Un miracolo napoletano

Un miracolo napoletano

In un articolo in commemorazione del fisico Ettore Pancini, pubblicato su Le Scienze nel novembre1991, il chimico Alfonso Maria Liquori scrive 1:
Ettore Pancini arrivò a Napoli all’inizio degli anni Sessanta. Erano gli anni del decollo della scienza italiana in molti settori, oltre quello della fisica. Un decollo che poco dopo doveva purtroppo subire una prima frenata con il processo Ippolito per il caso del CNEN e con il processo Marotta per il caso dell’Istituto Superiore di Sanità. Quegli anni furono caratterizzati da un eccezionale fermento scientifico a Napoli.

Bastano davvero poche righe al chimico napoletano per descrivere due “rinascimenti”, peraltro connessi: il rinascimento della scienza in Italia e il rinascimento della scienza a Napoli.
Il primo – il rinascimento scientifico italiano, che è iniziato mentre la Seconda Guerra mondiale sta giungendo a conclusione e che ha raggiunto l’apice nei primi anni Sessanta – è stato ampiamente descritto in letteratura.
La fisica vi ha avuto un ruolo guida. Proprio Ettore Pancini, con Oreste Piccioni e Marcello Conversi, realizzano,a Roma nel 1946,quel famoso esperimento che, secondo il Premio Nobel americano Luis Alvarez, inaugura la fisica delle particelle. Dopo alcuni mesi Giuseppe “Beppo” Occhialini prende parte con un ruolo di leader a una serie di esperimenti sui raggi cosmici che consentiranno di far vincere, il Nobel per la Fisica nel 1948 a Patrick Blackett e nel 1950 a Cecil Powell. Negli anni Cinquanta Edoardo Amaldi e Gilberto Bernardini fondano l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), un sistema di organizzazione del lavoro dei fisici che non ha eguali al mondo. Edoardo Amaldi dà, anche, un contributo decisivo sia alla fondazione a Ginevra del CERN (European Organization for Nuclear Research) – il più grande laboratorio di fisica al mondo e la prima istituzione di un’Europa finalmente unita – sia alla fondazione a Parigi dell’ESA (European Space Agency). Intanto, Giorgio Salvini è al lavoro a Frascati, vicino Roma, per mettere a punto l’“elettrosincrotrone”, l’acceleratore di particelle che ha inaugurato la “via italiana alle alte energie”.

Ma anche la chimica ha un ruolo nel rinascimento della scienza italiana dopo il disastro del fascismo e della Seconda guerra mondiale. Nel1963 Giulio Natta ottiene il PremioNobel insieme a Karl Ziegler «for their discoveries in the field of the chemistry and the technology of high polymers». In quel medesimo anno Natta raggiunge un altro dei suoi obiettivi: trasformare il “Centro di Chimica, Fisica e Tecnologie dei prodotti macromolecolari” del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) in un Istituto, organizzato in otto Sezioni, di cui due presso l’Istituto di Chimica dell’Università di Napoli.
All’Istituto Superiore di Sanità (ISS) di Roma, diretto da Domenico Marotta, nel campo della chimica della materia vivente, lavora in quei medesimi anni un biochimico e farmacologo tedesco, naturalizzato britannico, Ernst Boris Chain: premio Nobel in medicina, si è trasferito, dice, da Londra a Roma perché nella capitale italiana ha trovato un ambiente di ricerca migliore. Presso l’ISS lavora anche Daniel Bovet, un biochimico svizzero che per gli studi condotti a Roma viene premiato con il Nobel nel 1957.

Anche l’informatica e le scienze del computer hanno avuto un ruolo di primo piano nel “rinascimento” della scienza italiana del dopoguerra. A Pisa, la città natale di Galileo Galilei,presso  il centro diretto da Marcello Conversi viene realizzato il primo computer “tutto italiano” e a Ivrea, presso la Olivetti,l’ingegnere italo-cinese Mario Tchou realizza il primo computer a transistor, creando le premesse per la messa a punto, sempre a Ivrea, del primo “personal computer” al mondo (noto come la “perrottina”).
Hanno ovviamente un ruolo primario nel “rinascimento” della scienza italiana anche le scienze biologiche, con la fondazione a Napoli del Laboratorio Internazionale di Genetica e Biofisica da parte di Adriano Buzzati-Traverso e con la fondazione virtuale nel corso delle Ravello Conferences, grazie a un’idea di Alfonso Maria Liquori, della European Molecular Biology Organization (EMBO).

Infine, come non ricordare il ruolo avuto dall’ingegneria spaziale? Nel1964, infatti, Luigi Broglio riesce a mandare in orbitail satellite San Marco I. Così l’Italiadiventa la terza nazione al mondo, dopo l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, a inviare nello spazio un proprio satellite.
Non è semplice spiegare le cause di questo straordinario “rinascimento scientifico e tecnologico italiano” a pochi anni di distanza dalle devastazioni del fascismo, della Seconda guerra mondiale e dall’occupazione militare di due eserciti stranieri (quello tedesco e quello alleato) che hanno a lungo combattuto sul suolo della penisola. Certo è curioso che la fine di questo periodo ispirato ma breve sia intervenuta anche attraverso le vicende legali analoghe di due tra gli attori principali, entrambi provenienti dal Sud d’Italia: il geologo Felice Ippolito, di Napoli, e il chimico Domenico Marotta, di Palermo. Vicende che seguono la morte in un attentato di Enrico Mattei, il fondatore della “via italiana al petrolio”.

In realtà, la comunità scientifica italiana esce indebolita dalla Seconda guerra mondiale. La ricerca nelle università non sembra in grado di seguire il mainstream della scienza internazionale, anche a causa di antiche incrostazioni difficili da eliminare. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, fondato da Vito Volterra nel 1923, è ancora povero di mezzi e dominato dai professori universitari.
La visione largamente prevalente nel paese è ancora quella idealistica, secondo cui la scienza non è vera cultura. Ma, soprattutto, l’anima del sistema produttivo italiano non è l’innovazione tecnologica fondata sulla conoscenza scientifica. E tuttavia, fuori dalle università, si compie un autentico ancorché breve “miracolo”.
Non è facile neppure spiegare il “rinascimento napoletano” che, a una scala minore, non è meno ricco e promettente. Certamente, a Napoli come in Italia, uno dei segreti risiede negli uomini che assumono la posizione di leader e creano una rete con la loro intelligenza, la loro visione prospettica e con la loro capacità organizzativa.

 

In cerca dell’interdisciplinarità.

Da oltre cinque anni il nostro gruppo di studiosi (prof. A. Buzzati-Traverso, Prof. E. Caianiello, Prof. A. Liquori) si è reso conto che nella città di Napoli si poteva costituire il primo esempio italiano di una “area della ricerca” […] Fin d’allora risultava chiaro che un siffatto complesso avrebbe potuto comprendere non soltanto istituti già esistenti, ma avrebbe inevitabilmente catalizzato la localizzazione nell’area di altre attività scientifico-tecniche e di ricerca industriale, che avrebbero potuto trarre vantaggio dalla vicinanza di laboratori di ricerca avanzata2
In queste note inedite, scritte da Adriano Buzzati-Traverso in 1966, c’è la prova che si sono verificati tre eventi storici importanti: 1) nei primi anni ’60 del XX secolo opera a Napoli un gruppo di “scienziati innovatori” di diverse discipline tutti dotati di caratteri originali; 2) i componenti di questo gruppo di “innovatori” sono il biologo Adriano Buzzati-Traverso, il fisico Eduardo Caianiello, il chimico Alfonso Maria Liquori e altri; 3) il gruppo di “innovatori” ha un “progetto” comune: creare un’”area di ricerca” capace di trasformare Napoli in una città della conoscenza.

Il gruppo degli “innovatori” era più numeroso di quelli indicati nella nota di Buzzati-Traverso. E non ha solo in comune un “progetto” politico – un progetto di politica della ricerca che per la sua intrinseca portata era anche un progetto di politica socioeconomica – ma ha anche forti e originali fondamenta culturali: la ricerca dell’interdisciplinarità. Come rileva lo stesso Alfonso Maria Liquori:
Mi ero da poco trasferito all’Università di Napoli dove avevo trovato dei fisici di valore come Ettore Pancini, Eduardo Caianiello, Giulio Cortini e altri, convinti come me della necessità di impegnarsi a fondo anche in Italia per abbattere le barriere tra discipline tradizionali come la fisica, la matematica, la chimica, la biologia e lavorare con mentalità interdisciplinare in quei domini di confine che si stavano rivelando così ricchi di prospettive3.

Ma è meglio procedere con ordine. Nei primi anni ’60 a Napoli molti uomini di scienza sono fortemente proiettati verso l’innovazione. In altri termini, vi sono diverse avanguardie, tutte al top, che intendono lavorare alle frontiere della conoscenza.
C’è il gruppo dei cibernetici di diversa provenienza disciplinare che ruota intorno a Eduardo Caianiello e al suo Istituto di Fisica Teorica. Possiamo definire Eduardo Caianiello, senza paura di esagerare, uno dei primi cibernetici in Italia e in Europa. Con la capacità, tutt’altro che comune, di parlare da pari a pari con il fondatore della cibernetica, l’americano Norbert Wiener.
C’è, anche, il gruppo che ruota intorno a Ettore Pancini, nel “vecchio” (ma rinnovato) Istituto di Fisica di via Tari. Pancini è un fisico sperimentale di grande classe, noto per essere il co-fondatore della fisica delle particelle, la fisica che negli anni ’60 era già quella dominante nel mondo.

C’è il gruppo dei chimici, raccolto intorno ad Alfonso Maria Liquori e costituito da tre diversi sottogruppi: il primo presso l’Istituto Chimico con due sezioni, una diretta dallo stesso Alfonso Maria Liquori e l’altra da Paolo Corradini; il secondo presso il Centro nazionale di Chimica delle Macromolecole del CNR, diretto da Giulio Natta; il terzo è il gruppo di Rodolfo Alessandro Nicolaus presso l’Istituto di Chimica Organica. Liquori è uno degli italiani più attenti e più addentro all’evoluzione internazionale della chimica. Natta ha appena vinto il Premio Nobel per la Chimica ed è uno dei maggiori esperti al mondo di chimica dei polimeri. Certo, Napoli non è il centro principale della sua attività scientifica, ma non è una coincidenza se Natta è anche a Napoli. E non è una coincidenza se, su richiesta di Liquori, Paolo Corradini è venuto a Napoli. Corradini è infatti tra i principali collaboratori di Giulio Natta and ha avuto un ruolo decisive in quella straordinaria avventura che ha portato alla sintesi e alla caratterizzazione del polipropilene isotattico.

C’è, anche, il gruppo di giovani e valenti biologi che ruota intorno ad Adriano Buzzati-Traverso ed è collocato nelle differenti sezioni del LIGB (Laboratorio Internazionale di Genetica e Biofisica). Il LIGB è uno dei primi centri in Italia a dedicarsi allo sviluppo della biofisica. E Buzzati-Traverso è certamente un pioniere della biologia molecolare in Italia. Un altro gruppo attivo alle frontiere della biologia è quello della Stazione Zoologica di Anton Dohrn. Fondata nel XIX secolo, la Stazione Zoologica è uno dei poli mondiali della biologia marina.

A Napoli è anche attivo un gruppo di geofisici che ruota intorno all’Osservatorio Vesuviano: il primo osservatorio vulcanico della storia.
Ultimo, ma non ultimo, c’è un gruppo di matematici che, dopo la morte di Renato Caccioppoli, sta rianimando la “scuola napoletana”. I matematici, probabilmente, sono alquanto separati dal resto della comunità scientifica napoletana, ma sono studiosi di livello molto elevato.
Tutti questi gruppi partenopei operano in un momento che rappresenta un’eccezione in Italia, perché favorevole allo sviluppo della scienza e dell’innovazione tecnologica. Nel paese si va affermando infatti l’idea che la ricerca scientifica ha sia un valore culturale intrinseco sia un valore economico; che la scienza è la leva principale di quello sviluppo che Adam Smith aveva definito “la ricchezza delle nazioni”; l’Italia con la sua comunità scientifica può accettare la sfida dell’innovazione tecnologica.

Questa cultura nuova genera una serie di novità nell’organizzazione della ricerca pubblica tra la fine della Seconda Guerra mondiale e l’inizio degli anni Sessanta: il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) viene rafforzato; nasce l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN); la fisica italiana si integra in una dimensione europea, con la massiccia presenza di fisici italiani al CERN. Tutto questo accompagna lo sviluppo tecnologico dell’Italia: nell’Olivetti, con I suoi primi computer a transistor; nell’industria chimica (farmaceutica e dei polimeri); nell’aerospazio; nell’industria nucleare.
Eppure tutto viene meno improvvisamente (tra il 1962 e il 1964) a causa di una serie di eventi indipendenti ma stranamente condensate in un breve tempo: i processi a Felice Ippolito (marzo 1964) e Domenico Marotta (aprile 1964), l’attentato mortale a Enrico Mattei (ottobre 1962), la morte naturale di Adriano Olivetti (febbraio 1960), l’incidente stradale in cui perde la vita Mario Tchou (novembre 1961).

Ma, intanto, il vento dell’innovazione investe il paese. Ora è il momento di Napoli: «L’arco di tempo tra gli ultimi anni Cinquanta e i primi anni Sessanta fu un momento di sviluppo economico per la città – ricorda Enrico Pugliese – a causa di un grande flusso di investimenti pubblici e privati nell’industria»4. Per capacità d’innovazione, questo arco di tempo è comparabile con i primi anni del XX secolo, quando Francesco Saverio Nitti riuscì a portare la grande industria a Napoli.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, il sistema produttivo napoletano ha avuto un ruolo importante in quel “miracolo economico” che stava trasformando l’Italia da paese agricolo a paese industrial con una marcata vocazione per l’esportazione. Intanto l’economia napoletana cresce e produce innovazione come e probabilmente più che in alter città italiane.

È in questo contesto che un altro “miracolo” si realizza a Napoli, quello scientifico. Cosicché sono insieme il rinascimento economico e quello scientifico che rendono quelli tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta anni di «grande crescita civile e cultural della città di Napoli»4.
Sono anni in cui Napoli si propone (ed è percepita) come una città creative. Un polo di innovazione, appunto, anche scientifica. Edoardo Caianiello, per esempio, non realizza il suo progetto a Napoli perché è la “sua città”. Se avesse avuto migliori opportunità altrove, non avrebbe esitato a realizzare il suo programma visionario lontano dalla “sua città”. Caianiello decide di lavorare a Napoli perché, come scrive Settimo Termini: «a Napoli può realizzare il suo progetto meglio che altrove, malgrado I grandi problem che l’ambiente napoletano creava». Davvero a Napoli in questo periodo c’è un ambiente cultural favorevole alla sperimentazione di nuovi percorsi scientifici.

I medesimi fattori risultano favorevoli all’iniziativa di Alfonso Maria Liquori, Adriano Buzzati-Traverso e molte alter persone. Loro – Caianiello, Liquori, Buzzati-Traverso, Pancini – ci mettono da parte loro un genio fuori dal comune e una straordinaria forza di volontà. Ma non sono soli. Un ruolo primario nel “miracolo napoletano”, per esempio, lo gioca CNR, che in quel periodo è particolarmente aperto all’innovazione. Il CNR è un centro propulsore di novità almeno fino alla fine degli anni Sessanta.
Comunque, i due fenomeni – il rinascimento economico and il rinascimento scientifico di Napoli – che creano un ambiente adatto all’innovazione restano largamente autonomi e persino indipendenti. In pochi anni entrambi perderanno la loro spinta propulsive e volgeranno al declino. Probabilmente, la causa principale del loro comune destino è proprio aver proceduto in maniera separate.

Ma torniamo ai nostri “innovatori”: gli scienziati che, aprendo molte porte e finestre, stavano facendo entrare nuova aria in città. Loro sì che lavorano insieme, in maniera sinergica e percorrendo nuove strade. La ricerca dell’interdisciplinarità, per esempio, è il carattere di originalità più marcato nel pensiero e nell’azione degli scienziati napoletani: nessuno, in Italia, aveva mai pensato come essi pensavano.
Quando, all’inizio degli anni Cinquanta, Edoardo Amaldi e Gilberto Bernardini progettano e realizzano l’INFN, mettono insieme tutti i fisici italiani, teorici e sperimentali, delle alte energie. Ma, essi integrano in maniera affatto originale e complete un settore disciplinare omogeneo.
Quando, all’inizio degli anni Venti, Vito Volterra fonda il CNR promuove, al contrario, una ricerca pubblica estesa a molte discipline, ma non realizza (non può realizzare) la loro integrazione.

Allo stesso modo, nelle università italiane i fisici, i matematici, i chimici, i geologi, i biologi lavorano nel medesimo spazio materiale, ma sono separati dalle alte mura intangibili delle loro rispettiva discipline.
In nessun luogo in Italia e solo in pochi posti al mondo qualcuno pensa e agisce in maniera interdisciplinare come a Napoli. Al contrario, l tendenza è verso una sempre più marcata specializzazione e verso ricerche che richiedono un’alta competenza su pezzi del mondo naturale sempre più piccoli. Come scrive Alfonso Maria Liquori ormai lo scienziato più apprezzato è quello che «conosce quasi tutto di quasi nulla»1.
L’interdisciplinarità è materia difficile. Perché lo scienziato non può trascurare di “conoscere quasi tutto” nel suo campo. Lo scienziato non può abbandonare la sua specializzazione. Ma lo scienziato moderno, nella visione degli innovatori napoletani, deve tentare di integrare i differenti specialisti. L’interdisciplinarità può essere realizzata mediante il lavoro di gruppo tra persone che parlano e pensano in maniera diversa, ma che hanno il medesimo, comune obiettivo. L’autentica interdisciplinarità, ammesso che esista, non si limita a coinvolgere specialisti di differenti discipline, ma chiede alle persone di pensare in maniera diversa.

Eduardo Caianiello, Ettore Pancini, Giulio Cortini e io avevamo incoraggiato Adriano Buzzati Traverso […] a localizzare a Napoli un Laboratorio internazionale di genetica e biofisica dove confluirono biologi di valore come Enrico Calef, Paolo Amati, Edoardo Scarano e altri. Napoli diventò così sede di ricerche nei settori più avanzati della scienza, di convegni e scuole internazionali, di visite e soggiorni di studiosi di grande fama (da Norbert Wiener, fondatore della cibernetica, a Francis Crick), e soprattutto occasione di intense operazioni interdisciplinari. Nacque così l’idea di creare a Napoli un’”area di ricerca” per favorire lo sviluppo di tutti quei nuovi campi di confine tra chimica, fisica e biologia che nei paesi scientificamente più avanzati stanno dando i loro splendidi frutti sia sul piano della conoscenza che su quello delle applicazioni1.
Così a Napoli si forma un gruppo che non realizza, probabilmente, un’interdisciplinarità integrale, ma che, certamente, la cerca e in qualche caso la trova.

È in questo ambito che nascono nuove idee e nuovi progetti, inclusa l’idea e il progetto di un’ ”area di ricerca”.
Le sinergie tra gli “innovatori” si svolgono in maniera davvero estesa. Gli interessi scientifici sono i più vari. Giulio Cortini, Alfonso Maria Liquori ed Eduardo Caianiello, per esempio, promuovono tutti insieme la nascita dell’Istituto di Biofisica presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche. E sono ancora Caianiello e Liquori a sponsorizzare le attività dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Gerardo Marotta quando questo nasce, nel 1975, a Palazzo Serra di Cassano nel cuore di Napoli.

Alfonso Maria Liquori, ancora una volta, ricostruisce, con rapidi e impressionistici tratti, il clima, anche umano, in cui si muovono quei sognatori, pensando in maniera così diversa. In questo passo, per esempio, Liquori ricorda il suo rapporto culturale con Ettore Pancini 1:
[Ettore era] uno dei miei più validi e stimolanti interlocutori sui problemi scientifici di cui mi occupava intensamente quando ero a Napoli. [Capace com’era di toccare] i nessi reconditi tra scienza e filosofia, fra scienza ed etica, fra scienza e democrazia […]. Ciò che inoltre distingueva Ettore era il suo rifiuto totale di sentirsi membro di una qualsiasi corporazione per quanto valida e rispettabile. Non ho mai sentito Ettore dire “noi fisici” che […] è spesso l’inizio (un po’ fastidioso) dei discorsi, anche i più intelligenti, di molti dei nostri fisici […]. La verità è che con Ettore si poteva parlare di qualsiasi problema scientifico, fisico, chimico o biologico. Ettore aveva un grande entusiasmo per la biofisica. Un anno in cui aveva ottenuto dalla Facoltà l’incarico di insegnarla agli studenti di fisica (in modo da avere un’occasione per impararla, diceva) e mi chiese di svolgere una parte del corso, me lo trovavo sistematicamente alle mie lezioni e la sua richiesta di chiarimenti e approfondimenti, per me sempre preoccupante, dopo la lezione durava talvolta quanto la lezione stessa.

Questa non è ancora interdisciplinarità. Ma è certamente un esempio di ricerca dell’interdisciplinarità. Una ricerca che si combina – e non potrebbe essere diversamente – con una marcata internazionalità. Tutti i protagonisti del “miracolo napoletano” hanno una visione globale e sono immersi in una vasta rete di relazioni internazionali. Wiener e Crick sono la punta – e che punta! – di un iceberg formato da una quantità enorme di “top scientists” che frequentano Napoli. La città italiana somiglia a una delle due Cambridge.
Ma la vocazione internazionale di Liquori, Caianiello, Buzzati-Traverso, Monroy e molti altri non si esaurisce nel far venire a Napoli i più grande scienziati del mondo. Ma diventa un catalizzatore di un’autentica integrazione internazionale. A Napoli nascono idee e progetti la cui influenza si sente a scala almeno continentale. Per esempio l’idea di fare in biologia ciò che i fisici hanno fatto nel campo delle alte energie: creare un grande centro europeo di ricerca. Ricorda, ancora una volta, Alfonso Maria Liquori 3:
[Con Alberto Monroy] avevamo già attivamente collaborato insieme ad Adriano Buzzati-Traverso, a un livello molto diverso, quando a Ginevra, come esperti scientifici (e improvvisati esperti giuridici), avevamo contribuito con molte difficoltà a incomprensioni a creare l’EMBO (European Molecular Biology Organization), una struttura europea analoga al CERN che oggi dispone di un grande laboratorio (EMBL) in Germania.

Così, è a Napoli – tra Ravello and Napoli, per la verità, come scrive il chimico Lelio Mazzarella – che nascono la prima idea e il primo nucleo di condensazione di un’organizzazione europea di biologia simile a quello che è il CERN per la fisica. E, in effetti, la European Molecular Biology Organization (EMBO) è una costola del CERN. Ma una costola progettata e fatta emergere, tra gli altri, dagli “innovatori napoletani”.
Non è esattamente una coincidenza. I protagonisti del “miracolo napoletano” pensano europeo. Da Napoli spalancano una finestra sul mondo. Essi pensano che la ricerca italiana e lo stesso sviluppo del paese devono essere devono essere fondati, come scrive Eduardo Caianiello: «nel più grande sistema Europa, or meglio Pianeta»6.
E, in effetti, è nell’ambito di questa visione internazionale che nasce in Pancini, Caianiello, Buzzati-Traverso and Liquori l’idea di creare un’”area di ricerca”: per fare di Napoli una città della conoscenza e della tecnologia più avanzata.

Poiché è evidente che [a Napoli] possiamo avere spazio solo nelle aree in cui il valore aggiunto dell’ingegnosità e dell’intelligenza di gran lunga prevale sui costi grezzi: nelle scienze e tecnologie cioè di quel futuro prossimo che già in tanti laboratori è cominciato, e potrebbe anche da noi immensamente fiorire 6.
Questa è davvero un’idea semplice. Napoli, come l’Italia, non dispone di materie prime. L’unica ricchezza è la sua cultura. I suoi cervelli. A Napoli, come nel resto d’Italia, il modello di sviluppo deve essere fondato sulla ricerca scientifica, come «nei paesi che vogliono trovare la propria strada […]. Non c’è un’altra strada», scrive Eduardo Caianiello 6.
Per entrare nel novero dei paesi che vogliono trovare la propria strada, non c’è altro modo: devi dotarti di un’industria hi-tech. Un’industria specializzata nella produzione di beni con un altro valore di conoscenza aggiunto, soprattutto di conoscenza scientifica. Ma hai bisogno, in via preliminare, di una forte ricerca di base. La scienza fondamentale è, infatti, la fonte principale di nuova conoscenza, la palestra del pensiero innovativo. No, non puoi in nessun modo porre in opposizione lo sviluppo tecnologico e la scienza di base. Li devi integrare.

Nella politica di incentivazione tecnologica [dobbiamo riconoscere] il valore della “ricerca pura” in tutti i campi, e [smetterla] con l’idiozia di non comprendere che l’ “applicazione” segue, non precede, la ricerca (al massimo può accompagnarla): come le autostrade scendono dall’automobile che scende dal motore a scoppio che scende dalla termodinamica…6
Ma per primeggiare nell’ambito della ricerca di base devi competere con il meglio della scienza mondiale. E per competere con il meglio della scienza planetaria devi avere una “massa critica”: centri, istituti, laboratori gli uni accanto agli altri e, possibilmente, in stretta interazione. Hai bisogno di un’area (un luogo fisico) dove poter realizzare ricerca multidisciplinare che tenda alla ricerca interdisciplinare. Di qui il progetto degli “innovatori napoletani” di costruire in città un’“area di ricerca” integrata nel sistema scientifico globale e, quindi, capace di competere con le città meglio attrezzate al mondo come parte e nucleo di condensazione di un più generale progetto di stabile sviluppo sociale ed economico per Napoli e per tutto il Sud d’Italia.

Questa è, scrive Caianiello, «la nostra chance, anzi, aggiungo, l’ultima chance»6.
In realtà gli “innovatori napoletani” pensano a un sistema nazionale –  una  rete – di “aree della ricerca”, dei veri e propri parchi scientifici e tecnologici per fare “massa critica” e dove localizzare sia laboratori di scienza di base dove fare, se possibile, ricerca interdisciplinare sia industrie innovative.
Napoli può essere un punto di partenza. Liquori, Caianiello e Buzzati-Traverso pensano a una grande “area di ricerca” da realizzare alla Mostra d’Oltremare in una zona della città dove sono già presenti l’Istituto di Fisica Teorica e il LIGB.
I tre “innovatori” immaginano una grande area dove fare ricerca di base, essenzialmente pubblica, che diventi il nucleo intorno a cui aggregare una serie di centri di sviluppo tecnologico, pubblici e privati. Così, spinti dai precedenti successi, iniziano a chiedere aiuto sia a industrie private sia a istituzioni pubbliche.

 

 Il miracolo scippato.

Ma, in maniera del tutto imprevista, le porte a cui bussano gli “innovatori” tendono a chiudersi, invece che ad aprirsi. È come se a Napoli, scrive Caianiello, l’antimateria vincesse sempre sulla materia.
Tutti sanno che meraviglioso successo, quali grandi conseguenze per la cultura, oltre che per aspetti pratici che riguardano la vita economica della città, abbia avuto il Centro di Trieste, l’Istituto di Ricerche Scientifiche e Tecnologiche. Bene, lì le cose si sono svolte all’incirca in questa maniera. C’è stata una concordi di intenti tra autorità centrali e autorità locali e non appena si è presa questa iniziativa, la proposta è stata immediatamente accolta, favorita e abbondantemente finanziata. Bene, diciamo che questa sia, come in fisica, materia,; parliamo, adesso, dell’anti-materia, che sarebbe Napoli. Non appena si propone una qualche iniziativa, ecco che per la prima volta l’uomo politico napoletano si mette a lavorare e fa gli straordinari gratis, lavora la notte, per impedirti di realizzare quello che tu avresti voluto6.

La verità è che, alla fine degli anni Sessanta, a Napoli torna a trionfare un blocco sociale che, come sostengono gli analisti del tempo, ruota intorno alla borghesia parassitaria. La classe media descritta da Francesco Rosi in Mani sulla città. La classe che, scrive Caianiello, ama “produrre rottami di ferro” con industrie che richiedono considerevoli investimenti (e rendono possibile grandi speculazioni) ma portano poco valore aggiunto.
Questa classe media trova espressione politica nella destra più reazionaria e nella baronia accademica più conservatrice. In breve, un muro invalicabile viene eretto in città per impedire il salto di qualità e trasformare il “miracolo” in una condizione stabile. L’ “area di ricerca”, l’idea proposta da Liquori, Caianiello e Buzzati-Traverso viene fatta brutalmente fallire.

Il paradosso è che a dare un contributo al fallimento di quell’idea, in maniera forse meno incisiva ma più amara per gli uomini (gli “innovatori”) che hanno un orientamento politico progressista, è l’opposizione degli studenti e dei giovani ricercatori di sinistra che danno vita al ’68 napoletano. Scrive Alfonso Maria Liquori:
Purtroppo, la convergenza fra due opposizioni, l’una scontata, guidata dai più retrivi centri di potere del mondo accademico e politico della Napoli di quegli anni, e l’altra completamente inaspettata, proveniente dalla contestazione rozza e irrazionale, fecero fallire il progetto, almeno nei termini in cui l’avevamo concepito 1.
L’idea dell’“area di ricerca” viene schiacciata in quella strana disputa. Gli “innovatori” protagonisti del “miracolo napoletano” decidono (forse troppo presto) di abbandonare ogni tentativo e di lasciare Napoli.

In pochi mesi: Alfonso Maria Liquori si trasferisce a Roma ed Eduardo Caianiello a  Salerno. Poco dopo Adriano Buzzati-Traverso se ne va a Parigi.
Una grande opportunità è andata perduta.
In città resta soltanto un partigiano venuto dal Nord. «Ettore Pancini restò a Napoli – scrive ancora Alfonso Maria Liquori – e questo fatto mi ha dato, come napoletano, un senso di conforto e di rammarico allo stesso tempo»1.

 

 Nota

Questo testo è una libera traduzione del saggio A Neapolitan Miracle pubblicato di recente sulla rivista scientifica Biophysical Chemistry7. Ma questi fatti, in maniera più dettagliata, sono raccontati in un libro che chi scrive ha pubblicato con Guido Barone e Lelio Mazzarella: Alfonso Maria Liquori. Il risveglio scientifico dei primi anni ’60 a Napoli8.

 

 Bibliografia

1 Alfonso Maria Liquori, Ettore Pancini e la scienza a Napoli negli anni Sessanta, Le Scienze, Roma, novembre 1991.
2Adriano Buzzati-Traverso, documento senza titolo in 3 pagine, datato 1966, conservato presso l’Archivio Buzzati-Traverso (busta 49).
3 Alfonso Maria Liquori, L’avventura scientifica, Sperling & Kupfer, 1992.
Enrico Pugliese, Ricerca scientifica e contesto territoriale, in: Pietro Greco e Settimo Termini (curato da): Memoria e progetto, Edizioni GEM, 2010.
5 Settimo Termini, Cibernetica, informatica, Mezzogiorno, in:Comitato Nazionale La Scienza nel Mezzogiorno dall’Unità d’Italia a oggi, La Scienza nel Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia, Tomo II, pagg. 353- 420, Rubbettino.
6 Eduardo Caianiello, Divagazioni sulla scienza e sul mondo, Liguori, 1997.
7 Pietro Greco, A Neapolitan Miracle, Biophysical Chemistry 208 (2016) 92–97.
8 Pietro Greco, Lelio Mazzarella e Guido Barone, Alfonso Maria Liquori. Il risveglio scientifico dei primi anni ’60 a Napoli, Bibliopolis, 2013.