Due recensioni per Alan Turing

L’inglese Alan Turing (Londra, 1912- Wilmslow , 1954) è uno degli uomini di scienza del XX secolo che hanno avuto e hanno tuttora la più grande influenza sulla società. Per almeno tre motivi: è, giustamente, considerato uno dei padri fondatori dell’informatica e, dunque, dell’era digitale nella quale viviamo; ha dato un contributo molto importante alla vittoria degli Alleati sul nazifascismo decriptando il codice segreto usato dagli eserciti della Germania di Hitler; è stato arrestato e perseguitato a causa della sua omosessualità, costretto a brutali trattamenti chimici e indotto al suicidio. Solo di recente il governo inglese ha riconosciuto il carattere omofobico delle autorità inglese e, nel dicembre 2013, la regina Elisabetta gli ha concesso la grazia postuma. Alan Turing era anche un grande sportivo, un maratoneta in lizza per correre le Olimpiadi di Londra del 1948.

Per tutti questi motivi Alan Turing è tra gli scienziati del XX secolo che hanno colpito la sensibilità di artisti e letterati. Gianni Zanarini ci indica due film che hanno avuto per protagonista il logico inglese: Breaking the Code, di Herbert Wise (1996) e il recentissimo The imitation game, di Morten Tyldum (2014).

 

The imitation game, di Morten Tyldum, con Benedict Cumberbatch e Keira Knightley (2014)

Il film, interpretato da uno straordinario e premiatissimo Benedict Cumberbatch (ricordiamo di lui anche l’intenso Stephen Hawking in “Hawking” del 2004), racconta la storia di un genio dell’informatica, una scienza che nascerà proprio a partire da ciò che egli ha pensato, scritto, realizzato soprattutto nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale. Ma inizia in modo inatteso, nel 1951. Una strana effrazione senza furto, una sospetta reticenza di Turing, una serrata indagine: ed ecco che Alan si trova in una stazione di polizia, di fronte a un funzionario che lo accusa di omosessualità, una pratica severamente sanzionata dalla legge. Ma, nello stesso tempo, il poliziotto è affascinato dall’intelligenza di quest’uomo che afferma di non aver fatto nulla di male, e dalla sua fama di genio matematico.

Il seguito del film vedrà alternarsi tre periodi diversi ma altrettanto importanti per Alan: i primi anni cinquanta del novecento, gli anni della seconda guerra mondiale e la fine degli anni venti, l’epoca in cui Alan frequenta il College. La sceneggiatura costruisce un efficace legame tra questi periodi della vita di Alan, un legame che intreccia strettamente la sua passione matematica – e in particolare la sua passione per la crittografia -, la sua  intensa e segreta amicizia erotica adolescenziale per il giovane Christopher, prematuramente scomparso, e le vicende che lo hanno portato a decifrare i codici segreti nazisti, e quindi a  dare un contributo importante alla conclusione vittoriosa della guerra.

Al College, Alan scambia messaggi cifrati con Christopher, nascondendo i loro acerbi segreti alle autorità scolastiche; dopo il trauma della morte dell’amico del cuore, darà il suo nome a una macchina alla quale dedicherà, senza tregua, alcuni anni della sua vita. Ma di che macchina si tratta? Di una macchina che, nelle sue intenzioni, dovrà riuscire a decifrare gli inespugnabili codici prodotti e modificati quotidianamente per conto delle forze armate tedesche da “Enigma”: un dispositivo questo che, dietro la familiare apparenza di una sorta di macchina da scrivere, nasconde una enorme complessità. I migliori crittografi e campioni di scacchi sono già al lavoro per conto delle forze armate inglesi dietro la facciata di una fabbrica di apparecchi radio, a Bletchley Park, ma Alan riuscirà a ottenere da Winston Churchill la direzione del gruppo e lo stanziamento di un fondo assai rilevante per la costruzione di una macchina da lui inventata.

Il film non si sofferma sugli aspetti tecnici di questa macchina, sull’enorme difficoltà di collegare il disperante intrico di fili, sul ruolo degli ingegneri in questa impresa: è come se “Christopher” (“the Bomb”, come veniva chiamata) fosse uscita all’improvviso dalla mente di Alan. E, per certi aspetti, questo è vero. Infatti, la macchina – se ancora si può chiamare così – non esegue soltanto più in fretta i milioni di milioni di tentativi finalizzati a estrarre da un messaggio in codice un’informazione in chiaro. Essa, infatti, “pensa”: confronta i risultati con ipotetici frammenti di messaggi (parole plausibili nelle previsioni  del tempo, saluti a Hitler, forse una debolezza del codificatore tedesco che cita il nome della fidanzata…), sfrutta le caratteristiche strutturali del dispositivo (l’accoppiamento simmetrico tra le lettere dell’alfabeto), e nel caso di un risultato positivo rovescia la situazione e imita “Enigma” (il titolo del film si può riferire anche a questo), tentando di ricreare il messaggio cifrato.  Il tutto è condizionato dai ristretti limiti della tecnologia, che saranno superati solo verso la fine della guerra, quando i commutatori rotanti verranno sostituiti da tubi a vuoto.

Il film si affida assai più alle immagini che alle parole, e così “Christopher” colpisce lo spettatore più per i molti rotori in incessante movimento, che ne fanno una sorta di carro armato della decifrazione, piuttosto che per la novità concettuale che presiede alla sua struttura. Ma, certo, si trattava di un’impresa difficile, nella quale nemmeno i tanti libri dedicati a Turing sono riusciti ad avere successo usando parole semplici e spiegazioni brevi.

Con l’aiuto di una squadra inizialmente ostile, ma in seguito schierata con lui, Alan vincerà la battaglia, e ne inizierà un’altra, altrettanto, complessa: fornire informazioni vitali alle forze armate senza che i nazisti sospettino la decifrazione del codice segreto. Una battaglia, questa, che si fonderà ancora una volta sull’uso creativo della matematica da parte di Alan:  il film racconta le relazioni tra Marina militare, Servizi segreti e ricercatori con l’efficacia e la tensione di una spy story.
Accanto ad Alan, in un sodalizio intellettuale ma anche affettivo, starà a lungo Joan Clarke (interpretata da una splendida Keira Knightley), una giovane e brillante crittografa. Alan addirittura le proporrà di sposarlo: chissà, forse non solo per impedirle di andarsene e tornare dai suoi genitori, ma anche – suggerisce tra le righe il film – perché il suo orientamento sessuale è più legato all’indelebile ricordo dell’amore per Christopher che non a una chiara identità alternativa. Un amore, quello per Christopher, che sembra vivere ancora nella sua passione per le macchine pensanti più che nelle sue relazioni omosessuali, alle quali – appunto – il film non fa cenno se non quando, nel 1951, il detective della polizia scoprirà una episodica vicenda mercenaria.

L’Alan Turing che ci viene proposto dal film (ispirato alla biografia scritta da Andrew Hodges) è dunque un genio adolescenziale, che senza saperlo e senza volerlo ha fondato una nuova scienza (certo, dall’altra parte dell’Atlantico c’erano anche John von Neumann e tanti altri…), ha inventato il celeberrimo Test di Turing per le macchine pensanti (un cenno a questo Test si incontra nel colloquio tra Alan e il detective, oltre che nel titolo del film) e ha proposto la “macchina universale”, di cui “Christopher” è una versione particolare dedicata a un problema che non poteva attendere. Un genio adolescenziale che, dopo la fine della guerra, contribuisce agli sviluppi delle sue intuizioni, costruisce nuove macchine pensanti e si dedica ancora una volta ai giovanili e pericolosi esperimenti di chimica. Per le sue illecite attività sessuali viene condannato alla castrazione chimica. Morirà per un avvelenamento da cianuro di potassio (un suicidio, secondo l’indagine della polizia) nel 1954, a  42 anni.

 

Breaking the Code, di  Herbert Wise, con Derek Jacobi e Harold Pinter (1996).

Questo film, inedito in Italia, è l’adattamento cinematografico (ad opera dell’autore) di un’applaudita opera teatrale di  Hugh Whitemore, magistralmente interpretata anch’essa da Sir Derek Jacobi. Tra gli altri interpreti, compare il premio Nobel Harold Pinter nella parte di un ufficiale dei servizi segreti. Dell’opera teatrale il film conserva la struttura “da camera”: tutte le scene si svolgono in interni, e sono costituite in gran parte di lunghi dialoghi, nei quali anche i riferimenti alla filosofia della matematica, al teorema di Gödel, alla struttura matematica del mondo hanno un ruolo importante.

Il testo di Whitemore, come il film “The imitation game”, si ispira alla biografia di Turing scritta da Andrew Hodges, e fa quindi riferimento a tre fondamentali periodi della vita di Alan: la giovinezza, il tempo della guerra, i primi anni cinquanta del novecento. A differenza di quanto accade in  “The imitation game”, in questo film l’omosessualità del protagonista ha un’importanza centrale, che si riflette addirittura nel gioco di parole che costituisce il titolo. Infatti, “Breaking the Code” ha un ovvio riferimento al codice “Enigma” usato dai nazisti per le comunicazioni militari, che la macchina ideata da Turing ha permesso di decifrare. Ma ha anche un secondo significato, che richiama la rottura del codice morale e giuridico vigente nell’Inghilterra di allora relativamente all’omosessualità dichiarata.

È Alan stesso, con disarmante ingenuità, a rivelare a un funzionario di polizia, che indaga su di un furto da lui subito, la sua occasionale relazione sessuale con un giovane pregiudicato. Di qui scaturirà una condanna per atti osceni, seguita da una castrazione chimica, da una sorveglianza continua e – secondo la versione ufficiale – dal suicidio per mezzo di una mela avvelenata con cianuro di potassio. “Someday My Prince Will Come”, canta Biancaneve mentre la camera inquadra la mela addentata che reca tracce biancastre di cianuro: la canzone famosa tratta da un film molto amato da Alan.

La canzone era già  presente in sottofondo in una delle prime scene, quasi a definire fin dall’inizio un filo conduttore del film: il rimpianto per l’amico Christopher, scomparso prematuramente, con il quale Alan da ragazzo sognava  di vivere, studiare, ricercare per tutta la vita. Un rimpianto senza fine per qualcuno che non tornerà mai più; un rimpianto che spinge Alan  verso sempre nuove relazioni omosessuali e lo porta a rifiutare l’amore delle giovane crittografa Pat Green. Ella sarebbe pronta ad accettare l’orientamento omosessuale di Alan, come accade in tanti rispettabili matrimoni dell’epoca; più tardi rivelerà ad Alan che anche Dilwyn Knox, l’uomo da cui era stato assunto nel progetto segreto per decifrare “Enigma”, aveva avuto prima del matrimonio relazioni omosessuali con Maynard Keynes e con Lytton Strachey.  Ma Alan non tollera compromessi, e – come ci ricorda anche il titolo del film – si avvia verso una rottura dei codici della società in cui vive.

Può sorprendere il fatto che nel film non compaia mai la macchina ideata e costruita da Turing – a partire dai risultati ottenuti dai servizi segreti polacchi – per decifrare i codici sempre più complessi utilizzati dai nazisti.  Ma questa scelta non diminuisce la percezione dell’importanza che quel periodo ha avuto per Alan. Un periodo, certo, di dedizione al servizio del suo paese in guerra; ma un periodo, anche, di sperimentazione di un concetto – quello di una macchina capace di operazioni logiche oltre che di calcolo  –  che egli svilupperà negli anni successivi. Cercando sempre di rispondere a un interrogativo fondamentale: “Qual è la natura dei processi mentali? Possono svilupparsi anche al di fuori di un cervello vivente?”  In un intenso colloquio con Pat, Alan prosegue: “In un certo senso, molti dei problemi che ho cercato di risolvere mi riportano a Christopher…” E Pat: “Penso che gli farebbe piacere…”

L’alta onorificenza che gli è stata conferita dopo la guerra viene ritrovata dalla polizia tra le cose di Turing dopo la sua morte: uno sbiadito ricordo di quel periodo che ormai (sono le parole di Alan a Pat durante un loro incontro, anni dopo) è lontano “una vita”… Una vita di sviluppi scientifici e tecnologici, di applicazioni del computer alla morfogenesi, di nuove esaltanti prospettive di ricerca. Ma, come gli ha ricordato  Dilwyn Knox nel corso del loro primo colloquio, “persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora  neppure sfiorati”. È un pensiero di Ludwig Wittgenstein, del quale Alan è stato allievo a Cambridge.