I Campi Flegrei, oltre il visibile

Presentazione della mostra allestita nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli

 

La mostra raccoglie e propone, nella “Sala del soffitto stellato” del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, gli esiti di una ricerca che documenta la tradizione letteraria relativa ai Campi Flegrei. L’indagine, svolta nell’ambito del progetto di ricerca SNECS (Social Network delle Entità dei Centri Storici), è stata condotta da ricercatori del Dipartimento di Studi Umanistici (sezione di Scienze dell’Antichità) dell’Università “Federico II” di Napoli, sotto la guida della prof. Rossana Valenti. Ai contenuti testuali si affianca l’esposizione di materiale archeologico e documentario: alcune eccezionali opere – in particolare sculture e vasi di provenienza flegrea, insieme a volumi della Biblioteca, documenti dell’Archivio Storico e immagini dell’Archivio Fotografico – forniscono una sintetica illustrazione della forte presenza di quel territorio nelle raccolte e più in generale nel patrimonio che il MANN conserva. La mostra, che si completa con un percorso flegreo attraverso le collezioni del Museo, resterà aperta fino al 10 novembre.
Il territorio dei Campi Flegrei, un bacino geologico e storico tra i più rilevanti del mondo, è segnato dalle forme particolari che la natura vi ha assunto, e, in sintonia con queste, da un immaginario mitico che ha lasciato numerose tracce nelle opere letterarie, nel patrimonio archeologico e iconografico, nei toponimi in uso. Questa tradizione mitologica e letteraria viene ora ‘mostrata’ al visitatore, resa visibile attraverso le tecnologie digitali messe a punto dal consorzio Databenc (Distretto ad Alta Tecnologia Applicata ai Beni Culturali), alle quali è affidato il non facile compito di fare emergere alla vista e alla conoscenza di tutti le testimonianze letterarie ‘celate’ allo sguardo e tuttavia intrinsecamente connesse ai luoghi e alla storia: i testi della letteratura arricchiscono, “oltre il visibile”, la percezione del paesaggio flegreo, documentandone la storia, offrendo il centro pulsante di una testimonianza (tanto più necessaria oggi, nell’età della informazione proliferante e anonima), l’itinerario di un autore, e raccontando miti di fondazione, leggende, metafore, valori simbolici di ieri e di oggi.
“Ci sono posti dove la geografia provoca la storia”: le parole del poeta Iosif Brodsky, che ricorrono nel Breviario mediterraneo di Predrag Matvejevic, sembrano scritte pensando al territorio flegreo, a quello straordinario incastro di ambiente naturale e di sedimentazione storica che ne segna il paesaggio. Le caratteristiche vulcaniche del suolo alimentano, già in epoca antichissima, il mito e il nome del territorio: “terre ardenti”, questo è il significato delle parole “Campi Flegrei”. Strabone, storico e geografo greco, spiega il toponimo, mescolando le spiegazioni geologiche ai racconti della mitologia: “Tutta la regione fino a Baia e a Cuma è piena di zolfo, di fuoco e di sorgenti calde. Alcuni ritengono che anche per questo Cuma è stata chiamata Flegra e che causano queste eruzioni di fuoco e di acqua le ferite, prodotte dai fulmini, dei Giganti qui caduti”. Il mito nasce come risposta allo stimolo della natura, e, insieme al mito, una tenace, ininterrotta tradizione letteraria, iconografica, saggistica racconta questo territorio, oggi violato dai bisogni dell’uomo, che ha conservato per secoli la memoria delle sue origini celebrate dal mito: così avviene per l’Averno, considerato da tempi antichissimi luogo di accesso all’oltretomba. Lucrezio, filosofo latino, lo “demitizza”, riconducendo a una spiegazione fisica i fenomeni che ne connotavano la natura e perfino il nome stesso; Galilei, invece, il padre della scienza moderna, osserva che “il cerchio della sboccatura dell’Inferno passa a punto intorno a Napoli, e che in tal luogo sono il lago Averno e simili altri luoghi che… paiono da stimarsi luoghi infernali”: il mito dei Campi Flegrei ha ‘contagiato’ anche la scienza.
Come poche al mondo, quest’area deve la propria fama alla perdurante bellezza di antiche attività umane – porti, edifici termali, teatri, luoghi di culto – e alla suggestione paesaggistica: le sinuosità dei golfi, i laghi vulcanici, i promontori tufacei, i fenomeni del sottosuolo. Nasce da questa conformazione il “prodigio” di cui parla Goethe nel suo Viaggio in Italia: “Una gita in mare fino a Pozzuoli, brevi e felici passeggiate in carrozza o a piedi attraverso il più prodigioso paese del mondo. Sotto il cielo più limpido, il suolo più infido; macerie d’inconcepibile opulenza, smozzicate, sinistre; acque ribollenti, crepacci esalanti zolfo, montagne di scorie ribelli a ogni vegetazione, spazi brulli e desolati, e poi, d’improvviso, una verzura eternamente rigogliosa, che alligna dovunque può e s’innalza su tutta questa morte, cingendo stagni e rivi, affermandosi con superbi gruppi di querce perfino sui fianchi di un antico cratere. Ed eccoci così rimbalzati di continuo tra le manifestazioni della natura e le vicende dei popoli. Si vorrebbe riflettere, ma ci si sente impari al compito”. L’area flegrea è stata anche scenario di un’intensa attività civile e politica, partecipe dei movimenti della grande storia, grazie alla posizione strategica e all’importanza dei suoi porti e dei suoi centri urbani: ce lo testimonia Stazio, il poeta nato a Napoli e ammesso alla corte di Domiziano, che celebra i porti di Dicearchia, l’antico nome di Pozzuoli, e le spiagge “che accolgono ospiti di tutto il mondo”. Mentre Pompei ed Ercolano ci documentano la vita quotidiana degli antichi Romani – gli oggetti, le case, le botteghe, le strade cittadine – i Campi Flegrei ci raccontano una dimensione diversa: i luoghi del mito, le descrizioni letterarie, lo sfondo di eventi e personaggi della storia; si tratta di una dimensione più difficile da decifrare, ma non per questo meno avvincente. Sul filo di questa ‘geografia letteraria’ si snodano alcuni passi di autori – Pindaro, Lucrezio, Virgilio, Seneca, Petronio, Tacito, Petrarca, Galilei e tanti altri  ̶  che hanno ‘letto’, con motivazioni e sensibilità di volta in volta diverse, il paesaggio dei Campi Flegrei, lasciandoci i loro ‘sguardi’, accomunati da un’acuta consapevolezza della straordinaria forza di questo territorio. Ovviamente, quei luoghi non sono più gli stessi; la loro fisionomia è stata spesso sovvertita, stravolta, addirittura cancellata, e oggi sono prevalentemente abitati da un’umanità smemorata e confusa, forse poco interessata all’arte e alla poesia. Ma ci sono ancora siti in cui sembra che la parola letteraria risuoni in tutta la sua potenza capace di produrre emozione e bellezza.
Le testimonianze letterarie relative al territorio flegreo, proposte in mostra, sono raggruppate per siti: Cuma, Averno, Baia, Lucrino, Pozzuoli, Miseno, Posillipo. La scelta dei luoghi sui quali puntare la ricerca risponde al criterio di mostrare la varietà e la ricchezza che, non i luoghi in quanto tali, ma il significato che ad essi viene conferito vi attribuisce: se Cuma e l’Averno conservano nel tempo una dimensione sacra, Baia e Lucrino acquisiscono notorietà in una prospettiva che potremmo definire turistica ed economica; Miseno diventa sede di un’importante attività di tipo militare, mentre Posillipo è illuminata dal prestigio della memoria di Virgilio e dalla suggestione del panorama. Peraltro, proprio la varietà di letture che gli antichi stessi davano di questo territorio, pur così omogeneo dal punto di vista geologico e geografico, costituisce uno dei motivi di interesse e di fascino che emergono dai Campi Flegrei: pochi centri, vicini tra loro, hanno acquisito nella memoria connotazioni tanto diverse.
Nel corso del tempo, poeti e scrittori, con varietà di accenti e di sguardi, non hanno solo descritto i siti che vedevano e vivevano, ma, poco alla volta, hanno costruito quel luogo dell’immaginazione e della memoria che tutti noi, credendo di conoscerlo da sempre, chiamiamo Campi Flegrei.