La rete delle informazioni e l’educazione

 

Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza?
Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione? 
Thomas Stearne Eliot– The rock
Aiutare a trasformare l’informazione in conoscenza
è compito dei maestri.
Michel Serres

La rete è una risorsa o una trappola? Questa domanda ottiene, da almeno due decenni, nel dibattito culturale e nella ricerca, risposte polarizzate sui due estremi, ma anche, sempre più spesso, una risposta dialettica: ambedue le cose possono essere vere, dipende dal modo e dal contesto in cui si usa. Non è facile trovare altre pratiche umane a cui si applicano giudizi distribuiti  lungo una scala di valori  che si estende dalla demenzialità all’intelligenza.
Questo contributo si occupa specificamente della rete come sistema delle informazioni e lo fa da tre punti di vista trattati in successione: la struttura del sistema delle informazioni nella rete, il modo in cui interagiamo con esso,la necessità di educare a una sua padronanza pratica e culturale.Con qualche riflessione epistemologica.

 

Le informazioni nella rete e la loro struttura

Il modo in cui le informazioni si presentano sulla rete è assai diverso da quello in cui si presentano nei mezzi tradizionali. Alcune differenze strutturali sono leggibili come contrapposizioni fra il prima e il dopo l’avvento delle tecnologie digitali.

Informazione organizzativa vs informazione alla rinfusa

Si suole dire che la quantità di informazioni disponibili è enormemente cresciuta con la rete. Non è facile dire se la massa delle informazioni in rete è superiore a quella registrata in tutti i media tradizionali. Fra l’altro una gran parte è presente in ambedue i sistemi.
La vera differenza è che le informazioni della rete sono tutte a nostra disposizione, rapidamente e contemporaneamente, senza doverci muovere dal nostro posto di consultazione, fisso o mobile.
C’è poi una differenza strutturale che si può spiegare con una metafora. Nella logistica del trasporto navale il vecchio modo di caricare merci era “alla rinfusa” e il modo nuovo è quello di raccoglierle, per tipo e destinazione, nei container. Nel mondo delle informazioni l’evoluzione sembra avvenire al contrario. E la rete è in effetti un mondo in cui non c’è distinzione di genere e dove l’alto (una rivista di storia medievale) e il basso (un sito di vendite) vengono trattati allo stesso modo. E’ vero che in un browser ciascuno può creare un suo sistema di contenitori classificati per categorie, giornali, musei, servizi on line, meteo, ecc,  e raccogliere in essi gli indirizzi dei siti preferiti. Ma questo è possibile solo per le fonti che abbiamo già conosciuto. Inoltre si tratta di un meccanismo che può rapidamente diventare una sfida alla memoria. Senza parlare della difficoltà di categorizzazione insite in ogni classificazione. È per questo che sempre più spesso si rivolge una domanda a Google che, nel mondo delle informazioni alla rinfusa, pesca, al meglio dei suoi algoritmi, quello che ci potrebbe servire. Con Wikipedia la situazione è simile. Si tratta di un’enciclopedia, che però mescola voci che, nei media tradizionali, sarebbero collocate separatamente in enciclopedie generaliste o settoriali, testi specialistici, guide turistiche, libri di cucina.

 

Informazione breve vs informazione lunga

Una delle caratteristiche dell’informazione in rete è la prevalenza di scritti e video brevi. Questo non riguarda i testi o i film già prodotti e trasferiti nella rete. Riguarda invece quello che viene prodotto esplicitamente per la rete. In parte perché questa è la caratteristica di alcuni canali, come i social network o YouTube. I 140 caratteri di Twitter sono oramai un mito. Ma in parte si tratta di una retroazione delle abitudini dei lettori in rete. La prima raccomandazione che viene rivolta all’autore di un blog o di un articolo per una rivista on line è di non superare poche migliaia di caratteri e gli si ricorda che il tempo medio di persistenza dei lettori generici su un testo, come vedremo nel prossimo paragrafo, non supera qualche minuto. La brevità non è invece un carattere distintivo di Wikipedia dove, comunque, ci sono articoli molto lunghi e altri molto brevi.

 

Produzione collettiva di informazione vs produzione autoriale

Conosciamo molti testi nati in una cultura orale, come accumulazione e modifica dei racconti di molti narratori. Quando i libri li hanno fatti emergere e consegnati alla memoria collettiva i nomi degli autori si erano già persi. Non solo i testi sacri, le saghe, i poemi antichi, le fiabe, ma anche tante produzioni popolari di tutti i tempi, come i proverbi. Qualcosa di simile succede tutti i giorni nella rete. A volte, nei forum, la costruzione di testi avviene per aggiunte o repliche successive, con una mimesi del procedimento orale della discussione. Per giunta, siccome spesso i nomi degli autori sono fittizi, si hanno alla fine testi articolati senza autore. Nei social network gli autori dei singoli pezzi sono noti, ma, se il dialogo è fitto, il risultato è comunque un testo senza un autore preciso.
Ma l’emblema della produzione collettiva è Wikipedia. Qui gli autori esistono, ma sono, per convenzione, segreti. Inoltre, al contrario di un’enciclopedia tradizionale, chiunque può decidere di proporre un articolo o di correggerne uno già prodotto. Le enciclopedie tradizionali, ad iniziare dall’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, nascono con una pianificazione e progetto culturale complessivo più o meno sofisticato, a partire da una semplice classificazione fino a una rete semantica, come ad esempio nell’Enciclopedia Einaudi. Ancora: mentre le enciclopedie tradizionali adottano e impongono agli autori format, regole e standard, in Wikipedia vige una sorta di anarchia, che riguarda, come già detto, anche la lunghezza degli articoli. Per Wikipedia l’unico criterio è l’interesse, culturale o pratico, dei contributori. Ma Wikipedia ha il vantaggio del grande volume dei testi prodotti: si è calcolato che per stamparla tutta occorrerebbero circa 25 volumi dell’Enciclopedia Britannica. Ha inoltre un meccanismo di ricerca semplice e rapido.

 

Informazione inaffidabile e manipolata vs informazione affidabile e trasparente

Sono due le principali accuse rivolte all’informazione in rete. La prima è l’inaffidabilità intrinseca dei contenuti e la seconda la non trasparenza del modo in cui vengono offerti. Se i contenuti sono prodotti da soggetti con responsabilità ben definite a livello editoriale e/o autoriale (un giornale, una rivista, un’impresa, un’istituzione, un blog personale) l’affidabilità riguarda i produttori. Il problema è diverso per i contenuti non autoriali e  generati con meccanismi non controllati o con controllo debole. Inutile dire che il dibattito si concentra su Wikipedia basata sul contributo spontaneo. L’ipotesi è che la qualità sia garantita dal meccanismo della correzione paritaria e dal controllo di un pool redazionale, visibile nelle note, nelle critiche, negli appelli all’integrazione per i diversi articoli. E’ discutibile che poche centinaia di operatori possano offrire la stessa qualità, per quanto riguarda i singoli articoli,delle grandi enciclopedie tradizionali. Si ricorda però un celebre esperimento pubblicato da Nature: un gruppo di scienziati aveva dato un giudizio di qualità a un gruppo di articoli pubblicati da Wikipedia quasi eguale a quello dato per gli articoli corrispondenti sull’Enciclopedia Britannica. L’interposizione di un algoritmo di ricerca non crea, per Wikipedia, un grande problema perché se ne intuisce abbastanza facilmente il principio di funzionamento. Quasi esattamente opposto è il problema di Google, che non ha responsabilità alcuna sui contenuti, semplicemente perché non li produce, ma li cerca nella rete usando algoritmi molto sofisticati, continuamente modificati, di cui anche i più esperti conoscono solo il principio di base (che consiste nel tenere conto del modo in cui ogni testo rimanda ad altri testi, con citazioni o link). L’interposizione di un software molto complesso e quindi poco trasparente, pone all’utilizzatore molti problemi, sia sul modo di formulare le domande, sia sul livello di soddisfacimento delle risposte. Su questo punto ritorneremo più tardi.

 

Il rapporto con le informazioni: Information Behaviour

L’Information Behaviour, cioè il modo in cui si cercano e si selezionano le informazioni, ma anche quello in cui si usano per produrne altre, costituisce uno specifico campo di ricerca empirica. Per le considerazioni svolte in questo contributo si è tenuto conto di alcune ricerche che vengono citate di volta in volta.

 

 La rete come Memoria esterna

La scrittura la stampa e le registrazioni audiovisive hanno progressivamente creato una grande memoria esterna. Questo ha proposto, fin dall’inizio, il problema di una maggiore o minore rinuncia alla facoltà di ricordare. La terza rivoluzione, quella delle tecnologie digitali, ora in atto, ripropone in forme nuove lo stesso problema, ma in modo più urgente. Il vero fattore eversivo è la possibilità di accedere in modo rapido, facile e in qualsiasi luogo e momento, a qualsiasi informazione. Alcune ricerche (Spitzer 2013) hanno dimostrato che si stabilisce un effetto circolare fra bisogno di accedere alla rete per trovare quello che non si sa o non si ricorda e rinuncia alla memorizzazione appena si ha la certezza che una certa informazione è registrata da qualche parte.

 

 Ricerca orizzontale, surfing, browsing, dispersione, vagabondaggio

Il 60% di quelli che usano per ragioni di studio le riviste on line guardano non più di tre pagine e la gran maggioranza non ci ritorna (CIBER 2007). Se la ricerca è meno impegnata, come nella lettura dei quotidiani o di informazioni generiche la permanenza è anche minore. Siamo all’opposto della vecchia abitudine di leggere gran parte del quotidiano acquistato al mattino. La ricerca e la lettura avviene in orizzontale. Le metafore usate comunemente spiegano da sole questo comportamento: surfing (navigare in cima alle onde), browsing (brucare), navigare.
Ma anche nello studio il tempo impiegato nel cercare le informazioni in rete è più o meno eguale a quello dedicato a esaminarle(CIBER2007).
Nel cercare succede spesso di disperdersi nel labirinto dei rimandi da un’informazione a un’altra. Si perde, per cosi dire, la rotta, seguendo il richiamo della curiosità e delle promesse di un rimando, fino a domandarsi: cosa stavo facendo? E’ come navigare senza bussola. Quando non si pratica un vero e proprio consapevole vagabondaggio nella rete.

 

 Lettura digitale e on line. Il tempo. Pazienza e impazienza. Piccoli bocconi piuttosto che pasti completi

Difficilmente, come si è già detto nel paragrafo precedente, un documento viene letto, anche per ragioni di studio, per più di 8 minuti. Quando si legge per generico interesse si scende molto al di sotto. In una rivista on line può capitare che la maggioranza delle permanenza in un testo non superi i due minuti. Piccoli bocconi piuttosto che pasti completi. Si parla di impazienza e si attribuisce questo atteggiamento ai giovani, ma in realtà riguarda anche le generazioni nate non digitali.
Quello che è certo è che la lettura on line è molto diversa da quella tradizionale. La lettura sullo schermo tende a essere più veloce, quasi a compensare la quantità di informazione. Procede per salti, è più selettiva, cerca parole-chiave. E’ inoltre più stancante di quella sulla carta a causa del continuo cambiamento di formati, elementi di contorno, rimandi (Konnicova 2014).

 

 Il comportamento dello scoiattolo

Un modo per cercare di non disperdere quello che si è trovato, usato soprattutto da chi ricerca per motivi di studio, è quello di immagazzinare le informazioni trovate per usarle inseguito quando serviranno. Si è sempre fatto con i ritagli dei giornali e lo si fa più facilmente sul web. Proprio come fanno gli scoiattoli che creano riserve per l’inverno. Ma tutti sappiamo che, oltre un certo limite, i depositi rimarranno inutilizzati.

 

 Sovraccarico informativo, selezione e valutazione delle informazioni

Lavorare sulla rete comporta un vero e proprio sovraccarico informativo causato dal grande numero di opzioni offerte per ogni domanda. Come si selezionano le informazioni? Anzitutto formulando la richiesta in forma adeguata e per questo occorre saper concettualizzare la ricerca e avere la capacità logica di formulare le domande. Ma proprio su questo i giovani hanno più difficoltà soprattutto, occorre ricordarlo, perché  la capacità di autoriflessione nasce e cresce con la maturità (Palfrey, Gasser 2008). Quindi il mito che essi sono bravi cercatori di informazioni è proprio un mito (AAVV 2008). Questo vale anche per la successiva fase, quella della selezione delle informazioni trovate, che richiede una valutazione della pertinenza rispetto al nostro scopo.
La fase successiva, valutare la qualità delle informazioni e la loro pertinenza rispetto a ciò ci cui abbiamo bisogno, è più semplice nelle situazioni di vita quotidiana, ma nell’ambito dello studio è complessa e richiede maturità, cultura ed esperienza. Questo, come vedremo, è un punto cruciale per l’educazione.

 

 Etica. La proprietà delle informazioni

Un altro punto su cui la Google generation si distingue dalle precedenti è una scarsa considerazione per il rispetto della riservatezza e della proprietà delle informazioni (AAVV 2008). Il problema è più complesso di quanto spesso si creda. C’è un ovvio problema di educazione civica e di disinformazione, per esempio, su cosa significa diritto d’autore. Ma c’è anche una componente ideologica che  propugna un’etica alternativa a quella tradizionale: il diritto alla condivisione delle informazioni e il contrasto alla competizione e alla proprietà (Hintikka2010).

 

 Copia e incolla

Produrre informazione a mezzo di informazioni è quello che si trova a fare chiunque vuole scrivere un testo o preparare una presentazione. A meno di essere totalmente pensatori in proprio ciò significa saper sintetizzare: estrarre, rielaborare, commentare. Ma esiste anche la pratica, la cui diffusione è accertata soprattutto fra i giovani, del copia e incolla. Da sempre la copiatura appartiene all’ambito dell’etica intellettuale, ma, nel caso dei giovani, c’è anche la mancanza di una specifica educazione alla sintesi. Anche di questo discuteremo parlando di educazione.

 

L’interazione con le informazioni come dipendenza

C’è un’aneddotica sull’uso di Internet come un vizio. Alcuni psicologi o neuropsicologi parlano di “dipendenza senza sostanze” meritevole di studio e di cure come le altre dipendenze, o addirittura di demenza (Spitzer 2013). Limitandoci all’Information Behaviour è più difficile parlare di dipendenza, ma alcuni dei comportamenti appena esaminati possono passare facilmente dal deficit di controllo al nonsense e alla confusione. Non ci riferiamo ai contenuti delle informazioni, ma ai modi dell’interazione come la bulimia informativa, il disorientamento e la navigazione alla deriva.

 

Breve digressione sulle trasformazioni della cultura

C’è un grande dibattito sui cambiamenti sociali e culturali che accompagnano la diffusione delle tecnologie digitali e sono da essa determinati. Ritorna inevitabilmente la dialettica, battezzata da Umberto Eco come scontro fra apocalittici e integrati. Ne sono esempio i due recenti libri di Nicholas Carr e Howard Rheingold schierati su fronti opposti (Carr   2011), (Rheingold  2012).

Senza pretendere di affrontare questioni epocali è però utile, nell’ottica dell’educazione, riprendere alcune questioni. Il primo verso di Eliot nell’epigrafe di questo articolo richiama l’antica profezia raccontata da Platone, nel Fedro, secondo la quale la nascita della scrittura, cioè di una memoria esterna, avrebbe provocato la perdita della saggezza, che può essere alimentata solo dal dialogo fra persone che  mettono in gioco la loro memoria personale. Nel secondo verso Eliot intravede la perdita successiva, quella della conoscenza, perché è difficile dare un senso alla eccessiva proliferazione dell’informazione. Le successive due “perdite” nascono da due rivoluzioni tecnologiche: la scrittura e la stampa. La terza rivoluzione, quella della multimedialità e, soprattutto, delle tecnologie digitali, ha accelerato  della perdita di saperi e cambiato il modo in cui si formano le conoscenze (Simone 2012). La memoria a gettone, per esempio, certamente cambia l’equilibrio e la divisione dei compiti fra memoria interna e memoria esterna. Per dire come e quanto, servono analisi specifiche sia neurologiche sia filosofiche, ma certo è che leggere questo cambiamento semplicemente come una perdita è almeno limitativo. Muoversi nella foresta delle informazioni richiede quanto meno la crescita di una nuova facoltà: il senso dell’orientamento e l’interpretazione dei messaggi incontrati lungo il percorso. Questo esempio può essere esteso a tutte le disfunzioni e ai rischi di cui abbiamo detto nell’analizzare l’Information Behaviour. Come dice Michel Serres “Ogni volta che si perde qualcosa, il vuoto viene riempito da qualcos’altro” (Serres 2015).

Alcuni intellettuali invitano ad analizzare oggettivamente  i processi di trasformazione culturale in modo più dialettico e aperto. E’ il caso di Alessandro Baricco nel suo libro I barbari (Baricco 2010).
Ci sono infine le neo-avanguardie che prendono il toro per le corna e salutano la nascita di nuove culture e nuovi stili. Ad esempio quello dell’internet writer. E’ il caso del poeta Kenneth Goldsmith che ha creato un sito, UbuWeb (www.ubu.com) di sperimentazione artistica e che tiene un corso in cui sono obbligatorie tre pratiche: la distrazione, il multitasking e la deriva senza direzioni. Ma non basta, Goldsmith provocatoriamente difende la non-creatività e promuove la copiatura: perché creare qualcosa di nuovo quando in rete c’è già tanto? Meglio riusare. E produce opere-collage poetiche fatte solo di pezzi di articoli di giornale e trasmissione radio (Goldsmith 2014)

Si può concludere questa digressione osservando che ci sono rischi nel tracciare generalizzazioni assolute sugli effetti culturali delle tecnologie. Il primo rischio è quello di una sorta di determinismo tecnologico che porta a leggere i cambiamenti, le derive, le degenerazioni solo come effetto delle tecnologie senza tenere conto del cambiamento degli assetti sociali e delle istituzioni culturali. Il secondo rischio è quello di fondare teorie generali a partire dalle tecnologie esistenti in un certo momento. Le nuove tecnologie evolvono rapidamente, scompigliano le carte, e allora certe analisi possono rivelarsi inesatte a lungo termine. Per qualche decennio è sembrato epocale il passaggio dalla comunicazione alfabetica, lineare, registrabile, legata alla scrittura, a quella non alfabetica e non lineare,legata alla multimedialità e alla evanescenza della televisione. La rete ha smentito, in buona parte, questo quadro, con una prevalenza della scrittura e della permanenza delle informazioni (Fabris 2011). E cosa succederà in futuro con il probabile sviluppo del web semantico? Come si dovrà ridiscutere di rete e conoscenza?
O addirittura non è possibile che la grande rivoluzione cognitiva non venga provocata dal matrimonio fra tecnologie digitali e neuroscenze?

 

Il compito e le possibilità dell’educazione

Veniamo ora al compito dell’educazione e in particolare della scuola. Partiamo da alcuni nuovi scenari di fronte ai quali la scuola si trova. Per il nostro ragionamento due elementi sono particolarmente rilevanti.
Il primo è la comparsa della “generazione Google. E’ vero che i ragazzi di oggi sono strutturalmente diversi dalle generazioni precedenti? C’è un’ampia aneddotica in questo senso, e anche alcune delle indagini già citate (AAVV 2008), (Weigel, Straughn 2009) tendono a confermarla. I giovani preferiscono i media interattivi, si aspettano molto dalle tecnologie, tendono al multitasking, preferiscono scrivere che parlare, cercano l’intrattenimento anche nell’apprendimento.

Il secondo scenario riguarda il rapporto scuola-extrascuola. La scuola ha avuto il monopolio della formazione, salvo il supporto di una parte delle famiglie. Ha adottato un’organizzazione, le discipline e i curricoli, e uno strumento principale, il libro di testo. Altre strutture (i musei), e strumenti (le enciclopedie, i giornali e i libri) non sostituivano l’educazione scolastica, o familiare, piuttosto la presupponevano. Il monopolio della scuola è andato in crisi con la nascita di una società dell’informazione e della comunicazione di massa, lo sviluppo dei saperi, in particolare quelli scientifici, e la difficoltà di racchiudere tutto questo nel tempo e nei mezzi della scuola. Diventa importante l’apprendimento non formale che pone il difficile problema di accettare la convivenza con le opportunità fuori dalla scuola, creando un ecosistema della conoscenza. E questo richiede alla scuola non già di annullarsi nel mare delle altre forme di comunicazione, ma di equipaggiare la mente degli studenti con gli strumenti necessari per trasformarle in occasioni di apprendimento.

Ma occupiamoci ora dello specifico problema della gestione delle informazioni. Michel Serres, nell’intervista già citata (Serres 2015), dice: “…l’informazione non è conoscenza. Il maestro, ma anche il filosofo, è colui che aiuta a trasformare l’informazione in conoscenza. Cioè ci vuole una guida per procedere nel mondo delle informazioni”. Il problema è se questo è possibile e come.
Oramai la maggior parte del mondo delle informazioni è ospitata, quando non prodotta, all’interno del sistema  creato dalle tecnologie digitali. E’ vero che l’immersione in esse può portare a comportamenti dispersivi, persino a rischio, e che pone un grande problema di rapporto con la conoscenza. Alcuni ne deducono che  è bene tenerne lontana la scuola, pena la sua dissoluzione. Questa posizione è paradossale perché l’educazione è sempre stata la via maestra per insegnare a usare in modo praticamente e intellettualmente produttivo gli strumenti connessi alla conoscenza (anch’essi tecnologie), a partire da quelli della scrittura e della lettura e del calcolo. Il vero problema, non semplice, è come fare la stessa cosa con le nuove tecnologie.

Per discutere di questo conviene ragionare in termini di competenze. Si può parlare di competenza digitale come obiettivo formativo. In prima approssimazione essa è definibile a due livelli: a) la competenza d’uso, che implica sapere come funzionano gli strumenti hardware e le applicazioni software e avere le abilità necessarie per usarli, b) la capacità di mettere la competenza d’uso al servizio di altre competenze.
La Patente Informatica Europea stabilisce lo standard più riconosciuto di competenze. E  articolata in 7 aree di competenza o moduli, ciascuno con un syllabus e un sistema di valutazione. All’interno del modulo sul lavoro on line,On Line Essentials, una parte è dedicata al nostro tema, la gestione di informazioni. Ecco alcuni degli obiettivi:

R

Ricerca

                Sapere cosa è un “motore di ricerca” e saperindicare i nomi dei motori di ricerca più comuni.

                Effettuare una ricerca utilizzando una parolachiave, una frase.

                Affinare una ricerca utilizzando funzioni di ricercaavanzate, quali per frase esatta, per data, perlingua, …

                Effettuare una ricerca in una enciclopedia,dizionario sul web.

Valutazione critica

                Comprendere l’importanza di valutarecriticamente le informazioni online.

                Comprenderelo scopo di diversi tipi di siti, quali informazione,intrattenimento, opinioni, vendita.

                Individuare i fattori che determinano la credibilitàdi un sito web, quali autore, riferimenti, ….

                Riconoscere l’adeguatezza delle informazionionline per un determinato tipo di pubblico.

Copyright, protezionedei dati

                Definire i termini copyright, proprietà intellettuale.

                Comprendere la necessità di riconoscere le fontie/o di richiedere l’autorizzazione all’uso quandonecessario.

                Conoscere i principali diritti e obblighi di chidetiene i dati, ….

SEZIONE

Si tratta, è chiaro, di competenze professionali. Le scuole, a seconda del tipo e del livello, possono adottarle integralmente o in modo semplificato.
Un luogo comune è che i giovani siano già molto competenti indipendentemente dalla scuola. Basta scorrere gli standard della Patente o anche altri più semplici per comprendere che, almeno per la gestione delle informazioni on line, non è generalmente vero. E non è neanche vero che essi apprendano tutto dai loro compagni.
La prima conclusione è che la scuola deve occuparsi anche della competenza d’uso. Il modo dipende dal fatto che il curricolo preveda o meno una disciplina specifica o una parte di una non specifica e un docente dedicato. Una didattica puramente versativa, seguita da piccoli esercizi non è l’unico modo possibile di impostare questo insegnamento. Si può ricorrere anche a esperimenti di scoperta. Per esempio cosa succede se in una ricerca su Google formulo la richiesta in modi diversi? E come influisce la lingua? Siccome in genere ci sono migliaia di risposte distribuite su tante pagine, cosa perdo se mi fermo a leggere solo le prime due? Oppure, perché, nello scrivere, scelgo un carattere invece che un altro? Si possono aggiungere suggerimenti e regole per evitare le inefficienze nella gestione delle informazioni on line, come la dispersione, suggerendo qualche regola pratica o, magari, discutendone in classe.

Per una competenza digitale completa occorre un salto di qualità: mettere la competenza d’uso al servizio dell’intero sistema di competenze a cui punta l’educazione: competenze di base o alfabetizzazioni (leggere, scrivere e far di conto), competenze metodologiche[1] (cercare e gestire informazioni, comunicare, risolvere problemi, cooperare, indagare, progettare ecc). Queste ultime possono essere esercitate in contesti di vita quotidiana (cercare un lavoro, fare la scelta migliore per un acquisto, programmare un evento, ecc,) o nel contesto di discipline (analizzare problemi  matematici, scrivere saggi storici, esprimersi artisticamente, produrre musica ecc). Le più recenti indagini OCSE hanno introdotto prove per la valutazione di alcune di queste competenze in ambiente digitale: prove di lettura (OCSE-PISA 2012) e prove di problem solving in situazioni di vita comune (PIAAC 2012).

Spesso ci si domanda a cosa possono servire le tecnologie digitali, ma forse è meglio rovesciare il punto di vista e domandarsi se e come una data competenza può avvantaggiarsi dell’uso delle tecnologie digitali o se, addirittura, può prescindere da esse. In altri termini la sua sfida va portata all’interno di tutti i saperi, le loro pratiche e le loro sintassi.
Si è già detto che i giovani hanno in genere una difficoltà a concettualizzare la ricerca di informazioni e che questa è una della cause di molti comportamenti dispersivi (divagazione, superficialità, smarrimento). Ma partire da compiti più ricchi di significato e quindi con un obiettivo più chiaro è l’unica maniera per indirizzare meglio la ricerca delle informazioni e questo ha anche un feedback positivo sulla capacità di selezione e valutazione. Si tratta, per la verità, di un principio estendibile: partire da domande ricche di significato crea un feedback positivo verso le competenze d’uso delle tecnologie.

Affrontiamo un problema cruciale: le tecnologie digitali stanno sostituendo molte abilità umane e rendono banali certi compiti. Impedirne l’uso non è sempre la scelta migliore, ammesso che sia possibile. La risposta storica a questo problema, è stata sempre quella di spostare le abilità a un livello più alto: la scrittura ha reso meno importante la capacità di memorizzare, ma ha creato una cultura più complessa di quella orale. Questo principio deve essere tenuto presente dalla scuola, che dovrebbe imparare a porre problemi più complessi. Se le calcolatrici rendono banale fare calcoli la risposta non è impedirne l’uso, ma affrontare domande matematiche più evolute. Nel caso della gestione di informazioni occorre affrontare compiti “a prova di Google o Wikipedia”, che non si possano risolvere con un colpo di click. E questa è già una risposta alla frase di Serres in epigrafe. Perché usare le informazioni per rispondere a una domanda complessa significa produrre conoscenza.

Affidiamoci a un esempio partendo dalla cattiva abitudine del copia-incolla. Non è solo un tema etico e non si tratta solo di pigrizia intellettuale ma, come si è già visto, della mancanza di una competenza molto seria: fare la sintesi di più informazioni. Certo che certi compiti generici, come per esempio “Fare uno studio sulla storia delle esposizioni universali” sono un incentivo alla copiatura. Si possono invece assegnare specifici esercizi di sintesi ponendo limiti e regole. Ad esempio: “Raccontate in non più di 1000 parole la storia delle Esposizioni Universali con i principali eventi, dati, temi, realizzazioni. Potete usare Wikipedia” Si possono porre alcuneregole redazionali che guidano nella sintesi e impediscono il copia-incolla. Ad esempio “I brani originali eventualmente riportati non debbono superare il 20% dello scritto complessivo, devono essere tra virgolette e non più lunghi di 5 righe ciascuno. In ogni caso dovete citare le fonti da cui avete ricavato le diverse informazioni”. Ma se vogliamo alzare il livello dobbiamo fare domande del tipo: “Le Esposizioni Universali sono state caratterizzate, fin dall’inizio, da opere-simbolo: per esempio il Cristal Palace di Londra nel  1851, la Torre Eiffel di Parigi  nel1878, L’Atomium di Bruxelles nel 1958, l’Albero della vita di Milano  nel 2016. Dopo aver scelto qualche altro esempio si può porre la domanda: quali erano i valori che questi simboli volevano trasmettere e come si sono evoluti nel tempo?” Si possono anche imporre regole redazionali, ma in questo caso la fuga nel copia-incolla è quasi strutturalmente impossibile perché quello che stiamo chiedendo non è solo di sintetizzare, ma, con in indagini e interpretazioni, di produrre nuova conoscenza. E così siamo tornati a Serres.

Affrontiamo, per finire, un’altra questione: come porsi difronte ai comportamenti e le tendenze dei giovani?  E’ una difficile navigazione fra  adattamento e contrasto, ma limitiamoci a un esempio. E’ certo che i giovani  cercano l’intrattenimento e il divertimento e se lo aspettano anche nell’apprendimento. La ricerca nel passato ha mostrato che ambedue servono ad aumentare l’attenzione, ma non l’assorbimento di informazioni. Quindi bisogna mescolare intrattenimento/gioco e impegno: è una formula molto vecchia che può assumere una forma nuova con le tecnologie digitali. Facciamo un esempio. In un distretto svedese, qualche anno fa, tutte le scuole venivano impegnate per una intera giornata in una grande “caccia al tesoro” culturale. Di prima mattina veniva pubblicato sul sito dedicato al gioco, il testo con gli obiettivi e le regole. Ma non era scritto in svedese e neanche in una lingua familiare ai ragazzi. Il primo compito era quindi quello di individuare la lingua e trovare qualcuno in grado di tradurre il testo. A questo seguiva poi una giornata di ricerche e rimandi (come nella caccia al tesoro) in rete, nella biblioteca, nelle istituzioni, il tutto tracciato nel sito.

 

Riferimenti bibliografici

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Baricco A., 2010: I Barbari, Feltrinelli, 2008.
Carr N., 2011: Internet ci rende stupidi? Raffaello Cortina Editore, Milano<
CIBER, 2007:Information Behaviour of the Researcher of the Future; Work Package IV:

Student Information-seeking Behaviour in Context, UCL, London, available at: www.ucl.ac.uk/slais/research/ciber/downloads/GG%20Work%20Package%20IV.pdf (accessed 12 February 2008).
Ferraris M., 2011: Anima e iPad, Guanda, Parma
Fierli M., 2003: Tecnologie per l’educazione, Laterza, Roma-Bari
Goldsmith K., 2014: intervista in La Lettura, supplemento del Corriere della Sera, 9-11-2014
Himanen P., 2001: L’etica haker e lo spirito dell’età dell’informazione, Feltrinelli, Milano
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OCSE-PISA, 2012:Rapporto nazionale,Invalsi.www.invalsi.it
Olimpo G., 2013: Riflessioni brevi su digital literacy e digital competence, TD Vol.21, n°1, pp.14-18, Aprile 2013
Palfrey J,,Gasser U., 2008:  Born Digital, Basic Books, New York
PIAAC, 2012:Literacy, Numeracy and Problem Solving in Technology-Rich
Environments: Framework for the OECD Survey of Adult Skills, OECD Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/9789264128859-en
Rheingold H., 2012: Perché la rete ci rende intelligenti, Raffaello Cortina Editore, 2012
Serres M.,  2015: Intervista, La Repubblica del 18/4/2015
Simone R.,  2012: Presi nella rete, Garzanti 2012
Spitzer M., 2012: Demenza digitale, Corbaccio, Milano
Weigel M.,Straughn C., 2009:Multiple Worlds: Adolescents, New Digital Media, and Shifts in Habits of Mind,The Developing Minds and Digital Media Project1,HARVARD UNIVERSITY, September 2009
[1] In un recente articolo sulla rivista Tecnologie Didattiche Giorgio Olimpo le chiama competenze strategiche (Olimpo 2015).