Ecologia: Eco. Eco e l’eco risponde

Come molti hanno ricordato, 150 anni fa nacque l’ecologia. Non la scienza certamente, ma il nome che le fu dato e che si deve al naturalista tedesco Ernst Haeckel (1834-1919) del quale, perciò, si potrebbe anche dire che nomina sunt consequentia rerum.

Quando, nel 1866, Ernst Haeckel[1] definì l’ecologia come “la scienza dell’insieme dei rapporti degli organismi col mondo esteriore” ne diede il nome e la prima e, perciò, autentica definizione. Possiamo dire che, ufficialmente o formalmente, in quel momento nacque una nuova scienza dell’ambiente anche se “ecologia”, tutto sommato, come è stato rilevato[2], “é un nome nuovo per una cosa molto antica”.
Che, però, come accade per gran parte delle altrui definizioni (eclatante mi sembra il caso della martoriata definizione di “sostenibile”), ha subìto una serie di abbastanza oziosi tentativi di “revisione”.
Nella edizione italiana della bella Storia dell’ecologia di Jean Paul Deléage (CUEN, Napoli 1994) c’é un significativo sottotitolo: Una scienza dell’uomo e della natura. E questo è un possibile modo di qualificare l’ecologia.

Si potrebbe anche dire che l’ecologia é una scienza dell’uomo nella natura? Molti, dalla fine degli anni Sessanta, ne parlano come della  scienza dell’uomo contro la natura. Una cosa sembra certa: l’ecologia non é solo una scienza della natura. Questo é un possibile  punto di partenza; tra l’altro significativo dell’abitudine, si potrebbe dire del rischio, come dicevo,  di rivedere continuamente le definizioni: magari per adattarle al mutare dei tempi. È  il caso dell’ecologia.
Tutt’al più la definizione di Haeckel, oggi, può proporre qualche quesito. In particolare, può essere opportuno chiedersi se essa sia applicabile anche all’uomo e, quindi, se l’uomo sia da intendere un “organismo” nel senso Haeckeliano del termine.

Se si risponde che l’uomo come organismo non rientra in quella definizione, poiché l’uomo ha avuto, ha e avrà rapporti anche complessi con il mondo esteriore, questo “insieme di rapporti” é stato, è e sarà studiato non dall’ecologia, ma da una o più altre scienze: storia, geografia, economia, diritto, filosofia… ciascuna per quanto di sua più diretta competenza.
Per questo motivo forse non è molto opportuno parlare di una “ecologia umana” e, più o meno congiuntamente, di ecologia morale, ecologia sociale, ecologia politica e via aggettivando. E’ più corretto  dire, ma solo con stretta attinenza a questa tematica, che accanto all’ecologia esiste una Politica dell’ambiente : quella scienza -in modo più o meno strettamente imparentata con l’economia, la geografia, il diritto- che ha come specifico lo studio degli ambienti terrestri; del rapporto tra uomo e natura che in essi si sviluppa; dello stato in cui tali ambienti si trovano ad essere caratterizzati in seguito al prevalere dell’azione umana sulla natura, delle possibilità di intervento tecnico, economico, giuridico, per riportare questo stato a livelli di massima vivibilità. Quella scienza, quindi, la quale può raggruppare e, di fatto, raggruppa e soddisfa, le esigenze di cui  prima si diceva.

Se, invece, si ritiene che l’uomo rientri tra gli organismi il cui insieme di rapporti col mondo esteriore studia l’ecologia, non c’é motivo di parlare di ecologia umana, morale, politica, sociale eccetera. Perché ciò che ha l’uomo (anche l’uomo) come oggetto di studio, ne studia anche le implicazioni o i comportamenti morali e, soprattutto, politici.
Nei fatti, come sottolinea Jean Paul Deléage, la frontiera tra la cosiddetta ecologia scientifica e la cosiddetta ecologia politica é molto tenue. Mantenerla in piedi equivale ad alimentare il concetto di neutralità della scienza mentre non é possibile ignorare le implicazioni sociali dell’ecologia.

 

Ecologia ed ecologismo

A questo punto bisogna anche chiedersi se tutto quanto riguarda l’ambiente si può chiamare “ecologia”, come disinvoltamente si fa dall’inizio degli anni Settanta; bisogna, cioé, opportunamente chiedersi se esista una distinzione tra ecologia ed ecologismo.
Come ricorda Deléage, le  formulazioni più pertinenti dell’ecologia sono nate dalla tensione creatrice tra le questioni concrete poste dalle più abituali pratiche sociali della natura  (agricoltura, pesca, ecc.) e gli interrogativi fondamentali che solleva la straordinaria diversità del vivente, e, dentro questa diversità, la singolarità dell’ avventura umana. Giacché il posto dell’ umano rimane proprio la questione più complessa di questa scienza[3].

È  una questione complessa, ma é anche la più attuale e coinvolgente in in un momento nel quale tutti i rapporti umani, in particolare quello con l’ambiente di vita, si propongono come il dilemma fondamentale del nostro tempo.
Fino ad oggi l’osservazione di questi rapporti ha provocato allarmate prese di coscienza di situazioni apparentemente non note; ha sollecitato visioni catastrofiche e catastrofiste circa il futuro non lontano della Terra e dell’umanità; ma, più di recente, visioni anche scientificamente allarmanti.

In questo senso l’ecologia, oggi, ci lancia anche una precisa sfida filosofica che ci consente, abbastanza agevolmente di considerarla “la matrice vivente di una nuova coscienza e di una nuova cultura”. Anche se bisogna riconoscere che da qualche tempo questa matrice politica si é andata modificando, per certi versi addirittura imbarbarendo.

Perciò non deve sembrare oziosa la distinzione tra ecologia ed ecologismo[4],  avendo l’ecologismo propensioni diverse e differenziazioni anche al suo interno che non consentono di sovrapporre i due concetti e le realtà che rappresentano.
In particolare, l’ecologismo politico é acquisizione contemporanea e su di essa, come ha scritto Joan Martinez-Alier[5], “hanno grande influenza le correnti naturiste e vegetariane, il movimento per la tecnologia appropriata, quello per l’agricoltura organica eccetera”. Componente importante dell’ecologismo politico é l’inquadramento dell’economia come “ecologia umana” e anche in questo senso esso “esprime un concetto nuovo nella storia politica”. A questo concetto corrisponde un ruolo che, a seconda dei punti di vista, può essere anche molto importante.

Ad esempio, secondo Martinez-Alier,  “l’ecologismo politico assume le relazioni internazionali dal punto di vista ecologico, affrontando temi come la crisi demografica dell’America a partire dal 1492; o lo scambio ecologicamente ineguale tra paesi…L’ecologismo politico può proporre che, entro dieci o vent’anni, si pervenga ad una totale libertà di emigrazione nel mondo, vale a dire che non soltanto sia possibile uscire da tutti i paesi, ma anche restarci se lo si desidera. Questa possibilità sarebbe davvero importante per l’uguaglianza internazionale e permetterebbe quindi la realizzazione di un’organizzazione sociale basata sulle risorse naturali di ogni regione, trasparente e controllabile dalla gente”.
Sono posizioni che, sempre a seconda dei punti di vista, hanno grande o nessuna validità, ma delle quali va, comunque, misurata la realizzabilità o, come pure si potrebbe dire, la sostenibilità.

Oggi i tempi sembrano stringersi. L’agenda ecologica cerca di fissare scadenze in presenza delle quali é vistosa la lotta internazionale per individuare le priorità. Ed é legittimo il sospetto secondo il quale, un po’ paradossalmente, i problemi dell’ambiente a scala planetaria come, ad esempio, quelli dei gravi mutamenti climatici causati dall’uomo, vengono usati non per creare le condizioni di una più profonda e diffusa eguaglianza internazionale, ma per definire le norme che mantengono la diseguaglianza.
È un sospetto legittimato, tra l’altro e ad esempio, dall’andamento della situazione internazionale del rapporto uomo-ambiente dalla Prima conferenza sull’ambiente tenuta a Stoccolma nel 1972 alle successive dopo le quali (ma con decrescente partecipazione) é aumentata la consapevolezza dell’opinione pubblica sui problemi dell’ambiente, ma la situazione ambientale é andata progressivamente peggiorando.

Il compito dell’eco-politica, dunque non deve essere solo “propagandistico”, ma deve essere più utilmente quello di internazionalizzare il problema sottolineando con forza la realtà secondo la quale l’intero pianeta, a qualunque livello politico ed economico lo si voglia considerare,  é accomunato in un’unica crisi che é economica ed ecologica ad un tempo.
Di conseguenza, in questo contesto va posto più utilmente il ricorrente ed anche un po’ ambiguo discorso sullo sviluppo sostenibile, che deve fare i conti con gli stretti legami esistenti tra i sistemi di sfruttamento della natura e i sistemi di sfruttamento degli uomini.

 

Che cosa risponde l’eco?

È abbastanza noto che Eco è la comune radice di due parole ecologia ed economia che individuano due scienze i cui contenuti e i cui obiettivi sono stati e sono generalmente ritenuti contrastanti. Tanto che l’ecologia, intesa come l’insieme delle politiche di tutela dell’ambiente, della natura, della biodiversità, è stata considerata realizzabile solo nei periodi così detti di “vacche grasse”. Non anche nei periodi di crisi economica e finanziaria come quello che su tutto il pianeta si vive, con modalità diverse, dal 2008. Al contrario, come in più occasioni –anche in sede UE con il “libro bianco” di Delors- si è cercato di dimostrare, le politiche dell’ambiente possono essere anche un importante strumento di politica economica.

Dall’inizio della crisi attuale si è più volte fatto ricorso al new deal roosveltiano per ricordare come negli Stati Uniti, con quegli interventi, fu dato un importante contributo per uscire dalla crisi del 1929. Quel modello oggi è sostituito da una nuova ipotesi di interventi che fa capo a quella che si definisce green economy e alle realistiche numerose possibilità costituite dai “lavori verdi”.

A dimostrazione del fatto che, magari inconsapevolmente è proprio una crisi economica a richiedere il ricorso ad interventi sull’ambiente e sulla natura.
Ma “eco” sta anche ad  indicare il ripetersi di una parola in particolari situazioni ambientali. Ha scritto Fernand Braudel, con riferimento al Mediterraneo: “Dite montagna e l’eco dovunque risponde: austerità, asprezza, vita arretrata e popolazione rada. Dite: la pianura; e la medesima eco risponderà: abbondanza,  facilità, ricchezza, dolcezza di vita”. Parafrasando il grande storico possiamo dire:< dite economia … e l’eco  dovunque (quasi) risponde sviluppo e crescita,
dite ecologia … e l’eco dovunque (quasi) risponde ambiente, natura.
Ma oggi 150 anni dopo la definizione di Haeckel, che cosa risponde l’eco ad ecologia?

 
Povera e nuda vai Ecologia

Come ha ricordato Giorgio Nebbia (Che fine ha fatto l’ecologia? ”La gazzetta del Mezzogiorno” 19 gennaio 2016) <<La generazione del “Sessantotto” scoprì nell’ecologia la bandiera di una contestazione della società dei consumi e del relativo inquinamento, della congestione delle megalopoli, dei nuovi veleni. L’apice dell’attenzione per l’ecologia si ebbe nel 1970 e la nuova parola significò aspirazione a “cose buone”, pulite. I venditori non persero tempo ad appiccicare il nome “ecologia”, ai detersivi, alla benzina, ai tessuti. Diecine di cattedre universitarie cambiarono nome e presero il nome di “ecologia”. L’ecologia entrò in Parlamento e ci fu perfino un breve “Ministero dell’ecologia”, ben presto soppresso; solo dopo vari anni sarebbe stato istituito un ministero ma questa volta “dell’ambiente”. >>

Ma ben presto il potere economico si rese conto che queste premesse e l’interesse montante nell’opinione pubblica l’avrebbero costretto a cambiare i cicli produttivi e i quotidiani stili di vita. Di conseguenza “l’attenzione per l’ecologia declinò presto e nuovi aggettivi più accattivanti comparvero come ‘verde’, ‘sostenibile’ e, più recentemente ‘biologico’, da associare al nome di prodotti commerciali che un venditore vuole dimostrare “buoni”.
E la povera ecologia che fine ha fatto? Si chiede ancora Nebbia. Che fine ha fatto proprio quando della sua conoscenza ci sarebbe maggiore bisogno? Per fortuna, e concordo ancora con Nebbia, c’è stato Papa Francesco a ricordare l’importanza dell’ecologia, come “ecologia umana”, nella sua enciclica “Laudato si’”.
La speranza di Nebbia è che “gli ecologi, quelli veri, ritrovino la passione di far conoscere ad alta voce il contenuto e gli avvertimenti della loro disciplina la cui conoscenza, soltanto, offre le ricette per rallentare i guasti ambientali, a cominciare dagli inarrestabili mutamenti climatici. Dalla cultura ecologica trarrebbero stimolo e beneficio i legislatori, i governanti e anche gli economisti dal momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il flusso, ecologico, appunto, di materie prime, di merci e di rifiuti, attraverso l’ambiente naturale abitato dall’uomo.”

Ma intanto, non pessimisticamente, ma realisticamente, ci avverte un sonetto di Petrarca (il 7° del Canzoniere) che:
La gola, e ’l sonno, e l’oziose piume
hanno del mondo ogni virtù sbandita,
ond’è dal corso suo quasi smarrita
nostra natura vinta dal costume;
et è sì spento ogni benigno lume
del ciel, per cui s’informa umana vita,
che per cosa mirabile s’addita
chi vòl far d’Elicona nascer fiume.
Qual vaghezza di lauro? qual di mirto?
-Povera, e nuda vai, Filosofia-
dice la turba al vil guadagno intesa.
Pochi compagni avrai per l’altra via;
tanto ti prego più, gentile spirto,
non lassar la magnanima tua impresa.

Se fosse vissuto 800 anni dopo forse Petrarca ad andar nuda avrebbe immaginato l’ecologia.

 
Note

[1] E. Haeckel, Generelle Morphologie der Organismen, Verlag von Georg Reimer, Berlin 1866, 2 voll.
[2] C.Elton, Animal Ecology, Sidgwick and Jackson, London 1927.
[3] Deléage, L’ecologia, la sua storia, la civiltà umana: alcune riflessioni, in “Giano- ricerche per la pace”, n.9 settembre-dicembre 1991.
[4] D. Simonnet, Qu’est-ce que l’ecologie?, Hatier, Paris 1979 e L’écologisme, PUF, Paris 1979.
[5] J.Martinez-Alier, Le radici storiche dell’economia politica, in “Capitalismo Natura Socialismo”, n.2 Luglio 1991.