La scuola di ingegneria napoletana nello sviluppo scientifico del Mezzogiorno

Tra le scuole di ingegneria nel Mezzogiorno di più antica tradizione la scuola napoletana è quella che, anche per ragioni storiche, ha avuto il ruolo più rilevante nello sviluppo scientifico meridionale.
Cercherò di tracciarne un profilo seguendo il filo rosso costituito dai personaggi più significativi delle scienze ingegneristiche, così come sono emersi negli ultimi due secoli, senza naturalmente avere la pretesa dell’esaustività e con la consapevolezza del rischio che si corre ogniqualvolta si è costretti a fare una selezione in questo campo.

Devo anche premettere che l’identificazione degli scienziati più significativi nel campo dell’ingegneria è compito non banale, perché si ha a che fare con un settore in cui il discrimine tra la ricerca e l’attività progettuale richiesta dalla professione non è sempre chiaro e, soprattutto quando si ha a che fare con settori innovativi, non è sempre possibile. I requisiti ingegneristici e tecnologici di un’opera possono implicare una significativa attività di ricerca a monte e, viceversa, studi di base, nati dalla semplice curiosità dei ricercatori,  possono far intravedere soluzioni progettuali impensabili prima.

Anche se questa fertilizzazione incrociata è tipica di molte attività di ricerca, il campo dell’ingegneria è, forse, quello in cui questo fenomeno si manifesta in modo più vistoso.
Ho fatto questa premessa perché, soprattutto nella fase iniziale delle scuole di ingegneria, l’intreccio tra studi, sperimentazioni ed attività progettuali è più stretto e la realizzazione di un’opera (il primo ponte sospeso, la prima ferrovia, il primo arsenale, ecc.) costituisce essa stessa il risultato dell’attività di ricerca.

 

Le origini

Per capire l’importanza della Scuola di Ingegneria Napoletana nello sviluppo della scienza a Napoli, fra Ottocento e Novecento, occorre andare indietro di qualche secolo nella storia del Regno di Napoli. Infatti, una delle più antiche norme per disciplinare le professioni di Ingegnere ed Architetto, nel regno di Napoli, si ritrova in un decreto del 1564 emesso dal viceré Don Parafan di Ribera. In realtà, in quel periodo, esisteva una certa confusione nell’uso dei titoli di Architetto ed Ingegnere talché molte volte si equivalevano o si scambiavano. Tuttavia, sotto la spinta di esigenze pratiche, nella seconda metà del secolo XVI, si consolidò una sempre maggiore differenziazione che portò a configurare l’ingegnere come un tecnico fornito di solide conoscenze di matematica e scienze affini applicate. Egli, soprattutto per incarico del potere pubblico, si occupava della costruzione e manutenzione di edifici ed opere pubbliche (strade, porti, canali, ecc.).

Poiché, in quell’epoca, la maggior parte del patrimonio pubblico era quello del Re, nacque la figura del Regio Ingegnere.
Ai Regi Ingegneri, nel secolo XVI ed in quello successivo, vennero affidate le opere più diverse anche se, con le esigenze poste dalle nuove tecniche belliche, la distinzione tra l’attività civile e l’attività militare si fece sempre più precisa e l’ingegneria militare acquisì sempre maggiore importanza.
L’ammissione al Collegio dei Regi Ingegneri venne decisa direttamente dagli amministratori della città fino al 1757, quando furono introdotti degli esami per valutare le competenze dei candidati nel campo della matematica e delle scienze civili e meccaniche.
E’ bene precisare che, in questo periodo, la formazione degli ingegneri avveniva per tre strade diverse a seconda delle attività a cui erano destinati. C’erano ingegneri che provenivano dagli studi universitari di Scienze Matematiche, altri che provenivano dall’Accademia di Belle Arti ed altri ancora dalle scuole militari.

Questa professione trovò un’organica sistemazione solo nel decennio di occupazione del Regno di Napoli da parte dei francesi. Fù infatti Gioacchino Murat ad istituire nel 1808 il Corpo Reale degli ingegneri di Ponti e Strade e, nel 1811, la Scuola di Applicazione per la formazione degli ingegneri addetti a tale corpo.
Tutto questo avvenne in analogia all’esperienza dell’Ecole des Ponts et Chaussées francese.
Il periodo di vita della Scuola di Applicazione, dal 1812 al 1814, fu dominato dalla figura di Pietro Colletta. Egli dette alla Scuola una solida organizzazione e ne riorganizzò gli insegnamenti secondo una logica precisa per le conoscenze dell’epoca, in modo da fornire agli ingegneri tutte le conoscenze di base necessarie per la loro attività.
Alla fine dell’occupazione francese tutto l’ordinamento statale dei lavori pubblici venne riordinato ed il Corpo degli Ingegneri di Ponti e Strade e la sua Scuola di Applicazione furono aboliti.

Ben presto, però, ci si accorse dell’errore e della necessità di avere un centro di formazione avanzata e, nel 1818, la Scuola di Applicazione fu ricostituita.
Sotto la direzione di Afan de Rivera la scuola riacquistò, gradualmente, l’antico prestigio e da essa uscirono ingegneri che avrebbero poi fatto la storia dell’ingegneria napoletana dopo l’unificazione dell’Italia. Per capire l’importanza assunta da questa scuola basti ricordare che, negli atti dell’Accademia Pontaniana del 1915, si fa risalire alla Scuola napoletana di Ponti e Strade l’inizio del vero movimento scientifico napoletano. Ora, probabilmente, ciò non può dirsi in assoluto, ma è certo che essa costituì un crogiuolo di competenze diversificate di altissimo livello, che poi si sono tramandate nei secoli successivi.

 

La Reale Scuola di Applicazione per gli Ingegneri

Un personaggio tra i più significativi della vecchia scuola napoletana è stato certamente Luigi Giura, direttore del Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade e della Scuola di Applicazione, quando nel 1860 fu nominato Ministro dei Lavori Pubblici da Garibaldi, carica che egli ricoprì per poco più di un anno, per ritornare poi al suo ordinario lavoro.
Egli ideò il primo ponte sospeso a catene di ferro, realizzato sul fiume Garigliano. Dopo qualche anno un ponte dello stesso tipo fu da lui costruito sul fiume Calore. Si trattava, per l’epoca, di imprese, a dir poco, avveniristiche.

Nel mentre procedeva l’unificazione del nostro Paese, la Scuola continuava la sua attività subendo nel tempo varie modifiche. Nel 1861 il nome cambiò in Scuola d’Applicazione degli Ingegneri del Genio Civile e, successivamente, dopo le riforme dell’istruzione superiore (De Sanctis nel 1860 e Imbriani nel 1861), la Scuola passò, nel 1863, alle dipendenze del ministero dell’Istruzione Pubblica. Con questo passaggio la Scuola cambiò ancora denominazione e divenne Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. La scuola venne staccata dal Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade a cui aveva fornito le migliori energie intellettuali.
Inoltre, se è vero che la scuola rimaneva autonoma, essa, dopo la riforma della Facoltà di Matematica varata da de Sanctis, veniva ad essere un duplicato di questa ed, essendo estranea all’università, era certamente più vulnerabile.

I pericoli di questo nuovo status furono però evitati per merito del suo direttore il prof. Fortunato Padula che fu, oltre che abile organizzatore, un validissimo scienziato che, fra l’altro, investigò il comportamento dei solidi di ugual resistenza completando la teoria sviluppata dal famoso scienziato francese Navier.
La nuova scuola si era intanto aperta a nuovi filoni come le strade ferrate e le macchine a vapore e richiedeva, come prerequisiti, la laurea in matematica.
Si consolidò così la tradizione che vedeva l’ingegnere come un tecnico dotato di solide basi metodologiche e, quindi, di strumenti per affrontare problemi di complessità crescente.
Alla morte del prof. Padula, avvenuta nel 1881, gli succedette nella carica il prof. Ambrogio Mendìa, eccellente didatta e valente professionista a cui si devono molte opere tra cui il progetto del tracciato della ferrovia Napoli-Benevento-Foggia.

 

La Reale Scuola Superiore Politecnica

Nel periodo 1887 ÷ 1890 la Scuola fu retta dal prof. Achille Sannia, in qualità di reale commissario. Una sua prima realizzazione fu la creazione di una Scuola di Elettrotecnica con relativo  laboratorio, che fu affidato al prof. Guido Grassi. Se si ricorda che le prime applicazioni di elettrotecnica, in campo industriale ed in forma quasi sperimentale, si ebbero soltanto tra il 1870 ed il 1890 con l’anello di Pacinotti, le prime dinamo, il motore Ferraris, si capisce come questa Scuola mise Napoli all’avanguardia (insieme a Torino, dove operava il mitico ing. Galileo Ferraris) in un settore destinato ad affermarsi come uno dei più innovativi in quell’epoca.
Sotto la spinta del prof. Sannia si sviluppò anche l’ingegneria idraulica che egli affidò al prof. Udalrigo Masoni.
In questo periodo il ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli dette vita ad un consorzio con tutte le province del Regno per il rinascimento dell’Università di Napoli. In questo contesto la Scuola fu riconosciuta come centro di eccellenza che aveva consentito di realizzare nelle province napoletane le più importanti novità nel campo dell’ingegneria (la prima strada ferrata, la prima galleria, il primo arsenale, i primi lavori di bonifica e così via). Questo riconoscimento portò come sbocco naturale a dare alla Scuola l’assetto definitivo di facoltà universitaria.

Intanto andava emergendo la necessità di aggiornare la Scuola stessa con l’introduzione di una nuova sezione di ingegneria industriale, cosa che avvenne, nel 1901, attraverso una convenzione fra Stato, Provincia e Comune. Tutti contribuirono finanziariamente a questa nuova iniziativa.
Nel 1902 veniva istituita una Reale Commissione per l’incremento industriale di Napoli che diede un forte impulso alla neonata sezione industriale e, sulla scia di analoghe esperienze italiane (Torino e Milano) e straniere (Zurigo, Berlino, MIT), la Scuola d’Applicazione degli ingegneri, nel 1904, fu trasformata in Scuola Superiore Politecnica.

Allo sviluppo industriale di Napoli, in questo periodo, dette un contributo significativo anche un personaggio al di fuori del mondo accademico, l’ing. Nicola Romeo che fondò varie industrie meccaniche. Successivamente egli si trasferì a Milano e, nel 1918, fondò l’Alfa Romeo.
Nel 1906, presso la Scuola Politecnica, fu istituita anche la sezione navale con facoltà di conferire la laurea in ingegneria navale e meccanica.
Nel 1909 il prof. Udalrigo Masoni, già citato prima, divenne direttore della Scuola e la guidò per circa venti anni. Di cultura matematica, come quasi tutti i grandi ingegneri dell’epoca, il prof. Masoni dette contributi originali nel campo della meccanica applicata alle costruzioni. Particolarmente significativi furono i lavori relativi alle sollecitazioni meccaniche nei sistemi elastici articolari.

La Scuola Politecnica subì negli anni vari adeguamenti normativi finché, nel 1925, cambiò ancora nome divenendo Reale Scuola d’Ingegneria di Napoli.
Nel 1928 al prof. Masoni subentrava nella Scuola, come direttore, il prof. Giuseppe Campanella. Studioso di vasta cultura, il prof. Campanella aveva introdotto, tra i primi in Italia, un corso di tecnica delle costruzioni in cemento armato che fecero della Scuola di Napoli un punto di riferimento molto avanzato. Al prof. Campanella si deve, nel 1910-11, il primo vero trattato italiano (in due volumi) di Costruzioni in cemento armato, che fu per molti anni l’opera più consultata su tale argomento.

 

La Facoltà d’Ingegneria

Il 1935 segna per la Scuola la fine della sua autonomia. Infatti, con la legge del 13 giugno 1935, tutti i regi istituti e le scuole furono aggregate alle regie università, con l’eccezione di quelle di Milano e Torino che furono denominate Politecnici, nome che conservano ancora oggi.
Nacque così la Facoltà di Ingegneria di Napoli con una durata del corso di studi di cinque anni, articolato in un biennio propedeutico ed un triennio di studi d’applicazione, a cui si poteva accedere solo con il conseguimento del diploma di maturità classica o di maturità scientifica.
In questa facoltà operò fino al 1939 un personaggio tra i più significativi, a livello nazionale, delle scienze ingegneristiche, Giulio Krall. Nato a Trieste, insegnò a Napoli per soli sette anni, lasciando tuttavia una traccia indelebile. Allievo di Tullio Levi Civita, egli dette contributi determinanti nel campo della meccanica analitica e celeste, della stabilità elastica, dinamica e aerodinamica e delle strutture sottili.

Intanto cominciavano a sentirsi, anche a Napoli, gli effetti dell’attività del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), istituito a Roma nel 1923. Il CNR affidò a una commissione, in collaborazione con i Laboratori della Scuola d’Ingegneria di Napoli, lo studio sui fenomeni di corrosione dovuti a correnti vaganti, problema questo cruciale per tutti quei servizi pubblici che avevano condutture metalliche immerse nel sottosuolo.
Nel 1939, inoltre, il CNR istituì, a Napoli, l’Istituto Nazionale dei Motori, affidandone la direzione al prof. Pericle Ferretti della Facoltà d’Ingegneria. Gli studi di Ferretti presso questo istituto erano coperti da segreto militare e solo dopo la guerra si ebbe notizia delle sue invenzioni sfruttate da altre nazioni.
Così accadde, ad esempio, che il dispositivo chiamato dai tedeschi “Schnorchel”, non preso in considerazione dal governo italiano, venne utilizzato dai tedeschi nei loro sottomarini per attingere aria atmosferica e scaricare i prodotti di combustione dei motori.

Si trattava di un apparecchio originale e rivoluzionario che risultò di grandissima utilità durante la guerra.
Durante questo periodo la sede della Facoltà d’Ingegneria fu bombardata dai tedeschi e poi occupata dagli alleati e quando, nel 1943, fu eletto preside il prof. Guido Nebbia egli si adoperò perché l’attività didattica non avesse a soffrire.
Il prof. Nebbia era noto per gli studi nel settore idraulico e, in particolare, per interessanti schemi di fluidodinamica teorica e sperimentale.
Alla sua morte gli succedette il prof. Luigi D’Amelio, grande esperto di macchine a vapore. Nell’Istituto di Macchine da lui diretto fu costruito un impianto a turbina da 10 kw a cloruro di etile col quale furono possibili esperienze fino ad allora mai tentate.
Intanto, nel mentre si cercava faticosamente di emergere dal buio del periodo bellico e di riallacciare i rapporti internazionali, si faceva strada l’idea di costruire una nuova sede della facoltà, idea questa a cui lavorò intensamente il prof. Adriano Galli che morì pochi giorni dopo la cerimonia della posa della prima pietra, avvenuta nel 1956.

La sede fu completata, sotto la presidenza del prof. Guido Tocchetti, nel corso del decennio successivo e fu inaugurata il 14 marzo del 1965.
Durante quegli anni, e poi successivamente fino a oggi, la Facoltà di Ingegneria, forte delle radici della Scuola da cui era nata, ha ripreso il suo ruolo di riconosciuto di centro internazionale del sapere ingegneristico. Molte sono le personalità di rilievo che bisognerebbe menzionare relativamente a questo periodo. Alcuni sono scomparsi e molti altri sono tuttora viventi anche se hanno lasciato l’università per limiti di età.
Senza voler far torto a nessuno desidero menzionare, anche per una personale affinità culturale, il prof. Umberto Nobile ed il prof. Luigi Napolitano.

Il prof. Nobile è stato il precursore della Scuola di Ingegneria Aeronautica di Napoli e certamente un geniale ingegnere, noto a tutti soprattutto per la vicenda dell’esplorazione del Polo Nord con il dirigibile Italia.
Con l’uscita di scena di Nobile per limiti di età, emerse con forza la figura del prof. Napolitano, allievo del prof. Nobile. Professore di aerodinamica, egli rafforzò la posizione della Scuola Aeronautica napoletana, aprendola ai nuovi scenari derivanti dall’esplorazione dello spazio. Fondamentali sono, a tutt’oggi, i suoi contributi allo studio della microgravità a cui ha lavorato fino alla sua immatura scomparsa avvenuta, sul campo, durante un soggiorno di studio negli Stati Uniti.

 

 

Conclusioni

A conclusione di questa sintetica carrellata desidero scusarmi per le lacune della mia ricostruzione.
Ci sono certamente altre personalità scientifiche che non ho citato e che meriterebbero un posto di rilievo nella storia della scuola di ingegneria napoletana.
Il mio auspicio è che altri abbiano la voglia di approfondire questa storia e colmare queste lacune.