Scienziati e Brexit : le preoccupazioni dopo il referendum

Dopo la vittoria del leave al referendum sulla Brexit del 23 giugno scorso, gli scienziati britannici hanno reagito con sgomento e confusione.

Negli ultimi 5 anni l’UE ha accordato mediamente quasi un miliardo di sterline l’anno per la ricerca britannica e ha inviato nei laboratori d’oltremanica alcune delle menti più brillanti del mondo. Alcune di queste, dopo aver trascorso anni importanti della loro vita nel Regno Unito senza cambiare nazionalità, già pensano al loro Brexit e lasciare la Gran Bretagna.  (Viceversa, ci sono molti scienziati britannici che lavorano in altri Paesi che già hanno avviato le procedure per ottenere il passaporto del Paese che li ha accolti.).

Paul Boyle, il vice-rettore della Università di Leicester, ha definito il risultato “shocking“, e il 23 giugno “un giorno buio per la scienza nel Regno Unito”. All’improvviso il Regno Unito è diventato meno accogliente per i ricercatori internazionali e meno capace di attrarre i migliori talenti.  Il premio Nobel Venki Ramakrishnan, presidente della Royal Society, ha detto che il denaro dell’UE è stato un complemento essenziale per i fondi di ricerca del Regno Unito e che il governo deve ora garantire che il bilancio per la scienza non subisca un taglio.  A Ramakrishnan ha risposto il ministro della scienza Jo Johnson, il quale ha detto in maniera chiara che se i fondi europei dovessero venire a mancare non vi è alcuna garanzia che un governo post-Brexit sia disposto o sia in grado di supplire questa privazione con fondi governativi.

Il Brexit dunque rischia di assestare un duro colpo alla ricerca e alla comunità scientifica, ma anche all’intera economia britannica. La ricerca scientifica pubblica è una delle grandi industrie della Gran Bretagna: 8 miliardi di sterline di fatturato, oltre 100 mila ricercatori. Inoltre, la ricerca pubblica stimola e spinge le imprese private britanniche, che occupano altri 150 mila ricercatori e scienziati. La ricerca britannica occupa una posizione di leadership mondiale, seconda solo agli Stati Uniti per numero di articoli scientifici più citati nel mondo. Questa leadership è stata costruita su tre elementi chiave: eccellenza (e storia) della sua scienza; capacità di attrarre talenti; straordinaria attitudine degli scienziati britannici a costruire reti internazionali e consorzi per accedere ai fondi di ricerca dell’UE, sempre più difficili e concorrenziali. Il Regno Unito si basa molto sui ricercatori provenienti da Stati membri dell’UE. Un rapporto della Royal Society ha stimato che in Gran Bretagna oltre 31.000 ricercatori sono di altre nazioni UE.
Ora la ricerca è una delle aree della vita economica d’oltremanica che rischia di subire un duro colpo dall’uscita della Gran Bretagna dall’UE.

L’UE, con il programma Horizon 2020, ha stanziato 80 miliardi di Euro, per il periodo 2014-2020, per la ricerca scientifica. Fino al 23 giugno la Gran Bretagna era il Paese a cui erano stati assegnati più fondi di qualsiasi altro Paese membro. La Commissione europea ha già precisato che il Regno Unito rimane un membro dell’UE e che gode degli stessi diritti e privilegi del pre-Brexit per quanto riguarda la partecipazione ai programmi scientifici europei.  Anche secondo il ministro Johnson tutto rimane come prima. Il Regno Unito, tra l’altro, ha già corrisposto la propria quota di bilancio per il programma Horizon 2020.  E comunque l’uscita della Gran Bretagna dall’UE richiederà in ogni caso molto tempo.  Una volta che l’articolo 50 del trattato UE di Lisbona sarà attivato, cosa che secondo alcuni leader politici potrebbe avvenire entro la fine del 2017, partirà il processo di negoziazione, che si concluderà presumibilmente dopo due anni.

Le istituzioni di ricerca dunque potranno e dovranno continuare a cercare partner britannici.  Ma è evidente che non tutto sarà come prima. Ogni partner che si appresta a predisporre una proposta di ricerca ritiene rischioso includere un’istituzione britannica. Da quando nasce un’idea di progetto alla sua approvazione (con possibilità pari al 10-12 per cento) a Bruxelles possono trascorrere due anni.  Nessuno può prevedere quale potrà essere lo status del Regno Unito tra due anni. Quindi, perché rischiare?
Un sondaggio condotto da Mike Galsworthy rileva che oltre un quarto di ricercatori intervistati vede il rischio nel breve periodo di non avere la Gran Bretagna come partner dei vari progetti Horizon 2020 o almeno non averla come proponente e coordinatore del progetto. Il rettore dell’Università di Leeds ha registrato le prime prove di discriminazione nei confronti dei ricercatori. Forme di discriminazione sono state segnalate pure al ministro Johnson, anche se non dispone di un dossier di prove concrete.

Inoltre, i ricercatori britannici sono preoccupati per come le loro proposte saranno considerate dai valutatori di Bruxelles, i quali potrebbero essere dominati da qualche forma di pregiudizio inconscio.
La Gran Bretagna rischia dunque l’isolazionismo scientifico a seguito del Brexit e una ‘recessione’ del settore della ricerca.  Un settore che è prosperato sulla permeabilità delle idee e delle persone, che è fiorita in ambienti che hanno messo in comune intelligenza e creatività, che ha ridotto al minimo le barriere con scienziati stranieri e che ha aperto  al libero scambio e alla collaborazione. Il successo della ricerca britannica è stato possibile grazie  alla capacità di essere parte a pieno titolo dentro gli accordi scientifici dell’UE. Un successo che rischia ora di svanire con la decisione referendaria di uscirne.