Perché rottamare le “ razze umane ” (o almeno provarci)

Il contributo di Giovanni Destro Bisol prende spunto dall’articolo di Emiliano Bruner pubblicato sulla Rivista del Centro Studi giovedì 30 giugno 2016

 

Sono molto grato a Emiliano per aver dimostrato nel suo pezzo “I colori della dignità” quanto sia necessario e urgente parlare ancora di “ razze umane ”.  Il tema della diversità umana ha una complessità notevole, di cui devono essere consapevoli tutti coloro che da vari versanti cercano di approcciarlo, e il contributo di Emiliano è davvero utile in questo senso. Ho individuato nel suo testo cinque punti sui quali organizzare il mio  commento.

  1. Il concetto di “razza” per se stesso non comporta nessun giudizio di valore.

E’ vero che il concetto di razza, o la sua declinazione formale “sottospecie”,  in un  contesto puramente scientifico non hanno implicazioni di tipo etico o morale. Gli stessi Antropologi, come gli Zoologi d’altro canto, ne fanno uso per descrivere la diversità all’interno dello scimpanzé comune (Pan troglodytes), la più vicina a noi geneticamente tra tutte le specie biologiche.
Ma questo non chiude il problema. Mi capita spesso di dire ai miei studenti che dobbiamo fare i conti con quello che la gente pensa nel mondo reale quando affrontiamo un argomento che ha una rilevanza sociale.  Così facendo diventiamo consapevoli del fatto  che nella vita di tutti i giorni il termine “razze umane”  è tutt’altra cosa: ma che razza di…!?  quelli sono un’altra razza! …una razza maledetta! Diventa uno stigma, un giudizio a priori su quello che sei anche dal punto di vista cognitivo e intellettuale, magari basato solo sul colore della tua pelle. Questo per dire che continuando a usare il termine “ razze umane ” non solo facciamo un torto alle conoscenze scientifiche, ma  alimentiamo di fatto l’idea che le diseguaglianze etiche e morali tra i gruppi umani facciano parte integrante della diversità umana.  Insomma se il dito è la parola, la luna è quella certa idea che essa veicola. Ecco perché quello delle “ razze umane ” non è un problema solamente semantico.

 

  1. L’interpretazione della differenza biologica in termini di differenza sociale è qualcosa che ha attecchito solo per demagogia.

A mio modo di vedere, non c’entra solo la demagogia. La  domanda da cui partire per inquadrare il problema è: “cosa spinge tante persone a vedere un mondo diviso in “razze”? Provando ad alzare lo sguardo, le razze appaiono figlie di una visione del mondo che attrae per la sua semplicità. Sono, in de­finitiva, un prodotto di quello stesso modo di pensare per cui  “i napoletani hanno meno voglia di lavorare dei milanesi”, “i romani sono spac­coni” e “i genovesi tirchi”, tanto per rimanere nello stretto della nostra Italietta. Ragionare per (poche) categorie, mettere da parte le differenze al loro interno, privi­legiando la semplicità al rischio di perdere il senso profondo delle cose e degli uomini. Tanto più se ci trova nella categoria giusta. C’è quindi una sorta di “facilità cognitiva” che spinge molti verso le “ razze umane ”, rendendo meno attraenti i modi più complessi, ma più aderenti ai fatti scientifici,  di vedere la diversità, ad esempio quelli che tengo­no in conto il nostro elevatissimo mescolamento.  E su questo humus cognitivo che attecchisce e finisce per radicarsi “L’interpretazione della differenza biologica in termini di differenza sociale”. Lo stesso in cui proliferano e si alimentano a vicenda demagogie, ideologie disumane e fanatismi religiosi. Si potrebbe forse speculare che la capacità di semplificare e agire di conseguenza possa essere stato un vantaggio evolutivo in certi contesti, ma che diventi un punto di debolezza per società complesse e in continuo mutamento demografico, culturale e tecnologico. Ma, sia come sia, abbiamo strumenti e idee per provare a cambiare la situazione.

 

  1. Siamo consapevoli di quanto sia pericoloso far dipendere la dignità umana e i diritti individuali da fattori biologici? Se ancoriamo un valore morale a una prospettiva scientifica, che facciamo poi se quella prospettiva cambia?

Sottoscrivo senza riserve l’idea che il riconoscimento della piena dignità e i diritti individuali vadano estesi a tutti, indipendentemente da cosa ci dicono o ci diranno le nostre conoscenze biologiche sulla diversità. Questa è una considerazione che deve precedere ogni discussione su razze si o razze no, e trovo molto utile che Emiliano ce lo ricordi. Ma, seguendo il suo ragionamento, se questo punto diventa parte integrante del nostro ragionamento, allora ha ancora senso dibattere delle razze? Non sarebbe meglio chiudere il problema, una volta fatta nostra questa assunzione, per evitare guai peggiori? Anche se vedo delle ragioni in questa presa di posizione, noto che i rischi che essa comporta potrebbero essere assai maggiori di quelli che si vogliono evitare. Finiremmo, infatti,  per far passare come una concessione dettata dall’etica o dai sentimenti, quello che in realtà ci dice un corpo molto esteso e robusto di dati scientifici, accumulato da più di 40 anni a questa parte (Lewontin 1972) e corroborato dai più recenti dati genomici. Su questo si innestano due considerazioni.  Primo, l’etica e la percezione pubblica possono cambiare più facilmente di quanto non accada con i paradigmi scientifici, specialmente in un periodo come quello che stiamo vivendo. Potremmo quindi trovarci in futuro a non poter più invocare l’universalità della condizione umana avendo perso quella barriera, per quanto sottile,  ai tentativi di discriminazione che le conoscenze scientifiche ci possono offrire. Secondo, dovremmo ridurre il nostro ambito d’azione di studiosi a discussioni accademiche, venendo meno a quel contratto non scritto, ma assolutamente vitale, tra Scienza e Società, per il quale vanno esplorate ed attuate a livello sociale tutte le ricadute positive delle nuove conoscenze.  Un po’ come dire, gioca ma rimani nel tuo orticello.

 

  1. Negando le differenze si perde una ricchezza, e una opportunità.

Qua c’è evidentemente un equivoco: negare le razze per la nostra specie non vuol dire negare la diversità all’interno e tra i gruppi umani. Il fatto che si condivida molto di più di quanto  ci rende diversi è chiaramente incompatibile con l’esistenza di raggruppamenti omogenei e, al tempo stesso, chiaramente diversi tra loro, ovvero le razze. Se da questo si passa a un antirazzismo semplicistico che,  negando l`evidenza,  finisce per fornire delle nuove armi allo stesso razzismo, si va nella direzione che giustamente Emiliano stigmatizza. Ma in realtà, molti tra coloro che negano valore scientifico alle razze umane cercano modelli che possano meglio descrivere la struttura genetica della nostra specie, con il fine ultimo di  mettere a fuoco gli scenari evolutivi che hanno caratterizzato la storia dei diversi gruppi umani. Pur al di fuori di rigidi e irrealistici schematismi, la diversità rimane un elemento assolutamente  centrale, come effetto sia delle vicende storiche e demografiche che dei processi adattativi alle diverse condizioni ambientali.

 

  1. L’ associazione tra dignità umana e uguaglianza biologica prepara una trappola enorme: assume che bisogna rispettare solo quelli che sono sufficientemente uguali a te stesso, che fanno parte della tua famiglia, della tua tribù.

Ma “rispettare solo quelli che sono sufficientemente uguali a te stesso” è proprio l’elemento centrale delle ideologie razziste e dei fanatismi religiosi. E questa aberrazione  trova fondamento proprio nel modello razziale,  il quale usa diversità ed omogeneità  come criteri su cui basare la definizione di categorie umane discrete e immutabili. Al contrario, lo sviluppo naturale della  critica al concetto di razza è un’idea che pone al centro l’unità di tutti gli umani nella loro diversità, superando l’antinomia tra identità e diversità. Certo, abbiamo bisogno di compiere molta strada perché questo non venga percepito come una mera utopia.  I tempi in cui viviamo ci danno la sensazione di camminare su un tapis roulant che va in direzione opposta rispetto alle nostre convinzioni e aspettative. Ma proprio per questo bisogna intensificare i nostri sforzi per capire, discutere e comunicare la natura e il senso della diversità umana.