Interpretare i segnali dal futuro

Interpretare i segnali dal futuro

La notizia della morte, lo scorso 27 giugno, del sociologo e futurologo Alvin Toffler, autore nell’ormai lontano 1969 di un best-seller mondiale, Future Shock, è passata praticamente inosservata in Italia, a differenza del resto del mondo, soprattutto di quello anglosassone. Quando uscì il libro di Toffler, infatti, proprio nel mondo anglosassone stava emergendo una disciplina destinata a un grande successo nei due decenni successivi: quella dei futures studies, gli studi sui futuri possibili, in Italia chiamata popolarmente “futurologia”.

Nei primi anni Settanta nasceva la World Future Society, l’associazione dei futurologi professionisti, e soprattutto la World Futures Studies Federation, che riunisce ancora oggi gli studiosi di scenari di lungo termine, per anni presieduta da un’italiana, la sociologa e studiosa di gender studies Eleonora Barbieri Masini. Proprio l’Italia in quegli anni assunse un ruolo decisivo quando Aurelio Peccei, dirigente d’industria all’Olivetti prima e alla FIAT poi, riunì all’Accademia dei Lincei, nel 1968, un gran numero di personalità scientifiche, accademiche, politiche, per fare il punto sulle sfide del futuro, commissionando poi a un gruppo di esperti del MIT la ricerca che avrebbe portato, nel 1972, a una delle pubblicazioni più influenti al mondo, il Rapporto sui limiti dello sviluppo. Da lì è nata la rivoluzione ecologista e successivamente l’idea di sviluppo sostenibile, entrambe destinate a grande fortuna. Ma i futures studies negli anni hanno invece perso il loro interesse tra il grande pubblico, soprattutto in Italia, dove la “futurologia” è di fatto scomparsa.

Quando, nel 2013, abbiamo deciso di fondare a Napoli l’Italian Institute for the Future (IIF), siamo partiti con l’intenzione di recuperare quell’eredità fondendola con la nuova direzione che gli studi sul futuro hanno intrapreso negli ultimi vent’anni. Oggi l’IIF opera a livello nazionale per riportare in auge la visione di lungo termine, indispensabile per un paese come il nostro sempre più vittima del presentismo, e incoraggiare l’impiego, a tutti i livelli, di nuovi strumenti per interpretare i cambiamenti in corso, i cosiddetti megatrend, che potremmo definire i “segnali dal futuro”.

Esistono diversi metodi per captare questi segnali. Per esempio utilizzando la previsione sociale, che fa propri gli strumenti della sociologia per sviluppare una capacità di “anticipazione”. È la strada che sta percorrendo, tra gli altri, Roberto Poli dell’Università di Trento, titolare della prima cattedra UNESCO in anticipazione, direttore di un master in Previsione sociale e organizzatore, lo scorso novembre, di un grande convegno internazionale sull’anticipazione a cui anche noi dell’IIF abbiamo partecipato. L’idea di fondo è sostituire al concetto di previsione quello di “anticipazione”, incoraggiando le organizzazioni – private e pubbliche, a partire dagli Stati e quindi dai governi – a dotarsi di strumenti di anticipatory governance, per “capire e implementare cambiamenti in anticipo sul presentarsi dei principali eventi, per ridurre i rischi e massimizzare le opportunità”. Tra le diverse metodologie da impiegare c’è quella del technology assessment, che permette di analizzare e anticipare l’impatto dello sviluppo tecnologico sulla società; l’EPTA – lo European network of Parliamentary Technology Assessment – opera per introdurre questa metodologia, già impiegata all’interno di alcune commissioni del Parlamento europeo, anche in altri parlamenti nazionali dell’UE. Tra i casi virtuosi in questo senso c’è la Committee for the Future del parlamento finlandese, attiva dal 1993 e composta da 17 deputati incaricati di elaborare la strategia di lungo termine del paese. Nel Regno Unito l’ufficio del governo per la scienza e la tecnologia si è dotata da diversi anni di una Foresight Unit, che impiega la metodologia dell’Horizon Scanning per individuare i segnali relativi a sviluppi tecnologici futuri e prevederne le conseguenze.

Lo sviluppo della scienza dei sistemi complessi rende oggi possibile prevedere il comportamento di diversi fenomeni, dalla diffusione delle epidemie al traffico nei centri urbani, dalle rotte degli scafisti a (forse) le crisi finanziarie. La svolta è avvenuta quando si è cominciato a trattare i fenomeni sociali complessi con la stessa matematica sviluppata per studiare fenomeni naturali come i cambiamenti climatici, caratterizzati da comportamenti dinamici e non-lineari, come “l’effetto farfalla”: così come il battito di una farfalla a Pechino può provocare una tempesta a New York, analogamente una bolla speculativa in Corea può comportare il crollo della Lehman Brothers negli USA. Per riuscire ad anticipare in misura adeguata questi fenomeni sociali complessi, bisogna fondere insieme matematica avanzata, simulazioni informatiche cosiddette multi-agent based, ossia che simulano il comportamento di un numero enorme di “agenti”, e grande capacità di calcolo per la data analysis, ossia il processamento di un gran numero di dati (“Big Data”). In Italia ci lavora per esempio l’ISI di Torino, che vanta alcuni dei migliori scienziati al mondo in questo campo, come Alessandro Vespignani, fisico e computer scientist che ha applicato con successo queste metodologie allo studio della diffusione delle epidemie, ma anche l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, il cui Laboratorio per le Simulazioni Agent-Based è stato diretto fino a pochi giorni fa da Rosaria Conte, pioniera di questi studi prematuramente scomparsa all’età di 64 anni. Conte era stata nostra ospite nel 2014 al Congresso Nazionale di Futurologia che organizziamo ogni anno per fare il punto sugli scenari futuri e le metodologie di futures studies, e aveva diretto la sezione italiana di un grande progetto europeo, FuturICT, in lizza per un finanziamento di un miliardo di euro da parte della Commissione europea – poi sfumato – con l’obiettivo di realizzare un enorme simulatore di tutta l’umanità esistente sul pianeta, per comprenderne in dettaglio e anticiparne le dinamiche.

Esistono anche metodi più tradizionali per studiare il futuro, che mantengono inalterato il loro potere predittivo. Tra questi soprattutto la statistica e la demografia. Quando fu pubblicato il Rapporto sui limiti dello sviluppo, uno degli aspetti che preoccupava maggiormente gli studiosi del MIT e gli esperti del Club di Roma riguardava la crescita della popolazione. Le previsioni di allora si sono finora avverate con un certo grado di esattezza, e da allora la popolazione terrestre è raddoppiata. L’anno scorso le Nazioni Unite hanno rivisto le stime piuttosto ottimistiche sui trend di crescita, che inizialmente prevedevano il raggiungimento di un massimo di 9 miliardi di abitanti intorno al 2050, seguito da un progressivo calo; le nuove stime parlano di 11 miliardi di abitanti nel 2100, e il calo è stato spostato agli inizi del XXII secolo. Non è che le previsioni erano sbagliate, è che nel frattempo i governi sono riusciti a cambiare le cose in alcuni paesi del mondo – in particolare in Cina – ma non in altri, in particolare l’Africa, dove si passerà da qui alla fine del secolo dall’attuale miliardo di abitanti a una popolazione compresa tra i 3 e i 5 miliardi. Le conseguenze di questa nuova population bomb sono abbastanza prevedibili, soprattutto per l’Europa. La demografia ci mette in mano dei dati, tocca a noi individuare le opportune soluzioni. Abbiamo dedicato l’ultimo numero della nostra rivista periodica, “Futuri”, proprio al tema della rivoluzione demografica, ospitando i contributi dei principali demografi italiani su un tema che ci riguarda da vicino. Non si tratta solo del problema africano, ma anche del crollo delle nascite e dell’invecchiamento della popolazione in Italia e in Europa, delle conseguenze sul sistema pensionistico e sanitario nei prossimi decenni, del necessario apporto dell’immigrazione per equilibrare la situazione demografica nel nostro paese.

La statistica oggi può essere utilizzata anche per altri obiettivi, per esempio per elaborare indicatori in grado di analizzare in modo più veritiero l’andamento delle economie dei paesi del mondo. Al tradizionale misuratore del PIL, le Nazioni Unite vorrebbero sostituire indicatori in grado di misurare soprattutto lo sviluppo sostenibile delle economie mondiali; gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile varati dall’ONU lo scorso anno vanno precisamente in questa direzione, ed è incoraggiante sapere che oggi esiste un piano per rivolvere alcuni dei più grandi problemi del mondo – dal cambiamento climatico alla fame – con orizzonte il 2030. L’Italia ha recentemente istituito un’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS), che coinvolge tutte le realtà no-profit impegnate in questo settore, tra cui l’IIF, per incoraggiare l’Italia a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Il progetto è presieduto da Enrico Giovannini, ex presidente dell’ISTAT, che di recente ha guidato un gruppo di lavoro dell’ONU sulla Data Revolution, incoraggiando le nazioni del mondo a utilizzare la capacità predittiva della statistica e dei Big Data per anticipare i cambiamenti.

Esiste infine almeno un altro metodo per indagare il futuro, a cui all’Italian Institute for the Future teniamo in modo particolare: la fantascienza, o – per dirla meglio – la speculative fiction. Si dice spesso che la fantascienza predice il futuro, ma è un’affermazione sbagliata. Come ha recentemente precisato William Gibson, autore di Neuromante, in cui il World Wide Web e il fenomeno degli hacker erano immaginati con anni di anticipo rispetto alla realtà, gli scrittori di science fiction elaborano scenari possibili, che possono o meno realizzarsi. Di fatto, quindi, anticipano possibili conseguenze sociali dello sviluppo scientifico e tecnologico: quando alcuni scrittori, tra la fine degli anni Trenta e gli inizi degli anni Quaranta del secolo scorso, immaginarono l’applicazione militare dell’energia atomica, anticiparono di molti anni le bombe su Hiroshima e Nagaski; e questo basta a capire quanto può essere importante prestare ascolto alla fantascienza. Negli ultimi anni realtà come l’Institute for the Future in California o il Centre for Science and Imagination dell’Arizona State University coinvolgono scrittori di fantascienza per generare scenari narrativi basati su sviluppi tecnologici in corso, dai droni alla stampa 3D, dall’intelligenza artificiale all’Internet of Things. Si sta altresì diffondendo la branca della climate fiction, che sviluppa in una cornice narrativa le possibili conseguenze del cambiamento climatico sulla nostra società. Alcune settimane fa abbiamo pubblicato un nostro contributo su questi temi, Segnali dal futuro, un’antologia curata da Francesco Verso, direttore editoriale della casa editrice Future Fiction, che ha chiesto a quattro scrittori italiani e a un autore sino-americano cinque racconti su alcuni temi su cui si concentra la nostra attività di ricerca all’IIF: la disoccupazione tecnologica, la diffusione delle AI nelle attività quotidiane, il futuro dell’energia, la penetrazione della realtà virtuale, il transumanesimo, il futuro umano nello spazio. Abbiamo quindi affiancato, a queste storie, dei saggi scritti da altrettanti futurologi italiani per capire quanto reali possono essere questi scenari.

Ma anticipare il futuro, comunque lo si faccia, serve a poco se non c’è un reale impegno nel promuovere gli scenari più desiderabili. Un esempio concreto è il lavoro del nostro Center for Near Space, uno dei centri specializzati dell’IIF, dedicato alla frontiera spaziale. Crediamo sia fondamentale che il nostro paese inizi ad aprirsi al nuovo boom dell’economia spaziale trainato dalle grandi compagnie private americane come SpaceX. Un accesso più economico all’orbita terrestre vuol dire rendere lo Spazio più vicino e a portata di tutti, aprire la nuova frontiera, rendere abitabile il Quarto Ambiente. I vantaggi in termini di ricadute economiche e tecnologiche sarebbero innumerevoli. Lo scorso 4 luglio a Città della Scienza abbiamo festeggiato il primo anno di attività del CNS, diretto da Rino Russo, ingegnere aerospaziale con venticinque anni di esperienza da dirigente in realtà come il CIRA, il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziale di Capua. In quell’occasione abbiamo presentato alcuni dei progetti su cui il CNS è al lavoro, da Hyplane – una soluzione tutta italiana per il turismo spaziale e i voli di linea ipersonici a costi contenuti – a un avveniristico SpaceHub su cui è al lavoro un team coordinato dall’architetto Massimo Pica Ciamarra, per sollecitare una rivoluzione nell’architettura spaziale di domani. Il tutto attraverso un grande apporto dei più giovani – studenti, ingegneri, professionisti under-30 – perché restiamo convinti, come scrisse Alvin Toffler in Future Shock, che «i “futuri presunti” devono essere formulati e discussi da coloro che, presumibilmente, inventeranno il futuro e vivranno in esso».