Il ruolo della scienza

Il ruolo della scienza come motore inesauribile di progresso è stato pressoché indiscusso nella società dal XIX secolo e, pressappoco, fino alla scoperta della penicillina. Il sapere scientifico, sull’onda lunga della rivoluzione illuministica, veniva a porsi in contrapposizione con i dogmi della religione organizzata, ma paradossalmente i frutti del progresso scientifico divenivano anch’essi principi quasi dogmatici negli occhi dell’opinione pubblica. L’uso bellico dell’energia nucleare fu l’avvenimento traumatico che inizio a cambiare la percezione, sino ad allora quasi esclusivamente positiva, del progresso scientifico: gli scienziati non erano più “sacerdoti laici”, votati al progresso dell’umanità e la scienza non era più solo uno strumento di bene.

La diffidenza dell’opinione pubblica nei confronti del progresso scientifico da allora si è andata accentuando; l’irrazionalità e la superstizione sono state purtroppo in grado di scavare un fossato sempre più profondo fra ciò che la scienza produce e la percezione di tale prodotto da parte della popolazione. Due esempi emblematici:

1. L’inconcepibile (soprattutto per un immunologo) avversità nei confronti delle vaccinazioni che i. ha portato alla ricomparsa della poliomielite in Nigeria, ove i fondamentalisti islamici spingono i fedeli a rifiutare l’uso dei vaccini temendo che essi siano uno strumento atto a diminuirne la fertilità, e  ii. ha provocato una epidemia di pertosse nella civilissima California dove le farneticazioni di Jenny McCarthy, una ex “playboy bunny”, hanno convinto molti a rifiutare le vaccinazioni più elementari per convinzione che esse favorissero la comparsa di autismo.

2. La recentissima offerta di acquisto della Monsanto da parte di Bayer con una supervalutazione delle azioni Monsanto di circa il 30% che, pur accettata dalla società, è stata accolta con totale freddezza dal mercato, timoroso del fatto che Monsanto produca quelle sementi OGM che sono un’altra, incomprensibile, vittima del neo-oscurantismo che purtroppo caratterizza l’inizio del XXI secolo.

Il libro della Professoressa Maria Luisa Villa, mia mentore, immunologa di fama e donna di molteplici interessi, come testimoniato dalle sue recenti escursioni in campo linguistico che le hanno recentemente permesso di diventare membro della Accademia della Crusca, affronta queste tematiche cercando di comprenderne le profonde ragioni. Il testo è da raccomandare agli addetti ai lavori ma, soprattutto, dovrebbe essere letto da chi diffida della scienza moderna. Il capitolo sulla “peer review”, ossia la elaborata ed imperfetta, ma nonostante ciò sorprendentemente efficace, modalità con la quale vengono selezionate le pubblicazioni meritevoli di apparire nelle riviste scientifiche è esemplare il tale senso. La comprensione della complessità della “peer review” farebbe capire al pubblico perché si debba diffidare delle notizie scientifiche che appaiono sulla stampa popolare con finalità non scientifiche, ma bensì propagandistiche. Quante volte, secondo i comunicati stampa che appaiono sulle riviste popolari, abbiamo sconfitto i tumori? Quante malattie abbiamo curato con le cellule staminali?

Interessantissimo anche il capitolo 4 che, in poche pagine, riassume le basi sulle quali si è venuta a strutturare la scienza moderna: principi epistemici, norme organizzative, definizione di una comunità di pari basata sull’utilizzo di metodiche comuni e sulla condivisione dei risultati. E, poi, l’excursus sulla nascita delle Accademie come iniziali nuclei istituzionali e organizzativi della comunità scientifica: la consapevolezza del fatto che la conoscenza delle origini del pensiero scientifico sia sconosciuta alla maggior parte dei colleghi suggerirebbe di introdurre questo libro come lettura obbligatoria per coloro che vogliono intraprendere questa carriera.

Affascinante resta l’assioma di partenza del libro: la scienza progredisce perché lo scienziato sa di non sapere. La linea di discrimine è peraltro assai sottile: pessima e inaffidabile è spesso la scoperta scientifica che nasce da sicumera e non è sfiorata dal dubbio; paralizzato da mille angustie e sofferenze è lo scienziato che, magari brillante, non ha fiducia sufficiente nei suoi dati. E noi tutti abbiamo conosciuto e, quasi sempre imparato a diffidare, di entrambe queste tipologie di ricercatori. È difficilissimo, se non impossibile, delineare quali debbano essere le doti di uno scienziato di successo, la principale è anche il titolo del capitolo 8 del libro di Maria Luisa Villa: il piacere di creare. La consapevolezza di tale piacere, insieme ad una continua curiosità, alla capacità di attendersi l’inaspettato (quello che gli inglesi chiamano “serendipity”), e alla attenzione nei confronti del fatto che “one scientist’s garbage can be another scientist’s Nobel prize” sono qualità che ho trovato nei colleghi di maggiore successo e che più ammiro.