Per non dimenticare

Nei giorni scorsi ci ha lasciati Guido Barone, grande amico di Città della Scienza e autore tra i più prestigiosi della Rivista del Centro Studi. Guido è stato Professore Ordinario di Chimica Fisica dal 1984, all’Università di Napoli Federico II ha tenuto per molti anni i Corsi di Chimica Fisica Biologica, Chimica Fisica Ambientale e Dinamica e Regolazione di Processi Lontani dall’Equilibrio.
Guido Barone è stato un grande animatore della chimica ambientale a Napoli e in Italia. Ma è stato anche impegnato, con grande generosità, alla frontiera tra scienza e società.
Ricordo, tra l’altro, che è stato tra i relatori più assidui e seguiti della Scuola Scienza&Società che il Circolo Sadoul organizza a Ischia con il locale Liceo, con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e con Città della Scienza. Con lui e con Lelio Mazzarella abbiamo scritto nel 2103 un libro, “Alfonso Maria Liquori. Il risveglio scientifico negli anni ’60 a Napoli”, che guardava al passato, ma per costruire il futuro.
In Guido passione scientifica, passione sociale e passione politica si univano. Su Guido Barone scienziato torneremo presto. Ora, ricordiamo la passione per l’ambiente e per la storia. Nel primo caso con una relazione tenuta il 6 gennaio 2014 presso l’Accademia di Scienze Fisiche e Matematiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti in Napoli; nel secondo caso con due note inedite sulla Resistenza a Napoli che mi aveva mandato, diceva, per non dimenticare.

Non dimenticheremo e non ti dimenticheremo, Guido.
Pietro Greco

 

Relazione del 6 gennaio 2014 presso l’Accademia di Scienze Fisiche e Matematiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti

 

Note inedite sulla Resistenza a Napoli

 

L’ 8 settembre 1943 e l’inizio della Resistenza.

Nell’articolo di fondo (la Repubblica, 15 agosto 2015) Eugenio Scalfari, nel notare che la riapertura dei lavori del Senato è stata fissata per l’8 settembre, ricorda e attribuisce a quella data l’inizio della Resistenza. Nel prosieguo Scalfari incappa in una grossa semplificazione: che cioè l’8 settembre del 1943 l’Italia fosse già divisa in due ed esistesse già la Repubblica di Salò (verrà costituita il 23 settembre dopo l’invasione tedesca). Mi permetterei però, senza fare polemica, di aggiungere qualche altra cosa, al di là del collegare la data dell’8 settembre all’inizio della Resistenza nel Centro-Nord.

Anche i bombardamenti continui su Napoli, Palermo, Bari, Taranto e Foggia e infine quello su Roma “città aperta” minarono il morale e le simpatie della popolazione per il fascismo, e prepararono i primi focolai di resistenza a Bari e a Napoli, nonchè i sabotaggi spontanei in Sicilia e poi nelle retrovie dei fronti di Cassino e Sulmona. D’altronde le IV giornate di Napoli, retorica a parte, hanno pur rappresentato la prima rivolta popolare di una città europea, prima ancora di Parigi e della terribile sorte di Varsavia. Certo sono avvenute contro un esercito già in ritirata, ma a Napoli la rivolta cominciò con la fucilazione dei due marinai sulle scale dell’Università e il tentativo di costringere tutti i giovani non ancora sotto le armi a diventare lavoratori forzati e seguire le truppe tedesche per scavare le difese a Cassino e poi ad Anzio. Gli sporadici sabotaggi o le fughe dei giovani, militari e non, nel Meridione, furono prese a prestito per compiere gli orrendi massacri di popolazioni civili ad opera delle SS. Inviterei chiunque a visitare il sacrario di Pietransieri, sopra Roccaraso: decine e decine di tombe di bambini, donne e vecchi, quasi tutti con lo stesso cognome. E ve ne sono altri in Campania, nel Molise e in Abruzzo. Certo furono episodi marginali sul piano militare, ma come non ricordare allora il sacrificio delle truppe italiane a Cefalonia, generali in testa, e quello alla difesa di Roma, dove i giovani ufficiali e i loro soldati si immolarono per coprire la vergognosa fuga del Re e di Badoglio e lo sbando degli ufficiali superiori? Come non ricordare il contributo dei caduti del ricostituito esercito italiano a Mignano Montelungo e a Cassino?

Guido Barone (16 agosto 2015)

 

Dal 25 luglio all’8 settembre 1943.

Il 13 maggio 1943, con la resa degli ultimi contingenti tedeschi e italiani in Tunisia la guerra sul fronte africano si era chiusa.
Dopo poche settimane le forze anglo americane al comando del generale Alexander  erano pronte a sbarcare in Sicilia (Operazione Husky:10 luglio 1943). La VII armata americana (Patton) sbarcò tra Gela e Licata, la VIII armata britannica (Montgomery) più a oriente, tra Pachino e Siracusa. La resistenza delle forze italo tedesche si inasprì in particolare nella piana di Catania tra il 18 luglio e il 5 agosto, mentre Palermo era stata occupata già il 22 luglio; ma poi si affievolì fino a quando il 17 agosto gli americani entrarono a Messina dopo una corsa lungo la costa settentrionale.

Il 3 settembre truppe britanniche sbarcarono in Calabria. Nel frattempo il 17 luglio era stata bombardata per la prima volta Roma, fino ad allora dichiarata “Città aperta” anche per la presenza del Vaticano.
Lo stesso giorno Mussolini era stato convocato alla frontiera da Hitler per avere assicurazioni sulla tenuta dell’Italia nella guerra: Mussolini lo rassicurò, ma Hitler non si fidò.
A Roma i componenti del Gran Consiglio del Fascismo stavano prendendo atto che la strategie militare era oramai insostenibile: la popolazione era stanca e affamata, i bombardamenti su Milano e altri centri industriali del Nord, oltre che su Napoli e gli altri porti del Mezzogiorno, stavano piegando la struttura del Paese. Il comportamento dei Siciliani era poi stato largamente favorevole all’arrivo delle truppe alleate, anche se vi era il sospetto che la malavita americana e la mafia avessero preparato il terreno.

Mussolini fu quindi costretto a convocare il Gran Consiglio il 25 luglio. Qui si trovò di fronte per la prima volta a una forte opposizione. Grandi presento un OdG in cui si chiedevano le dimissioni di Mussolini stesso. Il Consiglio si sciolse senza una decisione, ma il giorno dopo Mussolini fu convocato dal Re che, al termine del colloquio, lo fece arrestare dai carabinieri. L’ex Duce fu trasportato prima alla Maddalena e poi trasferito in un rifugio al Gran Sasso.
Il Governo fu affidato al Maresciallo Badoglio, che emise un ambiguo comunicato sulla continuazione della guerra, gelando molti entusiasmi e illusioni premature. La diffidenza di Hitler era pienamente giustificata: da tempo si stavano conducendo contatti e trattative segrete tra l’entourage monarchico italiano e i servizi segreti alleati. Alla fine il 3 settembre 1943 a Cassibile in Sicilia il generale Castellani, plenipotenziario italiano, firmò nelle mani del generale Bedell Smith l’armistizio che sanciva l’uscita dell’Italia dalla guerra.

L’armistizio non sarebbe stato reso noto subito per consentire al Governo e allo Stato Maggiore italiani di rischierare le truppe che, come in Sicilia e nei Balcani, erano spesso frammiste ai contingenti tedeschi. In effetti Badoglio e le autorità italiane non fecero nulla per giorni, paralizzate dal timore di reazioni tedesche. La richiesta italiana di far atterrare sugli aeroporti di Roma due divisioni di paracadutisti americani fu alla fine ritirata, con gli aerei già in volo, perché non si davano sufficienti garanzie per la sicurezza dell’operazione.
Da tempo infatti intere divisioni tedesche stavano attraversando il Brennero dirette verso il Centro Sud e verso Roma.
Alla fine l’8 settembre il comandante in capo delle forze anglo-americane e alleate, generale Eisenhower, diede l’annuncio dell’avvenuto  armistizio, costringendo Badoglio a darne conferma con un comunicato in cui si ribadiva comunque che “l’esercito italiano era pronto a respingere qualsiasi azione ostile da dovunque provenisse”!?!?

Mentre Eisenhower comunicava l’annuncio alla radio, era già da tempo in mare la forza di invasione che, all’alba del 9 settembre stesso, sbarcò nel Golfo di Salerno, ai due lati della foce del fiume Sele. Ma i tedeschi erano già pronti ad attenderla sulle colline circostanti.
Prima che si chiudesse il cerchio su Roma, la famiglia reale, Badoglio, buona parte del Governo e della Stato Maggiore si trasferirono con un lungo corteo di macchine verso l’Adriatico, dove infine si sarebbero imbarcati sulla corvetta “Baionetta” diretti a Brindisi già occupata dagli inglesi. Va notato che il convoglio di macchine non fu intercettato dall’aviazione tedesca, che era praticamente assente sui cieli italiani, benché il corteo procedesse lentamente e facendo una sosta di una notte in un castello gentilizio.

La colpa più grave di Badoglio e dello Stato Maggiore non fu tanto questa indecorosa fuga (per proteggere il Re) quanto l’aver lasciato l’esercito allo sbando, senza ordini e strutture di comando intermedie. Molti ufficiali superiori si erano nascosti, lasciando i sottotenenti a decidere sul campo la difesa di Roma, con gli eroici episodi di Porta San Paolo dell’11 e 12 settembre. Nel resto di Italia i reparti italiani si sbandarono, aiutati dalle popolazioni locali, o si dovettero arrendere. Molti entreranno poi nelle file della resistenza nei mesi successivi. Altrove guarnigioni isolate, come la Divisione Acqui che presidiava Cefalonia, decisero democraticamente di non arrendersi e di battersi per giorni contro preponderanti forze tedesche, fino alla resa e allo sterminio di tutti gli ufficiali. Una parte dei soldati perì poi nel naufragio di una nave prigione tedesca silurata dalla marina inglese. Altri episodi si ebbero nell’Egeo. Quasi dovunque in Grecia e nei Balcani le truppe italiane, senza comandi, si dovettero arrendere e furono deportate in Germania e Polonia. Qualche singolo militare o qualche piccolo gruppo si unirono alla resistenza greca o jugoslava.
Questi episodi non li dovremmo mai dimenticare, consegnandone la memoria alle giovani generazioni.

Guido Barone (16 settembre 2015)