Il “Dio non voglia” di Roberto Saviano

Informazione e comunicazione

Roberto Saviano è uno scrittore bravo e coraggioso. Ha molti meriti. Fra gli altri quello di avere rispolverato un nome, “Gomorra”, che quelli che lo conoscevano lo associavano a Sodoma e lo facevano risalire solo al Vecchio Testamento.

È bravo, ma non necessariamente onniscente. Di conseguenza dovrebbe prestare maggiore attenzione quando parla e scrive di cose che non sono proprio di sua riconosciuta competenza.
È il caso dell’articolo nella sua settimanale rubrica su “l’espresso” (“L’antitaliano”) che, con riferimento al terremoto che ha devastato il centro Italia,  nel numero del 4 settembre 2016 ha per titolo  Dio non voglia che accada a Napoli.
Niente di male. È un titolo ad effetto e i titoli generalmente non li fa l’autore dell’articolo. Ma le cose che vi sono scritte dentro sì. E su queste mi pare importante e utile una riflessione sulle preoccupazioni che possono alimentare. La ritengo utile soprattutto perché riguarda il modo di fare informazione. Un modo che a me che considero l’informazione e la comunicazione uno strumento essenziale di difesa in presenza di disastri, sembra che, nel caso in questione, sia privo della precisa conoscenza dei fatti e della correttezza nella loro comunicazione.

Mi spiego. Saviano scrive: “A Napoli il 44 per cento degli edifici (adibiti ad abitazione e in qualche modo aperti al pubblico) è considerato a rischio, a rischio per tecniche di costruzione, per materiali utilizzati e per manutenzione mai avvenuta” e continua scrivendo che “questa è la storia di una città che da un terremoto, oggi, sarebbe annientata, rasa al suolo”.
L’affermazione è abbastanza pesante e tale da destare paura e procurare allarme in chi la legge. Per dare maggiore attendibilità a queste affermazioni  sarebbe stato certamente utile citare la fonte dalla quale è stato ricavato quel 44 per cento e, soprattutto, la fonte che ipotizza la distruzione totale della città in caso di terremoto.

Di più quell’ “oggi” al quale si riferisce Saviano è, per così dire, un po’ fuori tempo. Perché se la città non è stata rasa al suolo il 23 novembre 1980 oggi ancor meno di allora corre questo rischio  dal momento che i 36 anni che ci separano da quella maledetta scossa non sono passati del tutto invano.

Ma bisogna capirsi. Io che, come tanti altri, ho vissuto quella tremenda scossa, dopo quella del 1962, e da umanista come Saviano mi sono informato sul rischio sismico che interessa Napoli, ho appreso qualche cosa di utile. Cioè che Napoli non è sorgente sismica, ma che riceve l’onda partita da epicentri che si trovano nell’Irpinia, nel Beneventano, nell’Alto Casertano e Salernitano. Il che significa che gli effetti arrivano in città attutiti rispetto al punto di partenza. E questo consente anche il ricorso a quell’importante strumento di riduzione del rischio che è l’early warning (allerta preventivo) per la realizzazione del quale mi risulta che la Campania sia all’avanguardia in Italia.

 

Ci sono anche i vulcani

Ma non finisce qui. Perché giustamente Saviano ricorda che c’è anche il Vesuvio a provocare preoccupazione. E scrive: “Marco Pannella è stato tra i pochi a paventare il pericolo di eruzione del Vesuvio e soprattutto a denunciare la totale mancanza di informazione e di un piano di evacuazione”. Io obietterei che da tempo siamo molte centinaia a “paventare” quel rischio e aggiungo che dal 1995 esiste un piano di evacuazione realizzato dalla Protezione Civile e successivamente modificato ampliando l’area ritenuta a maggiore pericolosità. Un’area nella quale sono inseriti anche due quartieri napoletani ad est della città.

Non me ne vorrà Saviano se faccio queste precisazioni e se, a supporto del ”Dio non voglia che accada a Napoli”, aggiungo i Campi Flegrei la cui pericolosità vulcanica dovrebbe allarmare Napoli più ancora del Vesuvio.
Col che non intendo dire che con riguardo specifico a Napoli e al suo milione di abitanti circa vi siano rose e fiori. No. Ma non vi sono solo sterpaglie.
Se l’obiettivo, un obiettivo che ci accomuna tutti, è quello di auspicare una qualità della vita che non sia compromessa anche dalla scarsa sicurezza del territorio in cui si vive, occorre intervenire senza perdere tempo. Dicendo in modo scientificamente corretto e chiaramente comunicato come stanno le cose e come possono essere modificate nel loro aspetto negativo e preoccupante.  Significa che i cittadini devono essere indotti ad abbandonare il fatalismo al quale giustamente fa riferimento anche Saviano. E devono farlo operando perché gli amministratori locali e nazionali della cosa pubblica territorio intervengano con tutti gli strumenti che la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico mettono da tempo a loro disposizione per dare massima sicurezza al territorio in cui vivono.

Massima perché, obiettivamente, non può essere totale. Può essere totale proprio con riguardo al rischio sismico perché l’imprevedibilità del suo manifestarsi, può essere ottimamente integrata con la prevenzione dei danni materiali di cui un terremoto può essere causa. Prevenzione che si può/deve realizzare con puntuali interventi di adeguamento antisismico agli edifici pubblici e privati, magari proprio cominciando da quel 44 per cento al quale si riferisce Saviano.

Più limitati sono i margini nel caso del rischio vulcanico ad Est (Vesuvio) e ad Ovest (Campi Flegrei). Ma in questo caso la discreta prevedibilità per tempo dell’avvicinarsi dell’evento può consentire non di vivere con sicurezza sul territorio soggetto al rischio, ma di mettere in salvo le vite umane attuando i Piani di evacuazione ai quali facevo riferimento.
In entrambi i casi, fatalismo a parte, i cittadini rischiano di essere spettatori passivi degli eventi se non si comincia ad intervenire subito.

E perché questo accada ancora una volta nel nostro strano Paese Italia – Fragile Italia – bisogna ringraziare un disastro con le sue trecento vittime e la distruzione di interi paesi.