Libertà di migrare

Articolo tratto dalla rivista Micron on line,
in occasione della Giornata mondiale del rifugiato

 

Gli antropologi lo chiamano “out of Africa” ed è quel processo che ha portato per almeno tre volte nella storia tre diverse specie di grandi scimmie antropomorfe del genere Homo, gli ergaster (1,5 milioni di anni fa), gli heidelbergensis (200.000 anni fa) e i sapiens (125.000 e poi 85.000 anni fa) a uscire dall’Africa, dove erano nate, e a diffondersi in tutti gli altri continenti del mondo (Antartide escluso) seguendo la medesima strada, attraverso il delta del Nilo, il Sinai e il Medio Oriente.

Qualcuno ipotizza, senza prove definitive, che in precedenza anche Homo naledi, dal corpo e dal cervello minuscoli ma dalle capacità cognitive piuttosto sviluppate, i cui resti sono stati rinvenuti in Sud Africa nel 2013, abbia lasciato l’Africa e sia giunto fino in Asia. I suoi pronipoti potrebbero essere quegli Homo floresiensis i cui fossili sono stati trovati nell’isola indonesiana di Flores a partire dal 2004. Oggi sappiamo che il piccolo Homo floresiensis, ribattezzato hobbit, abbia frequentato l’isola per almeno un milione di anni venendo in contatto, meno di 20mila anni fa, con le avanguardie dell’ultimo tra i migranti africani, Homo sapiens.

Da dove nasce questa continua spinta delle specie Homo «a voler vedere se si sta meglio dall’altra parte della collina?», si chiedono Valerio Calzolaio e Telmo Pievani all’inizio del libro, Libertà di migrare, appena pubblicato con Einaudi nella collana Vele (pagg. 133; euro 12,00). Il testo è breve, ma denso e compatto. E ci accompagna lungo i sentieri di tutto il mondo al seguito di uomini che migrano, in ogni tempo e da ogni luogo.

No, non si tratta dell’ennesimo libro sul problema, attualissimo, delle migrazioni. Questo scritto da Valerio Calzolaio e da Telmo Pievani – il primo giornalista e scrittore, più volte deputato e sottosegretario all’Ambiente tra il 1996 e il 2001; il secondo docente di Filosofia delle Scienze Biologiche presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova – contiene una novità importante. E illuminante. Inserisce questo tema, che oggi occupa stabilmente le prime pagine dei giornali di tutto il mondo e che sembra mandare in frantumi l’Europa, nell’unica prospettiva possibile: quella evoluzionistica. L’uomo migra da sempre, ripercorrendo con sistematica continuità i medesimi percorsi e, soprattutto, per le medesime cause, peraltro intrecciate tra loro: le guerre, l’economia, i cambiamenti climatici e più in generale ambientali.

La prospettiva di Calzolaio e Pievani è importante sul piano culturale. Perché spiega la nostra storia, che è appunto una storia di migrazioni di persone fisiche e di idee. E non solo in epoca preistorica. Cos’è la cultura occidentale – da Pericle a Obama; da Pitagora a Einstein – se non una storia di spostamenti di persone e di intere popolazioni? Una storia di migrazioni, appunto. E come potremmo ricostruire  la storia della nostra piccola penisola italica senza tener conto degli infiniti “out of Italy” e dei non meno numerosi “in in Italy” che l’hanno caratterizzata nel corso dei millenni e continua a caratterizzarla persino nei nostri giorni? Già proprio l’Italia di oggi è il paese che meglio rappresenta il bisogno, tutto umano, di «voler vedere se si sta meglio dall’altra parte della collina». Giovani italiani partono, per vedere se si sta meglio oltre i declivi settentrionali delle Alpi. Giovani e meno giovani africani, ma anche asiatici e americani, mettono molto (troppo) spesso a repentaglio la loro vita e giungono in Italia per vedere se si sta meglio dal nostro lato della collina.

La prospettiva evoluzionistica in cui Calzolaio e Pievani pongono il fenomeno delle migrazioni, l’unica possibile per spiegare anche i fenomeni odierni, ci spiega che la spinta a “vedere se si sta meglio dall’altra parte della collina” non è un fatto emergenziale, ma strutturale della condizione umana. Gli uomini migrano da sempre per sfuggire a una minaccia bellica, per cercare da bere e da mangiare se nel proprio habitat per un qualsiasi motivo le risorse si sono esaurite, perché l’ambiente cambia. Questa spinta a migrare deriva, probabilmente, sia dalla straordinaria capacità di adattamento della specie – anzi, del genere – umano sia dalle sue capacità cognitive. Nessun altra grande scimmia antropomorfa, per esempio, ha sentito il bisogno di vedere sistematicamente se si sta meglio dall’altra parte della collina.

Dalla prospettiva evoluzionistica – ripetiamo, l’unica possibile per capire il fenomeno delle migrazioni – derivano almeno tre conseguenze. Primo: è inutile tentare di erigere mura, quando le cause sono la guerra e/o la scarsità di risorse e/o i cambiamenti ambientali, la spinta a migrare è tale che qualsiasi ostacolo sarà rimosso o aggirato. La Grande Muraglia non è riuscita a contenere la spinta a migrare delle popolazioni mongole in Cina; così come il Vallo di Adriano e innumerevoli altri muri non sono riusciti a contenere le spinte dei migranti del nord d’Europa (allora) povero verso il sud (allora) più ricco. Allo stesso modo i tanti muri virtuali e reali lungo le frontiere non riusciranno a trasformare l’Europa in una fortezza impenetrabile.

Secondo: è ingiusto erigere mura. Quella che Calzolaio e Pievani chiamano la “libertà di migrare” – così come quella di restare nel proprio paese – va considerata un diritto universale dell’uomo. E i migranti devono avere un esplicito riconoscimento giuridico di questo diritto: iniziando ad allargare lo status riconosciuto ai rifugiati bellici anche ai rifugiati climatici, sostengono Calzolaio e Pievani.

Terzo: è controproducente erigere mura. Oggi i migranti venuto dal sud povero del mondo assicurano una quota importante del Prodotto interno lordo dei paesi ricchi del nord. Senza i migranti, noi abitanti del nord del mondo saremmo più poveri e non riusciremmo (si pensi al caso delle badanti) ad assicurare servizi essenziali. Ma soprattutto le rimesse dei migranti – circa 500 miliardi di euro nel 2014 – sono il miglior strumento per trattenere le popolazioni povere nei paesi originari. Basti pensare che queste rimesse sono tre volte superiori agli “aiuti allo sviluppo” messi (sempre meno) a disposizione da parte dei paesi ricchi. La “libertà di migrare”va regolata e ordinata, non va negata.

Ci sono, infine, un quarto e un quinto punto che – nella prospettiva evoluzionistica delle migrazioni – dobbiamo prendere in considerazione.

Quarto: i cambiamenti climatici ridisegneranno – stanno già ridisegnando – la geografia del mondo. Zone accoglienti diventeranno (stanno già diventando) a rischio; mentre zone inospitali diventeranno (stanno già diventando) accoglienti. Inevitabilmente nei prossimi decenni avremo nuovi e più massicci flussi migratori. Noi stessi, abitanti del Mediterraneo, potremmo sentire la necessità di andare a vedere se dall’altra parte della collina si sta meglio. Costruire mura oggi da parte nostra potrebbe rivelarsi un tragico boomerang domani. Potremmo restare ingabbiati nella prigione da noi stessi eretta.

Quinto: il tentativo di realizzare la fortezza Europa è già un boomerang. Nulla più del tentativo, peraltro inefficace, di negare la “libertà di migrare” e di costruire la “fortezza Europa” sta mandando in frantumi l’Unione Europea. Stiamo pagando un prezzo elevatissimo al nostro infantile tentativo di svuotare con un secchiello l’oceano dell’uomo migrante.