Neuroscienze cognitive: plasticità, variabilità, dimensione storica

Le Neuroscienze cognitive hanno l’ambizioso obiettivo teorico di individuare e comprendere, dunque spiegare ed eventualmente – ove la patologia lo rendesse necessario – modificare, i meccanismi neurobiologici della mente, presupponendone la cosiddetta “emergenza” come prodotto dell’interazione costitutiva tra specifici processi cerebrali, corpo, e ambiente dell’organismo.

Lo scopo è dunque quello di comprendere in quali modi si dia questa emergenza delle funzioni mentali a partire dalle proprietà del cervello come sistema complesso, dinamico e plastico, nelle sue interazioni con l’intero corpo dell’organismo e con il suo “ambiente di vita” inteso anche, e per certi versi soprattutto, come ambiente sociale e culturale[1].
La mente è embodied ed embedded, incarnata in un contesto corporeo, interno, e al tempo stesso costitutivamente inserita in un contesto relazionale, esterno; incarnata e relazionale, queste le due caratteristiche fondamentali della mente.
La mente è il prodotto delle interazioni fra esperienze interpersonali e strutture e funzioni del cervello (…) emerge da processi che modulano flussi di energia e di informazioni all’interno del cervello e fra cervelli diversi (…) si forma all’interno delle interazioni fra processi neurofisiologici interni ed esperienze interpersonali. Lo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali dipende dalle modalità con cui le esperienze, e in particolare quelle legate a relazioni interpersonali, influenzano e modellano i programmi di maturazione geneticamente determinati del sistema nervoso. In altre parole, le ‘connessioni’ umane plasmano lo sviluppo delle connessioni nervose che danno origine alla mente[2].

Il cervello non può essere concepito come una macchina neuronale, astratto ed “estratto” dal corpo e dall’organismo nella sua interezza, dalle relazioni e dall’ambiente: “gran parte della fisiologia cerebrale non è né hardware,né software. Piuttosto è una ‘fisiologia umida’, come fluidi, ormoni, trasmettitori, sostanze biochimiche ed endocrine – tutte cose per le quali il cervello risulta essenzialmente connesso con il corpo intero e con il resto della fisiologia nella sua globalità[3].
In questo contesto teorico di riferimento due cardini fondamentali della concezione attuale del sistema cognitivo e del cervello sono la differenziazione e l’integrazione; due concetti che hanno avuto fin dall’Ottocento una storia significativa nella storia delle Neuroscienze e una grandissima valenza propulsiva per lo sviluppo di teorie e modelli della mente e del comportamento[4].

Differenziazione e integrazione caratterizzano gli stati di coscienza, la loro peculiare enorme variabilità e al tempo stesso la chiara dimensione unitaria della mente nel suo complesso[5]; e le Neuroscienze cognitive ne indagano i meccanismi neurali e li individuano nelle caratteristiche del cervello come organo “ad architettura aperta”[6]. È l’eterno tentativo umano di entrare nei grovigli, e scioglierli, del “nodo cosmico” (Schopenhauer 1813).
Le basi neurali della coscienza e delle diverse funzioni cognitive sono individuate nei complessi processi sistemici[7] che plasmano continuamente la fisionomia del cervello in relazione al suo funzionamento (o alle sue disfunzioni)[8]. Dunque la plasticità, la variabilità, così come la dimensione storica e costitutivamente relazionale, sono considerate caratteristiche essenziali del cervello e della mente, nel loro consentire all’organismo di interagire con l’ambiente nelle innumerevoli e imprevedibili circostanze che possono verificarsi[9].

Come fa il cervello a organizzare, generalizzare e integrare informazioni e azioni, percorsi sinaptici e circuiti neurali?
L’assunto di base è la natura non meccanica del sistema nervoso: piuttosto che un sistema reattivo basato sul meccanismo input-output, stimolo-risposta, esso è un sistema dinamico che si auto-organizza, “un sistema nel quale un cambiamento nel funzionamento di una singola parte può causare una riorganizzazione radicale dell’intero sistema[10].

Gerald Edelman individua la caratteristica essenziale del sistema nervoso, ai fini di questa dinamica complessità, nel cervello in quanto organo storico e nella “degeneracy” della corteccia cerebrale. Nella teoria selezionistica del cervello da lui formulata – che potremmo assumere come relativamente emblematica, se non proprio paradigmatica, rispetto allo stato attuale delle Neuroscienze cognitive – ridondanza, complessità, plasticità, dimensione storica e individuale si pongono infatti come termini fondamentali per una concezione dello sviluppo del cervello e del suo funzionamento fortemente stocastica ed epigenetica. Ogni cervello è necessariamente unico quanto a struttura anatomica e dinamica poiché le mappe e le connessioni sono continuamente modificate non solo da ciò che percepiamo, ma anche da come ci muoviamo, dalla nostra esperienza quotidiana nel mondo e dalle nostre relazioni sociali[11].

Strutture o circuiti corticali diversi possono svolgere la stessa funzione o produrre lo stesso output. Edelman si riferisce a questa caratteristica col termine degeneracy, che indica proprio una caratteristica dei sistemi complessi per cui in certe situazioni strutture diverse possono produrre lo stesso risultato; e in base a questa caratteristica egli spiega come le reti cerebrali straordinariamente complesse e degenerate siano incarnate in un modo che tramite processi di carattere epigenetico determina innumerevoli repertori di variabilità al livello delle strutture anatomiche e nei collegamenti fra gruppi di neuroni, variando di fatto da individuo a individuo. La degeneracy[12] emerge come proprietà fondamentale dell’evoluzione stessa, al tempo stesso una condizione di possibilità e un prodotto della selezione naturale: “L’evoluzione e la selezione naturale sono necessariamente accompagnate dalla degeneracy. Essa è un prerequisito della selezione naturale perché questa può operare solo in una popolazione di organismi geneticamente differenti[13], poiché in tutti i sistemi selettivi di regola esistono molti modi differenti, non necessariamente identici in senso strutturale, mediante il quale si può manifestare un segnale in uscita.

Ciò si pone come condizione di possibilità della “evolvability” di un sistema: l’intersezione funzionale dinamica delle strutture nervose e la loro riconfigurazione costante in funzione dei cambiamenti ambientali consentono infatti di modificare funzioni, capacità e comportamenti[14].
E nello stesso tempo la degenerazione delle reti nervose consente gli “aggiustamenti” compensativi che si verificano in molti disturbi neurologici: lesioni cerebrali localizzate, infatti, rivelano spesso percorsi alternativi che possono produrre comportamenti simili. In un sistema degenerato, vi sono molti modi diversi per generare un determinato segnale in uscita, e il cervello ha percorsi diversi per produrre uno stesso comportamento nell’organismo.

L’enorme variabilità e individualità della struttura e della funzione dei singoli cervelli dei vertebrati si basa su cambiamenti che riguardano l’organizzazione cerebrale a tutti i livelli, dalla biochimica alla morfologia macroscopica, cambiamenti che modificano incessantemente in funzione dell’esperienza il numero e la “forza” delle miriadi di sinapsi che collegano circuiti e percorsi nervosi.
Con una recente tecnica di imaging, la “microscopia a due fotoni”, è stato possibile osservare che le sinapsi si creano e vengono eliminate nel corso di tutta la vita, e che le sinapsi variano la loro forza col cambiamento nelle dimensioni delle spine dendritiche.

Per quanto intricata possa essere le microstruttura delle connessioni neuronali, questa intricatezza è ulteriormente accresciuta dal numero di interazioni diverse, nello spazio e nel tempo, che possono generarsi nella trasmissione sinaptica. Il cervello contiene una varietà di sostanze chimiche diverse, dette neurotrasmettitori e neuromodulatori, che si legano a una varietà di recettori e agiscono su vari percorsi biochimici. L’identità chimica di questi neurotrasmettitori e dei loro recettori, la statistica del loro rilascio, il tempo e il luogo delle interazioni elettriche e biochimiche, tutti questi fattori determinano le soglie di risposta dei neuroni in un modo straordinariamente complesso e variabile. Inoltre, come conseguenza del rilascio dei neurotrasmettitori, non solo si produce il segnale elettrico, ma si producono anche cambiamenti nella biochimica e perfino nell’espressione genica dei neuroni coinvolti. Questa ‘intricatezza’ molecolare e le dinamiche che ne derivano sovrappongono molti livelli ulteriori di variabilità a quello neuroanatomico, contribuendo a quella che può essere chiamata la unicità storica di ciascun cervello. Metaforicamente, possiamo dire di ospitare una giungla nelle nostre teste[15].
Variabilità, differenziazione e al tempo stesso integrazione, caratterizzano il nostro cervello tanto quanto la coscienza. E cambia senza sosta lo schema complessivo delle connessioni tra i neuroni del nostro sistema nervoso: il cosiddetto “connettoma”[16].

“Connettoma” è un nuovo termine che chiaramente richiama la Genomica, non l’Ingegneria (“diagramma di cablaggio”), proprio a indicare la natura dinamica, plastica e non deterministica del funzionamento cerebrale. Considerando centrali per l’organizzazione e il funzionamento del cervello plasticità, degeneracy e neuromodulazione (in quanto caratteristiche del sistema), la connettomica si propone di studiare le “circuit properties” e il modo in cui funzionano i circuiti nervosi, individuando delle “wiring maps” che incorporino nella struttura l’informazione sulla propria attività in continuo cambiamento[17]. L’obbiettivo è duplice: individuare nella connettività neurale patterns di connettività, e correlare la connettività neurale con il comportamento.

Una “connection map” si pone naturalmente come sistema dinamico altamente complesso: “Molti percorsi di scarica possono contribuire a determinare proprietà di un circuito non facilmente prevedibili. In aggiunta, ci sono molti ‘percorsi in parallelo’ in cui due neuroni sono connessi tramite due o più vie sinaptiche, una diretta e varie altre indirette. (…) Sebbene sappiamo come operi la maggior parte dei neuroni, non sappiamo come agisca la maggior parte delle connessioni, non sappiamo quali connessioni chimiche siano eccitatorie o inibitorie, e non possiamo prevedere facilmente dal diagramma di scarica quali siano le connessioni più importanti[18].

Si conoscono quattro tipi fondamentali di cambiamento neuronale: i neuroni adattano, o “ripesano”, le loro connessioni rinforzandole, oppure indebolendole; si “riconnettono” creando ed eliminando sinapsi; riformano i circuiti (si “ricablano”) facendo crescere e ritraendo le ramificazioni; infine, nuovi neuroni sono creati mentre quelli esistenti vengono eliminati attraverso la “rigenerazione”. Geni ed esperienza forgiano il nostro connettoma in base a quattro modalità di cambiamento di cui godono le sinapsi: Ripesatura, Riconnessione, Ricablaggio e Rigenerazione[19].
Richiamando le riflessioni di William James (1890) sul carattere mutevole e al tempo stesso unitario della coscienza e sul suo flusso continuo, oggi chi guarda al connettoma vi vede il possibile substrato neurobiologico: “ogni fiume ha un letto, e senza questo solco nella terra l’acqua non saprebbe in quale direzione scorrere. Ecco… dal momento che il connettoma definisce le vie di scorrimento dell’attività neurale, possiamo considerarlo il letto del fiume della coscienza. È una metafora molto potente. Nel lungo periodo, come l’acqua del fiume plasma lentamente il letto, così l’attività neurale cambia il connettoma[20].

Sul piano epistemologico, l’enfasi è dunque sulle “connessioni” in un contesto teorico di riferimento profondamente dinamico e incorporato, uno stile di pensiero che ha fatto il suo ingresso nelle Neuroscienze cognitive della seconda metà del Novecento col connessionismo ma che ha una lunga storia “filosofica” che ripercorre a ritroso lo sviluppo storico dell’associazionismo psicobiologico di Bain (1872)[21], risale all’empirismo lockeano e al pensiero di Newton, passando per il materialismo “neurodinamico” di Hartley (1749). Nel secolo scorso, col rinnovato interesse della Psicologia per il corpo e il cervello dopo la fine dell’egemonia comportamentista che li aveva di fatto esclusi dall’indagine psicologica, la riformulazione “scientifica” del principio dell’associazione/connessione avviene per opera di Hebb (1949) che conia l’espressione “assemblee cellulari” proprio per indicare il valore fondamentale dell’associazione e della integrazione fra neuroni per le funzioni cognitive superiori. Kandel poi ne fa il meccanismo esplicativo per una concezione dinamica e costruttiva della memoria e dell’apprendimento[22].

Ma proprio la specificità del cervello, la complessità dinamica della sua organizzazione e del suo funzionamento, richiamano l’attenzione sulle difficoltà teoriche, in alcuni casi logiche, del progetto di mappare l’attività neurale e collegarla al comportamento.
Ciascun diagramma di scarica codifica molti possibili output di un circuito (…) ci sono ‘percorsi paralleli’, vale a dire molteplici percorsi tramite i quali un neurone può influenzarne un altro. Simili percorsi paralleli possono essere concepiti come degenerati, poiché possono creare molteplici meccanismi tramite i quali l’output di rete può modificarsi in stati diversi. (…) Circuiti divergenti hanno un punto di avvio comune e producono risultati differenti. (…) Non è possibile ‘leggere’ un connettoma se esso è intrinsecamente ambiguo, codificando due comportamenti diversi.

La neuromodulazione riconfigura le proprietà di un circuito. Le connessioni funzionali che costituiscono il risultato di un circuito specifico sono specificate, o più propriamente ‘configurate’, dall’ambiente prodotto dalla neuromodulazione. Ogni sinapsi e ogni neurone sono soggetti alla neuromodulazione: il diagramma di connettività, in sé, stabilisce solamente potenziali configurazioni di un circuito le cui proprietà dipendono criticamente da quanti e quali neuromodulatori sono presenti in un dato momento. In certe condizioni di modulazione, connessioni sinaptiche anatomicamente ‘presenti’ possono essere funzionalmente silenti, rafforzandosi e attivandosi solo in diverse condizioni modulatorie. (…) Gli effetti della neuromodulazione possono attivare oppure silenziare un intero circuito, cambiarne la frequenza e/o le relazioni di fase del pattern motorio prodotto.

I neuromodulatori sono di importanza fondamentale in tutti i sistemi nervosi, e operano come mediatori-chiave di stati motivazionali ed emozionali quali il sonno, l’eccitazione, lo stress, l’umore e il dolore. Per arrivare a comprenderne le dinamiche di rilascio e i loro effetti sui circuiti, sono necessari nuovi metodi che ci consentano di monitorare la neuromodulazione in vivo. (…) L’esistenza di circuiti paralleli e della neuromodulazione significa che la sola connettività non può fornirci l’informazione sufficiente a prevedere il fisiologico output dei circuiti (…). Le dinamiche neuronali plasmano l’attività dei circuiti[23].

E se le caratteristiche dei circuiti nervosi sono complessità cellulare, interconnettività estensiva, percorsi paralleli con sinapsi chimiche ed elettriche, degeneracy e neuromodulazione, evidentemente uno stesso wiring diagram può produrre dinamiche anche molto diverse con circuiti e parametri diversi, così come circuiti e meccanismi diversi possono produrre dinamiche oscillatorie simili. Il comportamento emerge dal sistema nervoso nel suo complesso e l’approccio riduzionistico a questo livello non è applicabile non essendo possibile comprenderne i “singoli pezzi” in isolamento e in una sorta di “fermo-immagine”.

Ciò espone la connettomica, e più in generale gli approcci volti a “localizzare per capire”, a critiche epistemologiche relative a presupposti teorici, approcci, metodologie e obbiettivi conoscitivi; “Molteplici sensazioni e comportamenti diversi utilizzano gli stessi neuroni in modi diversi. I neuroni possono cambiare rapidamente il proprio ruolo funzionale in risposta a segnali chimici come i peptidi, o altri neuromodulatori o livelli di attività. A causa di questa flessibilità non è possibile attribuire una specifica funzione a un neurone senza conoscere lo stato comportamentale – qualcosa che è invisibile nella connettomica[24].
E il riferimento al comportamento, all’esperienza individuale, alle relazioni e alla cultura sottolinea le criticità dell’approccio neuro-scientifico a quelle che già Vygotskij aveva definito “funzioni extracorticali” e che oggi alimentano la cosiddetta Brain Plasticity Revolution con l’idea di un costante “rimodellamento cerebrale tramite cambiamenti ‘plastici’ che rivedono continuamente le capacità dettagliate di controllo operativo dei nostri cervelli individuali e li dotano di enormi magazzini di informazione culturalmente specifica[25].

Le Neuroscienze cognitive contemporanee guardano alla mente come a un insieme di processi fisici radicati nel corpo di ogni individuo; processi frutto della selezione naturale e della selezione dei gruppi neuronali. La coscienza è dunque una proprietà dinamica di un tipo speciale di morfologia, l’architettura aperta del cervello alle esperienze dell’organismo nelle sue interazioni con l’ambiente interno (sostanze nutritive, ormoni, tossine, farmaci, presenza o assenza di ossigeno…) ed esterno.
La concezione del sistema nervoso come un complesso sistema selettivo caratterizzato da un’organizzazione dinamica e stratificata fondamentalmente “degenerata”, apre così a una sorta di “consilience” tra Neuroscienze e fenomenologia, fra Scienza e Filosofia nello studio della mente e del cervello, in termini di dinamiche popolazionali, popolazioni di gruppi neuronali e di sinapsi che si formano e si modificano durante la vita dell’organismo in funzione della sua esperienza e della sua storia individuale[26].

E guardare a questo paradigma anche attraverso la lente dei fondamenti e dei presupposti filosofici delle Neuroscienze cognitive[27] in una prospettiva storica ed epistemologica, consente da un lato di considerare il cosiddetto embodiment contemporaneo alla luce di un complesso e affascinante percorso teorico che nelle intersezioni fra Filosofia, Psicologia, Fisica e soprattutto Scienze del cervello, si è sviluppato in chiave antidualistica per tentativi successivi di capire la mente incarnandola nel corpo e incorporandola nel cervello. Dall’altro lato consente di “ancorare” il paradigma neuro-scientifico egemone al riconoscimento della costitutiva storicità e individualità del cervello stesso pur nell’incessante tentativo di penetrarne le dinamiche e crea- re le condizioni di possibilità per un approccio scientifico esteso anche alle patologie della mente e del comportamento.

 

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Note

[1] Sul concetto di ambiente, cfr. Gagliasso 2013
[2] Siegel 2001, pp. ix-2.
[3] Debru 2010, p. 247.
[4] La dialettica tra differenziazione funzionale (localizzazioni cerebrali) e integrazione (funzione integrativa del sistema nervoso) è stata sul piano epistemologico l’elemento trainante che ha prodotto e orientato lo sviluppo delle Neuroscienze cognitive fin dalla nascita (si pensi alla cartografia corticale di Ferrier e alle concezioni del suo “allievo”, Sherrington).
Essa si colloca al tempo stesso al “cuore” del funzionamento del cervello e dell’intero sistema nervoso (cfr. Morabito 1996 e 2014).
[5] L’integrazione non è una funzione del Sé, è ciò che il Sé è (Ogawa et al. 1997).
[6] La tipica “architettura aperta” è quella di Internet: essa è decentrata, distribuita, multidirezionale e prevede una sovrabbondanza di funzioni nel network per minimizzare il rischio di sconnessione.
[7] Edelman e Tononi 2000, p. 75: “L’esperienza cosciente non è associata a una singola area cerebrale, quanto piuttosto alla variazione degli andamenti di attività in atto simultaneamente in molte regioni del cervello. L’esperienza cosciente è associata alla attivazione e alla disattivazione di popolazioni di neuroni ampiamente distribuiti nel sistema talamo corticale”.
[8] L’enorme variabilità e la dimensione profondamente individuale della struttura e del funzionamento dinamico del cervello nei suoi diversi livelli di organizzazione (dalla biochimica alla morfologia) è evidente nei dati clinici della Neuropsicologia, i quali chiaramente mostrano i molti modi diversi tramite i quali l’organismo reagisce a una lesione e compensa o “vicaria” le funzioni perse o disturbate tentando di colmare le lacune e salvaguardare l’unità del proprio sistema cognitivo (si pensi ai soggetti affetti da anosognosia oppure da emiinattenzione).<
[9] Che lo sviluppo del cervello sia un processo “esperienza-dipendente” è dimostrato dal fenomeno del “pruning”, la morte di neuroni e sinapsi a seguito della mancanza di esperienza, che tramite una sorta di “potatura” favorisce l’eliminazione degli elementi che non vengono utilizzati.
[10] Reed & Bril 1996, p. 431.
[11] “In termini funzionali, non esiste una cosa definibile come ‘un cervello’: un cervello è sempre in interazione con l’ambiente” (Meares R. 2012, p. 303). “Nel bambino le funzioni regolative intrinseche della crescita del cervello sono adattate in maniera specifica per essere accoppiate, attraverso comunicazioni emozionali, alle funzioni regolative di cervelli adulti più maturi, di persone ‘che sanno di più’. Questa sembra essere una strategia fondamentale generale di apprendimento culturale, che non avviene in cervelli singoli, ma in comunità di cervelli” (Trevarthen 1990). Le parole di Vygotskij risuonano particolarmente ‘vicine’ a questa concezione: “Nel bambino è potenzialmente racchiusa una quantità di future personalità, egli può diventare questo, o quest’altro o una terza opzione ancora. L’educazione produce una selezione sociale della personalità esplicitandola. Dall’uomo in quanto biotipo forma, attraverso questa selezione, l’uomo come sociotipo” (Vygotskij 1991, cit. in Veggetti 2006, p. 31).
[12] Il concetto, originariamente formulato in ambito fisico-chimico all’inizio degli anni Trenta, è stato recentemente “adottato” dalle Scienze neurobiologiche e dall’Immunologia per indicare una caratteristica specifica di reti biologiche complesse.
[13] Edelman et al. 2001, p. 13763; Edelman e Gally individuano diversi esempi di degeneracy a livelli diversi dell’organizzazione biologica: il codice genetico, il processo di sviluppo delle proteine, il metabolismo e le risposte immunitarie, oltre alla connettività delle reti nervose e in generale alle dinamiche neurali. “Un sistema può essere considerato complesso quando le più piccole parti di esso sono segregate o differenziate funzionalmente ma al tempo stesso progressivamente sempre più integrate. (…) A differenza di quanto accade con elementi ridondanti, elementi degenerati possono produrre effetti nuovi e diversi in presenza di diversi vincoli. Un sistema degenerato, che ha molti modi diversi di produrre lo stesso output in un contesto dato, è dunque estremamente adattabile in risposta ai cambiamenti imprevisti del contesto in funzione delle caratteristiche necessarie dell’output. È evidente la rilevanza di ciò ai fini della selezione naturale” (Ibid., p. 13767).
[14] In questo senso, la “degeneracy” è alla base del concetto di “ex-aptation” formulato da Gould, e della metafora del “bricolage” nell’evoluzione proposta da Jacob, indicando la possibilità di sfruttare per scopi nuovi strutture funzionali esistenti. Dehaene (2009) parla in proposito di “riciclaggio neuronale”.
[15] Edelman & Tononi, cit., pp. 41-42.
[16] Seung (2013) riflette su questo esplicito richiamo sottolineando che a differenza del genoma, che è fissato al momento in cui siamo concepiti, il nostro connettoma cambia durante tutta la nostra vita, va sottolineato tuttavia che richiamarsi alla Genomica (non alla Genetica tradizionale) implica la fondamentale ‘svolta’ epigenetica degli ultimi decenni: il DNA infatti può essere modificato senza cambiare la sua sequenza, in base alle sue interazioni con l’ambiente. “Diversi fattori sono coinvolti nel determinare le modalità con cui un ‘genotipo’ (l’insieme delle informazioni genetiche di un individuo) dà origine a un determinato ‘fenotipo’ (l’insieme delle caratteristiche ‘esterne’ di un individuo, come i suoi tratti fisici o comportamentali, che derivano dalla trascrizione di queste informazioni genetiche e dalla sintesi di proteine specifiche)” (Siegel 2001, p. 19).
[17] “‘Connectomica’: una delle linee di questa analisi riguarda la mappatura dettagliata, ad alta densità, di connessioni puntuali fra neuroni e sinapsi” (Bargmann C.I. & Marder E. 2013, p. 483).
[18] Bargmann & Marder 2013, p. 485.
[19] Seung 2013, p. 10; in proposito Seung sottolinea come “le quattro R – Ripesatura, Riconnessione, Ricablaggio e Rigenerazione – siano influenzate dalle nostre esperienze”. In termini di Ripesatura e Riconnessione si può intendere il modello neurobiologico attuale dell’apprendimento e della memoria sviluppato sulla base dei lavori di Kandel.
[20] Seung 2013, p. 14.
[21] Cfr. Morabito 1999 e Wilkes & Wade 1997.
[22] Oggi parliamo in proposito delle cosiddette “Regole Hebbiane della plasticità sinaptica, dipendenti dall’attività”.
[23] Bargmann & Marder 2013, pp. 485-486.
[24] Morgan & Lichtman, “Why not connectomics?”, Nature Methods, 2013, X, n. 6, pp. 494-500, p. 497.
[25] Merzenich 2013, p. 12. Merzenich è considerato “il padre della plasticità cerebrale”, avendo legato il suo nome alle fondamentali ricerche svolte a partire dagli anni Ottanta sulle mappe somoatotopiche multiple nella corteccia cerebrale, e sul nesso tra plasticità cerebrale e riabilitazione cognitiva.
[26] Questo frame teorico è alla base della Neurobiologia Interpersonale (IPNB), un campo distudi – il cui tema centrale è l’integrazione come collegamento di aspetti differenziati di un sistema – avviato da Siegel circa venti anni fa con la fondazione del Mindsight Institute; ogni anno si tiene la Interpersonal Neurobiology Conference alla UCLA.
[27] Bennett & Hacker, Philosophical foundations of neuroscience, Blackwell, Oxford, 2003.

 

*Tratto dalla rivista Scienza & Società n.21/22 – “Mentecorpo. Il cervello non è una macchina