TTIP, un po’ meno segreto il trattato Europa USA

Articolo prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara

 

Il TTIP, l’accordo di libero scambio commerciale tra USA e UE da cui dipendono i futuri standard ambientali, sanitari e sociali e delle tutele per i cittadini, non è più totalmente segreto. I parlamentari e i funzionari governativi hanno adesso un’ora di tempo e il solo taccuino a disposizione per raccogliere informazioni sui documenti negoziali del Transatlantic Trade and Investment Partnership.
Non è molto, e i divieti per i parlamentari sono ancora tanti, ma è la prima volta che il trattato viene reso pubblico prima di essere ratificato: un segno di apertura e un tentativo di riguadagnare un po’ di fiducia – dopo un crescendo di mobilitazioni e proteste –  prima del prossimo round di consultazioni, che si svolgerà a luglio.

Ma cos’è in pratica il TTIP, e perché solleva tante polemiche e preoccupazioni?

Il partenariato transatlantico rappresenta una novità, in quanto punta non solo ad abbassare i dazi tariffari per favorire l’accesso al mercato, ma anche ad alleggerire il carico di normative che regolano gli scambi (le cosiddette barriere non tariffarie) e uniformare i criteri regolatori in molti settori.
I fautori del TTIP affermano che l’accordo rappresenta un’opportunità e uno stimolo per la crescita economica, il commercio e l’occupazione. Gli oppositori sono tanti: associazioni sindacali, politici, ambientalisti e rappresentanti del settore agroalimentare sostengono che il TTIP poterà a un indebolimento dell’autonomia degli stati europei e che, in nome del libero mercato e dei profitti, verranno abbassati gli standard di qualità e sicurezza.
Alla base del conflitto vi è una colossale differenza di prospettive in ambito scientifico, specialmente nei casi in cui siano riconosciuti effetti potenzialmente pericolosi per l’uomo o l’ambiente. Nel Vecchio Continente vige il “principio di precauzione”, promosso negli anni Settanta dai primi movimenti ambientalisti. Questa politica tutelativa prevede che, qualora i dati scientifici non permettano una valutazione complessiva del rischio associato a una certa pratica o a un prodotto, sia consentito vietarne l’applicazione o la distribuzione, in attesa di ulteriori evidenze scientifiche.

Gli USA applicano invece il “principio dell’evidenza”, secondo il quale può essere vietato solo ciò che è già stato scientificamente dimostrato come dannoso. Tale dimostrazione è a carico del consumatore ed è sottoposta ai tempi della ricerca.
Proviamo a capire quali sono le maggiori criticità e quali effetti potrebbe avere il TTIP per milioni di cittadini.

 

Ambiente

L’aumento delle attività produttive in molti settori, da quello tessile a quello dell’auto, favorirà la ripresa economica, ma non senza ripercussioni sull’ambiente e sul clima. Questo è quanto emerge dal rapporto preliminare pubblicato da Ecorys, società indipendente di consulenza, alla quale è stato commissionato uno studio di Risk Analysis per valutare il possibile impatto del TTIP a livello economico, sociale ed ambientale.
Le previsioni del rapporto di Ecorys prospettano un aumento della richiesta di energia derivante da combustibili fossili, con conseguente incremento delle emissioni di CO2 (+0.2 % in EU). Questo sembra in contrasto con gli impegni presi nella Conferenza sul clima di Parigi da cui, secondo molti, il commercio non dovrebbe sottrarsi.

 

Agroalimentare

Tra le paure maggiori dei cittadini europei c’è quella che, a causa del TTIP, sulle loro tavole arrivino prodotti di bassa qualità, carne agli ormoni e verdure OGM o contaminate da pesticidi.
Proprio in virtù del principio di precauzione, la coltivazione degli organismi geneticamente modificati in Europa è oggetto di una legislazione tutelativa, che prevede un’autorizzazione preventiva e una valutazione scientifica del rischio. Da aprile 2015 è in vigore un accordo che lascia ai singoli Paesi la libertà di coltivare o meno nel proprio territorio. D’altra parte è sicuramente interesse del mercato americano far sì che il numero di OGM importati in UE aumenti. L’America è infatti il principale produttore di organismi geneticamente modificati, di cui larga parte provenienti dagli Stati Uniti (seguono Brasile, Argentina e Canada).

A ciò si aggiunge il dibattito sulle sostanze utilizzate negli allevamenti intensivi; infatti, mentre l’impiego di antibiotici in Europa è permesso, seppur con regole precise, quello di ormoni della crescita è vietato da più di trent’anni, così come lo è l’importazione dagli USA di carne bovina trattata.
Quindi, se il TTIP dovesse essere approvato potrebbe esserci il rischio di trovare, negli scaffali del supermercato, carni di bassa qualità. Tuttavia la commissione europea ha ampiamente rassicurato che non intende cedere: è questo infatti uno dei motivi per cui le trattative sembrano arrivate a un punto fermo.
Altro fronte di discussione è quello che riguarda i pesticidi. Da un’analisi condotta dal Centre for International and Environmental Law (Ciel), gli Stati Uniti permettono l’utilizzo di circa 82 pesticidi attualmente banditi dall’Unione Europea. Tra questi spiccano composti cancerogeni ed interferenti endocrini (EDC). Anche i livelli massimi di residui degli antiparassitari consentiti nei prodotti alimentari sono di gran lunga superiori negli USA rispetto all’UE (fino a centinaia di volte superiori, come nel caso della difenilammina o dei carbammati).

 

Prodotti Chimici

Dal 2006 l’Unione Europea ha adottato una nuova legislazione per le sostanze chimiche, realizzando un sistema di registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione dei prodotti, denominato REACH (in vigore dal 1° giugno 2007).
Negli Stati Uniti questo tipo di normativa esiste dal 1976: si tratta del Toxic Substance Control Act (TSCA), che regola l’introduzione e la distribuzione di prodotti chimici. Tuttavia i prodotti presenti sul mercato statunitense nel 1976 sono stati automaticamente classificati come “sicuri”, mentre solo quelli prodotti dopo questa data sono stati sottoposti al procedimento di valutazione. Il REACH non prevede questa distinzione: tutte le sostanze chimiche sono state sottoposte a valutazione.
Le normative europea e statunitense hanno in comune l’obiettivo, ma le modalità per perseguirlo si discostano notevolmente. La differenza principale è che il TSCA non richiede “risk assessments” preventivi che descrivano la pericolosità dei prodotti lanciati sul mercato, mentre in Europa è responsabilità dei produttori fornire le informazioni riguardo alla produzione e ai rischi associati ad un composto. Negli USA è comunque obbligatorio informare l’Environmental Protection Agency (EPA) nel caso vengano pubblicate informazioni che suggeriscano un rischio del prodotto successivamente all’uscita sul mercato.

 

Farmaci

I servizi sanitari e i dispositivi medici sembrano essere esclusi dal trattato, ma quello sui prodotti farmaceutici rimane un capitolo importante del TTIP. Gli obiettivi principali sono due: armonizzare gli standard regolatori per l’autorizzazione di nuovi farmaci e ridisegnare i contorni di quella che viene definita proprietà intellettuale.
Uniformare i criteri con i quali un nuovo medicinale viene immesso in commercio potrebbe semplificare i passaggi burocratici ed evitare la duplicazione di alcuni processi. Questo porterebbe ad un risparmio per le aziende, ma non è scontato che ciò si traduca in prezzi più bassi per i servizi sanitari nazionali e per i cittadini.

Il secondo obiettivo riguarda la decisione su quali informazioni debbano essere considerate di esclusiva proprietà delle aziende, quindi confidenziali e protette da segreto. Secondo la European Public Health Alliance (EPHA), le Big Pharma premono per includere nella proprietà intellettuale anche i risultati dei trials clinici per l’autorizzazione dei nuovi farmaci. Questo potrebbe vanificare lo sforzo fatto in Europa negli ultimi anni per rendere pubblici i dati degli studi clinici e mettere a rischio gli standard di sicurezza e qualità dei farmaci.
Un altro aspetto controverso è la possibilità che vengano estesi i monopoli dei brevetti per i farmaci; se questo accadesse, la disponibilità di medicinali generici verrebbe ritardata, a scapito delle categorie di pazienti più vulnerabili (persone a basso reddito e affette da patologie croniche).

 

Nelle controversie non decidono più gli stati

Già parte di molti trattati internazionali (come il NAFTA, North American Free Trade Agreement, accordo nordamericano per il libero scambio tra USA, Canada e Messico), la clausola Investor to State Dispute Settlement (ISDS) prevedrebbe l’istituzione di un organismo terzo che faccia da arbitro delle contese tra grandi aziende e Stati. La composizione delle controversie investitore-Stato mira a garantire che l’impegno per la protezione degli interessi reciproci tra Stati sia mantenuto. Ad oggi, gran parte dei contenziosi (di cui il 48% avviato da medie-grandi imprese) riguarda la cancellazione di licenze o autorizzazioni, la zonazione o le violazioni contrattuali.
La creazione di una corte sovranazionale comporterebbe una tutela maggiore degli interessi economici legati all’accordo, mentre tralascerebbe le dinamiche socio-economiche delle singole Nazioni. Questa prospettiva preoccupa quanti temono, ad esempio, che le grandi multinazionali statunitensi facciano causa ai governi europei per decisioni troppo stringenti e limitanti il libero scambio (un esempio fra tutti, la regolamentazione sugli OGM).
Il rapporto della UE sull’ISDS mostra che solamente poco più di un caso su tre (37%) di quelli verificatisi finora si è concluso con la vittoria dello Stato, mentre un po’ meno di un terzo  (28%) è stato archiviato, il 27% è stato risolto a favore dell’investitore (nel 25% dei casi con riconoscimenti pecuniari) e l’8% è stato sospeso.

 

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