forte abbassamento del livello del mare è la grotta Cosquer, dal nome dello scopritore, situata lungo le coste della Francia meridionale  a pochi chilometri da Marsiglia. Attualmente la grotta ha un ingresso a circa 37 di profondità ed un corridoio lungo 175 metri conduce ad una stanza parzialmente allagata dove sono stati scoperte raffigurazioni  datate  27.000 BP e 18.500 BP rappresentanti, le più antiche, impronte di mani al negativo e le più recenti animali marini (tra cui pinguini) e terrestri[3].  Dagli studi effettuati risulta che l’antica linea di costa, nel periodo dell’ utilizzo della grotta, distava circa 8 chilometri dal suo ingresso.

In un bacino marino relativamente poco profondo come il Mar Mediterraneo, a un forte abbassamento  del livello del mare corrisponde di conseguenza un forte avanzamento delle linee di costa e il restringimento dei bracci di mare che separano le isole dalla terraferma. Considerando che in epoca antica (preistorica e storica) si effettuava di preferenza una navigazione costiera e a vista, queste diverse condizioni geomorfologiche contribuirono in parte ad affrontare il mare anche con imbarcazioni poco affidabili. Un altro fattore che forse contribuì ad avviare questi primi spostamenti via mare fu proprio la quantità e la disposizione di tutte le piccole isole italiane che costituiscono un “filo guida” dalla Sicilia (e quindi dal Mediterraneo orientale, culla delle prime civiltà di navigatori) fino alle coste francesi e quindi al Mediterraneo occidentale. Piccole isole che nelle giornate più limpide sono ancora oggi visibili tra di loro e che quindi fornivano dei riferimenti per la rotta da seguire, dei punti di ridosso e di sbarco in caso di maltempo e per le ore notturne ma soprattutto garantivano la possibilità di rifornirsi di acqua e cibo.

Nel VIII secolo a.C. con l’inizio della colonizzazione greca del Mediterraneo occidentale, il mar Tirreno diviene il crocevia marittimo per la conquista di nuovi territori e nuovi mercati e come primo caposaldo, in questo periodo di nuove esplorazioni, venne scelta, dai coloni provenienti da Calcide in Eubea,  proprio l’isola d’Ischia (Pithecusa). Dapprima probabilmente un semplice punto di approdo, sicuramente più sicuro della terraferma, a carattere emporico divenuto poi uno stanziamento urbano del quale gli scavi condotti a partire dagli anni ’50 del secolo scorso ad opera di G. Buchner ne hanno in parte delineato estensione e peculiarità. Tra i numerosissimi rinvenimenti effettuati nella necropoli di San Montano spicca – per notorietà – la c.d. coppa di Nestore con iscrizione graffita, primo esempio di scrittura alfabetica rinvenuto in Occidente[4], a testimonianza  del ruolo svolto da questi insediamenti “di frontiera” nella diffusione di cultura e tecnologia (Fig. 4).

Fig. 4 La c.d. coppa di Nestore, attualmente esposta al Museo Archeologico di Pithecusae a Lacco Ameno (Ischia).

Fig. 4: La c.d. coppa di Nestore, attualmente esposta al Museo Archeologico di Pithecusae a Lacco Ameno (Ischia).

Rimanendo nell’ambito ischitano un buon esempio sul ruolo e sull’importanza delle piccole (in questo caso piccolissime) isole è dato dalla c.d. Insula Minor, ossia quanto resta di un duomo lavico e che oggi ospita il Castello Aragonese. La conformazione e la posizione lo hanno reso, da un punto di vista militare, una postazione di grande rilevanza strategica; la tradizione letteraria vi ha immaginato la colonia militare inviata da Gerone di Siracusa dopo la battaglia di Cuma contro gli Etruschi nel 474 a.C. riconducendola al toponimo Castrum Gironis citato per la prima volta nel 1036 e con il quale non ha alcun legame, come già sottolineato in passato da Buchner [5].  La mancanza di un riscontro archeologico sulla frequentazione antica sull’isolotto può essere in parte ricondotta all’intensa attività edilizia dei secoli successivi[6], ma non è improbabile che sia stato utilizzato come punto di avvistamento e di guardia per il controllo del braccio di mare che lo separa dal promontorio di Miseno e del tratto di mare compreso tra Napoli, Punta Campanella e Capri.

E’ logico inoltre presupporre che i greci nella loro espansione verso occidente si siano avvalsi anche dell’arcipelago pontino sia come punti di ridosso sia per l’approvvigionamento idrico. Così come l’arcipelago pontino ebbe un ruolo fondamentale nel controllo dello spazio marittimo sancito nel primo trattato stipulato tra Roma e Cartagine nel 509 a.C.

Di pari passo con lo sviluppo del commercio via mare nacque e si diffuse in tutto il Mediterraneo la piaga della pirateria e il fenomeno fu evidentemente così rilevante da essere uno dei temi per la decorazione dei vasi greci, tra cui possiamo ricordare a titolo di esempio il cratere di Aristonothos databile al VII secolo a. C e la coppa attica a figure nere del VI sec. a.C. (Fig. 5), ma il fenomeno proseguì anche durante l’epoca romana se – come riportato dalle fonti letterarie – lo stesso Giulio Cesare fu rapito dai pirati mentre era in viaggio verso Rodi e portato nell’isola di Farmakonisi (Mar Egeo) e liberato dietro il pagamento di un riscatto[7].

Fig. 5 Coppa attica a figure nere decorata con una scena di pirateria. Una nave lunga si contrappone ad una nave commerciale.

Fig. 5: Coppa attica a figure nere decorata con una scena di pirateria. Una nave lunga si contrappone ad una nave commerciale.

Le piccole isole furono quindi ottimi nascondigli per i pirati, ottimi ridossi per predisporre imboscate ma anche punti strategici per stanziare navi militari destinate al pattugliamento del mare. Questo ruolo militare delle isole venne a poco a poco abbandonato dapprima grazie a Pompeo Magno che nel 67 a.C. debellò definitivamente le scorrerie dei pirati poi quando sopraggiunse la c.d. pax augustea, ossia quel periodo storico iniziato sotto Augusto e terminato con Marco Aurelio, durante il quale l’impero romano visse un periodo di relativa tranquillità non essendo scosso né dalle grandi guerre civili né ancora dai primi movimenti delle popolazioni barbariche.

Fu quindi con l’epoca romana e più precisamente nei primi due secoli dell’impero romano che le piccole isole ebbero il loro periodo di maggior splendore, con un ruolo riconducibile principalmente a due funzioni: portuale e residenziale, spesso interconnesse.

L’edificazione di queste isole si concentra tra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del I secolo d.C. quando esplose la moda delle ville marittime ossia di quelle ville edificate a ridosso del mare, spesso costruite su banchine gettate direttamente in mare, corredate di peschiere, ossia vasche per l’allevamento del pesce, e porticcioli privati. Questo boom edilizio interessò soprattutto (ma non solo) la fascia costiera del Lazio e della Campania, e prima tra tutte la costa flegrea. Queste lussuose residenze erano destinate esclusivamente all’otium, ossia a quello che oggi potremmo definire relax, e per la loro costruzione si cercavano naturalmente le località paesaggisticamente più belle e suggestive e da qui la scelta spesso ricadde anche sulle isole. Lo stesso Strabone (V,3,6) vissuto tra la fine del I a.C. e l’inizio del I d.C. descrive Ventotene e Ponza (Pandataria et Pontia) come “piccole ma ricche di belle abitazioni”[8].

L’imperatore Augusto per primo si interessò in modo particolare alle piccole isole antistanti le coste campane; secondo le fonti letterarie già nel 29 a.C. in seguito ad un viaggio a Capri, decise in seguito ad un segno premonitore di acquisire l’isola per usarla come propria dimora restituendo a Neapolis l’isola di Ischia[9]. Ugualmente si impadronì di Ventotene e Ponza per costruirvi residenze estive, che vennero poi utilizzate come luogo di confino per molte donne della famiglia imperiale.

A Ventotene sul promontorio di Punta Eolo si estendono i resti della villa imperiale dove Augusto relegò la figlia Giulia mentre il figlio di lei Agrippa Postumo venne relegato a Pianosa; poi l’imperatore Tiberio vi esiliò la nipote Agrippina nel 29 d.C., Caligola inviò le sue due sorelle Agrippina e Giulia Livilla una a Ponza ed una a Ventotene e più tardi l’imperatore Nerone esiliò sua moglie Ottavia, dopo averla ripudiata. Domiziano inviò sempre a Ventotene Flavia Domitilla accusata di cristianesimo.

Naturalmente trattandosi di una villa marittima situata su un’ isola era dotata di un approdo e di un complesso impianto per l’allevamento del pesce realizzato con grande maestria e composto da una serie di vasche, alcune all’aperto altre coperte, e tutte collegate tra di loro e con il mare aperto tramite una fitta rete di canali (Fig. 6). La caratteristica di questi impianti ittici è la presenza di grate forate che chiudono ciascun canale per evitare la fuga del pescato ma al tempo stesso lasciano passare l’acqua del mare indispensabile per un adeguato ricambio all’interno delle vasche[10] (Fig. 7).

Fig. 6 Peschiera di Ventotene (da Zarattini et alii 2010).

Fig. 6: Peschiera di Ventotene (da Zarattini et alii 2010).

Fig. 7 Peschiera di Ventotene, grata forata in pietra a chiusura di un canale della peschiera.

Fig. 7: Peschiera di Ventotene, grata forata in pietra a chiusura di un canale della peschiera.

 

Il porto di Ventotene invece fu completamente creato dal nulla, in realtà è una grande scultura perché tutto è stato ricavato scavando il banco di tufo: dal bacino portuale per il quale sono stati asportati più di 60.000 mc di roccia, alle banchine ai magazzini perfino le bitte di ormeggio (Fig. 8).

Fig. 8: Il porto romano di Ventotene in una immagine di inizio secolo.

Fig. 8: Il porto romano di Ventotene in una immagine di inizio secolo.

 

E’ impensabile fornire in questa sede una descrizione completa di tutte le sopravvivenze archeologiche presenti nelle numerosissime isole del Mar Tirreno, possiamo comunque ricordare la presenza di ville marittime a Capri, Ponza, Giglio, Giannutri, Pianosa e nel piccolissimo scoglio di Basiluzzo nelle isole Eolie per le quali si rimanda a bibliografia specifica[11].

Un esempio di diverso utilizzo di una piccola isola lo abbiamo a Briatico (VV) nel c.d. Scoglio Galera nel quale è stato ricavato, per escavazione, un piccolo porticciolo ancora dotato di una serie di bitte e tre vasche in comunicazione con il mare; si tratta in questo caso non di una peschiera collegata ad una villa marittima bensì di un impianto per la stabulazione, la lavorazione e la salagione del pescato, operazioni che avvenivano almeno in parte sulla prospiciente terraferma dove sono state individuate una serie di vasche foderate in cocciopesto[12] (Fig. 9).

Fig. 9: Lo scoglio Galera a Briatico. Si vedono i tagli effettuati nel banco roccioso per la realizzazione di vasche e di un piccolo approdo.

Fig. 9: Lo scoglio Galera a Briatico. Si vedono i tagli effettuati nel banco roccioso per la realizzazione di vasche e di un piccolo approdo.

 

Una sorte diversa ha avuto l’attuale sito di Torre Astura nel Lazio meridionale. Oggi si presenta come un piccola lingua di sabbia che si protende in mare e dalla quale si distacca un ponte che la collega con una torre edificata nel 1100 dai Frangipane.  In età romana l’estremità dell’attuale terraferma era una piccola isola che ospitava parte di una villa marittima circondata da una grande peschiera e collegata a sua volta alla costa tramite un ponte ad archi ancora si conserva lungo il margine orientale della lingua sabbiosa. La presenza del ponte ed i giochi di corrente hanno, nel corso dei secoli, unito l’isolotto alla terraferma trasformandone la sua natura geografica. Dalla foto aerea si coglie anche la presenza di un grande bacino portuale, forse nato a servizio della villa ma sicuramente utilizzato come approdo intermedio tra il Circeo e la foce del Tevere, un lungo tratto di costa basso e sabbioso che non offriva altre possibilità di ridosso (Fig. 10).

Fig. 10: Torre Astura, l’attuale conformazione della costa. Si vedono in trasparenza la peschiera che circonda l’estremità della punta ed il grande bacino portuale.

Fig. 10: Torre Astura, l’attuale conformazione della costa. Si vedono in trasparenza la peschiera che circonda l’estremità della punta ed il grande bacino portuale.

 

La villa romana è stata a lungo attribuita a Cicerone perché più volte cita questa località nelle sue lettere ma è stato risolutiva la giusta interpretazione di una lettera del 44 a.C. dove esprime il desiderio di realizzare un santuario in onore della figlia Tullia che sia visibile da Anzio e dal Circeo; l’isoletta di Astura è quindi l’unica collocazione possibile e questo ci permette due considerazioni la prima che l’isolotto non era ancora edificato e la seconda che la villa attualmente visibile è databile alla fine della repubblica[13].

Da questo rapido excursus sulla presenza di strutture archeologiche nelle isole tirreniche ne risulta che i due elementi caratterizzanti sono la presenza di ville marittime e di conseguenza la presenza di punti di attracco più o meno estesi ed organizzati, utilizzabili sia nell’ambito delle rotte commerciali sia ad esclusivo uso della villa residenziale.

Fino a qualche anno fa Ischia sembrava distaccarsi dalle caratteristiche delle altre piccole isole, per la penuria di rinvenimenti attribuibili al periodo romano, per l’assenza di ville marittime e di un approdo organizzato; penuria legata in parte all’effettivo disinteresse della famiglia imperiale verso quest’isola[14] e in parte anche alla densità edilizia moderna esplosa negli anni ’60 che ha compromesso la leggibilità del territorio[15]. La frequentazione romana è testimoniata dalla presenza di scarsi resti di strutture murarie, di una necropoli e soprattutto dai rinvenimenti subacquei effettuati nella baia di Cartaromana tra cui spicca il ritrovamento di lingotti in stagno e in piombo, alcuni dei quali con iscrizioni[16].

Proprio da questi recuperi, effettuati da subacquei locali negli anni ’70 del secolo scorso e dei quali si ignorano sia l’esatta collocazione sia il contesto di provenienza, è partita nel 2011 la prima vera indagine archeologica mirata a valutare l’esatta consistenza e la tipologia del sito sommerso di Cartaromana con ricognizioni ad ampio raggio e sondaggi di scavo. Queste ricerche, condotte sotto l’alta vigilanza della Soprintendenza Archeologia della Campania[17] e con l’assistenza tecnica e logistica della Marina di Sant’Anna, che è stata la promotrice dell’iniziativa e ha finanziato le indagini, hanno restituito risultati inaspettati.

Le ricognizioni hanno permesso di individuare la presenza di resti murari con paramento in opera reticolata  riconducibili probabilmente ad una villa marittima corredata da ninfei e gallerie scavati negli scogli di Sant’Anna (Fig. 11) e di attribuire a strutture portuali altri resti murari già affioranti dal fondale. Mentre le indagini di scavo hanno messo in luce sotto una coltre di sedimenti alta anche due metri i resti della banchina portuale vera e propria caratterizzata da una cassaforma lignea in ottimo stato di conservazione (Fig. 12).

Fig. 11: Cartaromana, la galleria scavata in uno degli scogli di Sant’Anna.

Fig. 11: Cartaromana, la galleria scavata in uno degli scogli di Sant’Anna.

Fig. 12: Cartaromana, resti della banchina portuale e della cassaforma lignea utilizzata per la sua costruzione.

Fig. 12: Cartaromana, resti della banchina portuale e della cassaforma lignea utilizzata per la sua costruzione.

I reperti ceramici, ancora in corso di studio, documentano una frequentazione del porto e – più in generale della baia di Cartaromana  – dal III secolo a.C. fino alla tarda antichità /alto medioevo senza importanti soluzione di continuità. La prosecuzione degli scavi sicuramente consentirà di ampliare le nostre conoscenze su questo sito (frequentazione, destinazione, estensione ecc), ma quanto finora individuato ci permette di attribuire anche ad Ischia una tipologia di insediamenti residenziali e portuali simile a quella riscontrata in tutte le altre piccole isole tirreniche.

Note

[1] Nicoletti 1997; Medas 1992.
[2] L’ossidiana  è una vulcanite vetrosa formatasi per rapido raffreddamento del magma effusivo a composizione di solito molto acida, è quindi sostanzialmente un vetro.
[3] Immagini ed ulteriori informazioni si possono trovare nel sito www.culture.gouv.fr/fr/archeosm/fr/fr-medit-prehist.htm
[4] Una breve sintesi con bibliografia essenziale in Gialanella 2012. I reperti sono conservati ed esposti presso il Museo Archeologico di Pithecusa situato nella splendida Villa Arbusto a Lacco Ameno.
[5] Strab. 5,4,9; su Castrum Gironis vedi Capasso 1881 e Buchner – Rittmann 1948.
[6] Il bellissimo affresco con raffigurato l’isolotto conservatosi all’interno della Torre Guevara documenta la densità edilizia in età aragonese.
[7] L’avvenimento viene riportato sia da Svetonio (Caes. 4,1) e che da Plutarco (Caes. 2,1) nel trattare la vita di Cesare. Il rinvenimento di armi ed elmi su relitti di navi onerarie documenta la presenza di soldati anche a bordo dei mercantili per proteggere la nave e il carico da eventuali attacchi pirateschi.
[8] Sulle isole pontine De Rossi 1986.
[9] Svetonio Aug. 2,92
[10] Sulle peschiere vedi Giacopini et al. 1994, p.121; sulla peschiera di Ventotene Zarattini et al 2010.
[11] Lafon 2001.
[12] Anzidei et al. 2012; Jannelli Lena Givigliano 1992.
[13]  Su Astura e sulla proprietà della villa vedi Piccarreta 1977.
[14]  Vedi nota 9.
[15] Una rassegna di segnalazioni e rinvenimenti il più delle volte decontenstualizzati in Monti 1968 e Monti 1980.<
[16]  Una sintesi in Gialanella 2012, 27-29. Sui lingotti vedi Boni – Gialanella – Knill 1998 e Stefanile 2009; il ritrovamento dei lingotti, di blocchi di galena e scarti di lavorazione fece ipotizzare, all’epoca della scoperta, la presenza di una fonderia, della quale però fino ad oggi non è stata trovata traccia.
[17] Un personale ringraziamento alla Dott.ssa Costanza Gialanella, funzionario archeologo della Soprintendenza, per la fiducia accordatami.

Bibliografia

  1. Anzidei, F. Antonioli, A. Benini, A. Gervasi, I. Guerra, Evidence of a vertical tectonic uplift at Briatico (Calabria, Italy) inferred from Roman age maritime archaeological indicators, in Quaternary International 288, 2013, pp. 158 – 167.
  2. Boni, C. Gialanella, M. Knill, La fonderia di Cartaromana (Isola d’Ischia): Provenienza del minerale di piombo e utilizzazione dei metalli, in Le Scienze della terra e l’Archeometria (Napoli 1997) Napoli 1998, p.160 – 164.
  3. Buchner, A. Rittmann, Origine e passato dell’isola d’Ischia, Napoli 1948.
  4. Camps, La preistoria, Milano 1985, p. 289.
  5. Capasso, Monumenta ad Neapolitani ducatus historiam pertinentia, Neapoli 1881.
  6. M. De Rossi (a cura di), Le isole pontine attraverso i tempi, Roma 1986.
  7. Giacopini, B. Marchesini, L. Rustico, L’Itticoltura nell’antichità, Roma 1994.
  8. Gialanella, Il Museo archeologico di Pithecusae, Lacco Ameno 2012.
  9. T. Jannelli, G. Lena, G. P. Givigliano, Indagini subacquee nel tratto di costa tra Zambrone e Pizzo Calabro, con particolare riferimento agli stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce, in Naxos 1992, 9-43.
  10. Lafon, Villa Maritima. Recherches sur les villas littorales de l’Italie romaine, Roma 2001.
  11. Monti, Ischia preistorica, greca, romana, paleocristiana, Napoli 1968.
  12. Monti, Ischia, archeologia e storia, Napoli 1980.
  13. Nicoletti, Il commercio preistorico dell’ossidiana nel Mediterraneo ed il ruolo di Lipari e Pantelleria nel più antico sistema di scambio, in Prima Sicilia. Alle origini della società siciliana, Palermo 1997, p 258- 269.
  14. Piccarreta, Astura, Forma Italiae, r. I, XIII, Firenze 1977.
  15. Pomey (ed), La navigation dans l’antiquité, Aix-en-Provence 1997.
  16. Stefanile, Il lingotto di piombo di CN. ATELLIUS CN. F. MISERINUS e gli Atelli di Carthago Nova, in Ostraka, XVII, 2, 2009, pp.559-565.
  17. Zarattini, S. L. Trigona, D. Bartoli, A. Atauz, The roman fishpond of Ventotene (Latina, Italy), in Fasti on-line (http://www.fastionline.org/docs/folder-it-2010-191.pdf), 2010.