Nanorobot: le macchine molecolari *

* Tratto da “Robot – Scienza e coscienza delle macchine”, CUEN, 2009, pp. 79-93

 

Introduzione

I congegni biochimici che presiedono a tutte le funzioni vitali, dalla sintesi dell’ATP ai movimenti muscolari, ci dicono che il concetto di macchina, così familiare nel mondo macroscopico dove gli oggetti sono tangibili e visibili, può essere esteso al mondo microscopico e invisibile delle molecole. Questi dispositivi di dimensione nanometrica (un nanometro, nm, è pari a un miliardesimo di metro) sono infatti costituiti da componenti molecolari opportunamente assemblati al fine di eseguire movimenti meccanici in seguito all’azione di stimoli energetici esterni; si tratta, pertanto, di vere e proprie macchine a livello molecolare, chiamate anche ‘nanomacchine’ con evidente riferimento alle loro dimensioni. Le macchine molecolari naturali sono molto complesse, sia per il numero di componenti molecolari che per la struttura e, quindi, inimitabili. La conoscenza sempre più approfondita della loro composizione e funzionalità e i recenti progressi della chimica hanno, però, permesso di ottenere i primi prototipi di macchine molecolari artificiali che, nonostante siano estremamente più semplici rispetto a quelle biologiche, stanno aprendo prospettive del tutto nuove in vari campi della scienza e della tecnologia.

 

2. Nanomacchine Naturali

Il movimento è uno degli attributi principali della vita. I sistemi viventi sono forniti di aggregati di molecole molto complessi (gli enzimi) che lavorano all’interno delle cellule come vere e proprie macchine per soddisfare i bisogni delle cellule stesse: trasporto di materiale molecolare, copia e trasduzione del codice genetico nelle proteine, scambio di informazioni con altre cellule, ecc. Anche tutti i movimenti macroscopici degli organismi viventi – dai batteri alle balene – e le funzioni più nobili dell’uomo – dal parlare al pensare – sono conseguenze di movimenti a livello molecolare. L’esistenza delle nanomacchine naturali è nota da molto tempo, ma solo di recente i ricercatori hanno cominciato a studiare i meccanismi chimici del loro funzionamento, evidenziando che questi sistemi operano mediante movimenti meccanici di vario tipo, spesso complessi e interconnessi, ma a volte anche semplici, come rotazioni e spostamenti lineari, simili a quelli effettuati da macchine del mondo macroscopico. Anche se i meccanismi di funzionamento a livello molecolare delle nanomacchine naturali non sono ancora chiariti del tutto, è possibile rappresentare schematicamente in forma grafica le loro funzioni.

2.1 Esempi di Nanomacchine Naturali

Per ragioni di spazio, saranno illustrati soltanto alcuni esempi tipici suddivisi in base al tipo di movimento effettuato.

2.1.1 Movimenti lineari

Un esempio ben noto di motore naturale che sviluppa un movimento di tipo lineare è rappresentato dalla miosina, termine usato per indicare numerose classi di proteine che sono alla base di tutti i movimenti muscolari volontari e involontari. Le molecole di miosina, ciascuna costituita da una lunga ‘coda’ a cui sono collegate due grosse ‘teste’, nelle cellule dei muscoli sono assemblate tramite le code per dare un filamento dal quale si protendono le teste; queste raggiungono un filamento di actina (una proteina assimilabile a una scala) e si attaccano ad esso (fig. 1). L’idrolisi di una molecola di ATP fornisce al sistema energia, che viene utilizzata per far cambiare radicalmente la forma delle teste della miosina e per costringerla a spostarsi lungo il filamento di actina. In un muscolo che si contrae rapidamente, ciascuna unità di miosina si muove cinque volte al secondo, percorrendo una distanza di circa 10 nm.

Figura 1. Rappresentazione schematica di un sarcomero, il più piccolo elemento funzionale contenuto nelle fibre muscolari: le molecole di miosina (ovali) sono in parte libere (chiare) e in parte legate (scure) al filamento di actina.

Figura 1. Rappresentazione schematica di un sarcomero, il più piccolo elemento funzionale contenuto nelle fibre muscolari: le molecole di miosina (ovali) sono in parte libere (chiare) e in parte legate (scure) al filamento di actina.

2.1.2 Movimenti rotatori

Una delle nanomacchine naturali più studiate è certamente quella preposta alla sintesi dell’adenosintrifosfato (ATP), molecola che fornisce l’energia per le funzioni vitali. Questo congegno, illustrato nella fig. 2, ha dimensioni dell’ordine di 10 nm ed è costituito da un’unità C, formata da proteine a elica che attraversano una membrana, e da un’unità g solidale a C. Quando la concentrazione dei protoni all’interno della membrana è inferiore a quella esterna, si genera un flusso di protoni che causa la rotazione di C e, di conseguenza, di g ( fig. 2a). Quest’ultima unità agisce come una camma meccanica che, ruotando, deforma in successione tre siti nel sistema proteico che la circonda, causando, in ognuno di essi, la trasformazione di adenosindifosfato (ADP) e fosfato inorganico (Pi) in ATP (fig. 2b). Il funzionamento di questa nanomacchina, però, è più complicato di quanto ora detto, perché essa in realtà deve essere vista (fig. 2a) come la combinazione di due motori molecolari, F1 e F0, uniti alla stessa camma g, che tentano di ruotare in direzione opposta. Il motore F0, come sopra accennato, sfrutta il gradiente protonico per girare in una direzione, mentre F1 usa l’energia libera prodotta dall’idrolisi dell’ATP per ruotare nella direzione opposta. Quando prevale F0, come accade ad esempio nella fotosintesi batterica, F1 gira a rovescio e quindi sintetizza ATP a partire dai suoi costituenti, ADP e Pi; quando, invece, prevale F1, è F0 che gira a rovescio e il sistema funziona come una pompa di protoni azionata dall’energia dell’ATP.

Figura 2. (a) Illustrazione schematica della ‘nanomacchina rotante’ naturale che presiede alla sintesi dell’adenosintrifosfato (ATP) a partire da due ‘ingredienti’, cioè adenosindifosfato (ADP) e fosfato inorganico (Pi). (b) Vista dall’alto che evidenzia come la camma  ruotando deforma i tre siti in cui avviene la sintesi dell’ATP. (Ripresa, con modifiche, da C. O’Driscoll, One man and his motor, in “Chemistry in Britain”, settembre 2000, p. 34).

Figura 2. (a) Illustrazione schematica della ‘nanomacchina rotante’ naturale che presiede alla sintesi dell’adenosintrifosfato (ATP) a partire da due ‘ingredienti’, cioè adenosindifosfato (ADP) e fosfato inorganico (Pi). (b) Vista dall’alto che evidenzia come la camma  ruotando deforma i tre siti in cui avviene la sintesi dell’ATP. (Ripresa, con modifiche, da C. O’Driscoll, One man and his motor, in “Chemistry in Britain”, settembre 2000, p. 34).

 

3. Nanomacchine artificiali

L’idea di costruire macchine molecolari artificiali fu teorizzata nel 1959 da Richard Feynman, premio Nobel per la fisica, ma per il suo sviluppo si dovette aspettare fino agli anni ottanta, periodo in cui K. Eric Drexler la riprese, prospettando la possibilità di costruire un robot di dimensioni nanometriche. Questo nanorobot, denominato assembler, dovrebbe essere capace, secondo Drexler, di costruire, atomo per atomo, qualsiasi cosa, compreso repliche di se stesso. L’idea di procedere alla costruzione di macchine molecolari atomo per atomo non è però condivisa dai chimici, che la considerano assolutamente non realistica. I chimici, infatti, sapendo che gli atomi sono specie molto reattive e che, quindi, non possono essere ‘presi’ da un materiale e ‘portati’ su un altro, come fossero semplici mattoni, pensano che la costruzione dal basso di congegni e macchine a livello nanometrico si possa e si debba fare molecola per molecola, partendo da molecole programmate. Essi sanno anche che sarebbe folle cercare di imitare quanto avviene in natura, dove le macchine molecolari si formano per autoassemblaggio e sono di estrema complessità. Quello che si può fare nel campo delle nanomacchine artificiali, almeno allo stato attuale, è progettare e costruire sistemi molto semplici, costituiti da pochi componenti molecolari.

3.1 Progettazione

La fase della progettazione è, ovviamente, la più delicata e in quest’ambito è particolarmente critico l’aspetto che riguarda il tipo di energia da usare per far operare la nanomacchina. Infatti, come per le macchine del mondo macroscopico, anche per le macchine molecolari è possibile ottenere movimento solo se si fornisce energia. Per la maggior parte delle macchine del mondo macroscopico l’energia necessaria è prodotta da reazioni fra ossigeno e sostanze ad alto contenuto energetico (combustibili), fatte avvenire in motori detti a combustione interna. Ovviamente, reazioni di questo tipo, che comportano alte temperature ed elevate pressioni, non possono essere usate per alimentare le fragili macchine molecolari, le quali, tuttavia, possono sfruttare reazioni chimiche, purché avvengano in condizioni blande. Questo, infatti, è proprio quello che succede nelle nanomacchine biologiche, dove le reazioni di combustione che generano l’energia necessaria al loro funzionamento procedono attraverso molti stadi successivi, in ciascuno dei quali è messa in gioco solo una piccola quantità di energia. Comunque, a parte questa differenza tecnica, rimane il fatto che sia le macchine macroscopiche che quelle biologiche funzionano consumando un combustibile. Questo, inevitabilmente, comporta la formazione di prodotti di scarto, la cui eliminazione è condizione necessaria per preservare il buon funzionamento della macchina stessa.

Le ricerche condotte sulle macchine molecolari artificiali hanno mostrato che è possibile far funzionare questi sistemi non solo fornendo energia chimica (utilizzando cioè opportuni reagenti in grado di indurre reazioni acido-base o di riduzione-ossidazione), ma anche, e in modo più conveniente, mediante energia elettrica o luminosa. La prima viene fornita mediante elettrodi e agisce inducendo reazioni redox, mentre la seconda può operare indirettamente, provocando reazioni acido-base o redox, oppure direttamente, tramite reazioni di fotoisomerizzazione che causano grandi cambiamenti conformazionali. Queste due forme di energia sono particolarmente interessanti in quanto sistemi opportunamente scelti possono operare senza formare prodotti di scarto.

Altro aspetto critico in fase di progettazione è quello che riguarda la necessità di controllare in modo soddisfacente i movimenti delle nanomacchine artificiali e a tal scopo è opportuno che siano verificati quattro requisiti fondamentali: 1) il sistema deve possedere solo due situazioni strutturalmente stabili, osservabili mediante segnali ben distinti; 2) una delle due strutture deve essere più stabile dell’altra, così da avere una condizione iniziale in cui è presente una sola di esse; 3) con uno stimolo esterno deve essere possibile destabilizzare la struttura iniziale e costringere il sistema a riorganizzarsi nell’altra; 4) con un secondo stimolo esterno deve essere possibile annullare l’effetto destabilizzante e ritornare alla struttura originale.

3.2 Esempi di Nanomacchine Artificiali

Per ragioni di spazio, saranno illustrati soltanto alcuni esempi tipici che, in analogia con quanto visto per le nanomacchine naturali, sono suddivisi in base al tipo di movimento effettuato.

3.2.1 Movimenti lineari

La maggior parte delle ricerche nel campo delle macchine molecolari artificiali capaci di compiere movimenti lineari è attualmente concentrata su sistemi chiamati rotassani (v. fig. 3a e b). Un rotassano è un sistema formato da una molecola ad anello infilata in una molecola filiforme; alle estremità del quale vi sono due gruppi ingombranti (stopper) per impedire lo sfilamento dell’anello. Sistemi di questo genere, se accuratamente progettati, possono, mediante l’uso di opportuni stimoli energetici, effettuare movimenti meccanici come quelli mostrati nella fig. 3.

Figura 3. Esempi di movimenti che possono essere ottenuti in rotassani (a e b) e catenani (c).

Figura 3. Esempi di movimenti che possono essere ottenuti in rotassani (a e b) e catenani (c).

Di seguito sono illustrati alcuni esempi di macchine molecolari basate su tali sistemi, scelti anche per evidenziare come sia possibile utilizzare vari tipi di energia per far avvenire il movimento meccanico.

Una navetta azionata da energia chimica. In un rotassano, il movimento dell’anello lungo il filo (v. fig. 3b) corrisponde, a livello molecolare, al movimento di una ‘navetta’ (shuttle) lungo un binario. Un esempio di questo tipo è rappresentato dal rotassano mostrato in fig. 4, formato dall’anello A e dal componente lineare B, in cui sono presenti due unità diverse, B1 e B2.

Figura 4. Una ‘navetta’ molecolare azionata da protoni.

Figura 4. Una ‘navetta’ molecolare azionata da protoni.

La prima unità è costituita da un ammonio secondario, che può essere deprotonato reversibilmente ad ammina, mentre la seconda è formata dal dicatione dipiridinio, che ha caratteristiche di elettron-accettore. Queste unità rappresentano due potenziali ‘stazioni’ per l’anello A, dal momento che esso può interagire sia con B1, grazie alla formazione di legami a idrogeno, che con B2, dando un’interazione di tipo elettron donatore-accettore. Poiché il primo tipo di interazione è più forte del secondo, l’anello si trova inizialmente sulla stazione B1. Se, però, alla soluzione contenente il rotassano viene aggiunta una base, l’unità ammonio B1 viene deprotonata e perde così la capacità di formare legami a idrogeno con l’anello A; come conseguenza, l’anello si sposta sulla stazione B2, con la quale può dare interazioni donatore-accettore. Se poi, a questo punto, si aggiunge alla soluzione un acido, l’unità ammonio B1 viene ricostituita e l’anello A torna su questa stazione. Il movimento alternato di A fra B1 e B2 può essere ripetuto molte volte, perché la reazione acido-base che lo governa è perfettamente reversibile. L’unica limitazione deriva dal fatto che le successive aggiunte di base e di acido comportano la formazione di sostanze che, alla lunga, compromettono il funzionamento del sistema.

Una navetta controllata da energia luminosa. Lo stato di sofisticazione raggiunto dalla progettazione e dalla sintesi delle macchine molecolari è chiaramente evidenziato dalla complessità strutturale e funzionale del sistema mostrato nella fig. 5. Si tratta di un rotassano costituito da un componente ad anello C, con caratteristiche di elettron-donatore, e da un componente lineare formato da: il complesso [Ru(bpy)3]2+ (D), che svolge sia la funzione di stopper che quella fondamentale di assorbire la luce utilizzata dal sistema per operare; uno spaziatore rigido E; un’unità 4,4’-dipiridinio (F1) e un’unità 3,3’-dimetil-4,4’-dipiridinio (F2), che avendo entrambi caratteristiche elettron-accettrici svolgono il ruolo di ‘stazioni’ per l’anello C; e infine un secondo stopper G. La situazione iniziale del sistema è quella in cui l’anello C circonda l’unità F1, che è un elettron-accettore migliore di F2. In seguito ad eccitazione luminosa del componente [Ru(bpy)3]2+ avvengono nel sistema una serie di movimenti elettronici e nucleari (v. fig. 5) che possono essere descritti molto schematicamente nel modo seguente.

Figura 5. Una ‘navetta’ molecolare controllata da energia luminosa.

Figura 5. Una ‘navetta’ molecolare controllata da energia luminosa.

In seguito all’assorbimento di luce (processo 1) si ottiene uno stato eccitato di D che trasferisce un elettrone alla stazione F1 (processo 2) circondata dall’anello C. Questo trasferimento elettronico fa sì che la stazione F1 perda le caratteristiche di elettron-accettore, il che destabilizza la sua interazione con C; l’anello si muove allora sulla stazione F2 (processo 3); a questo punto un trasferimento elettronico, opposto a quello fotoindotto, dalla stazione ridotta F1,rid (non più circondata da C) all’unità fotoattiva ossidata Doss (processo 4) ripristina il carattere elettron-accettore della stazione F1; in seguito a questo reset elettronico, l’anello C torna sulla stazione F1 (processo 5), riportando il sistema alla struttura iniziale.

In conclusione, ogni impulso luminoso causa, attraverso quattro stadi, il movimento alternato dell’anello lungo il filo senza generare prodotti di scarto, così che questo sistema può essere considerato un motore lineare a quattro tempi, azionato dalla luce.

Un ascensore nanometrico – L’esperienza acquisita con i più semplici prototipi di nanomacchine artificiali ha permesso di progettare e costruire sistemi di complessità sempre maggiore. Ad esempio, lo sviluppo in senso tridimensionale della navetta controllata da energia chimica (v. fig. 4) ha portato alla costruzione di quello che può essere definito un ‘ascensore’ nanometrico. Come mostrato in fig. 6a, esso è costituito da un componente a tre braccia H, ciascuna delle quali contiene due stazioni, uno ione ammonio e uno ione dipiridinio, e da una piattaforma molecolare I ottenuta dalla ‘fusione’ di tre anelli. Quando i due componenti si trovano assieme in soluzione, le tre braccia di H si infilano nei tre anelli di I; si ottiene così una struttura a triplo pseudorotassano, stabilizzata da forti legami a idrogeno, in cui i tre anelli di I circondano le tre stazioni ammonio di H. Se però si aggiunge una base, le unità ammonio vengono deprotonate, i legami a idrogeno vengono rotti e, di conseguenza, gli anelli si spostano sulle unità dipiridinio, con le quali danno un’interazione donatore-accettore; per successiva aggiunta di acido è possibile far tornare il sistema alla struttura iniziale. Schematicamente (v. fig. 6b), il sistema può quindi essere rappresentato come una piattaforma incardinata a tre colonne che sale e scende fra due piani in seguito a stimoli (comandi) provenienti dall’esterno.

Figura 6. Un ‘ascensore’ nanometrico. (a) Componenti molecolari; (b) schema di funzionamento.

Figura 6. Un ‘ascensore’ nanometrico. (a) Componenti molecolari; (b) schema di funzionamento.

3.2.2 Movimenti rotatori

Rotazione di un anello azionata da energia elettrica. Un catenano è un sistema formato da due molecole ad anello incatenate una all’altra in cui, in seguito a un’opportuna progettazione, è possibile far ruotare un anello rispetto all’altro (v. fig. 3c). Per evidenziare questo movimento, però, occorre che almeno uno dei due anelli sia non simmetrico, come è appunto il caso del sistema illustrato nella fig. 7. Tale catenano è costituito dall’anello J, che contiene due unità J1 uguali ed elettron-accettrici, e dall’anello K, che contiene due unità elettron-donatrici diverse, K1 ed K2, con K1 più forte di K2. La struttura stabile è quella in cui l’unità K1 è contenuta all’interno dell’anello J; una tale struttura permette, infatti, l’interazione di K1 con entrambe le unità J1 dell’anello. Per far ruotare l’anello è necessario destabilizzare questa struttura; ciò può essere ottenuto con uno stimolo elettrochimico che, togliendo un elettrone all’unità K1, annulla la sua proprietà di donare elettroni. La struttura più stabile diventa, allora, quella con l’unità K2 all’interno dell’anello J, situazione che viene raggiunta per rotazione di 180° dell’anello K. A questo punto, se l’elettrone precedentemente tolto viene restituito, sempre mediante uno stimolo elettrochimico, all’unità K1, essa riacquista le sue caratteristiche elettron-donatrici e, di conseguenza, l’anello K ruota nuovamente ripristinando la struttura iniziale. Sistemi tipo quello appena descritto, benché molto interessanti, sono limitati dal fatto che è impossibile dire se i due movimenti dell’anello K corrispondono a una rotazione completa oppure a due semirotazioni con senso opposto.

Figura 7. Un catenano in cui è possibile, mediante uno stimolo elettrochimico, far ruotare un anello rispetto all’altro.

Figura 7. Un catenano in cui è possibile, mediante uno stimolo elettrochimico, far ruotare un anello rispetto all’altro.

Un motore rotante azionato dalla luce. Un interessante esempio di motore rotante nanometrico artificiale azionato soltanto dalla luce è quello illustrato nella fig. 8. È noto che, allo stesso modo dei composti aventi un doppio legame -N=N-, anche quelli che contengono un doppio legame -C=C- (ad esempio lo stilbene: v. fig. 8a) possono esistere come isomeri trans e cis. In sistemi di questo tipo l’eccitazione luminosa di uno dei due isomeri, ad esempio dell’isomero trans, può causare la rotazione di 180° di una delle due subunità molecolari, con formazione dell’isomero cis. L’eccitazione di quest’ultimo può poi ripristinare l’isomero trans iniziale, tramite una successiva rotazione di 180°. In composti semplici come lo stilbene la direzione del moto rotatorio è casuale, per cui non è affatto detto che la trasformazione trans ® cis ® trans avvenga attraverso una rotazione completa (cioè di 360° nello stesso senso); la trasformazione cis ® trans, infatti, può comportare una rotazione di 180° in senso opposto a quello della trasformazione trans ® cis. È stato, tuttavia, sintetizzato un composto più complesso (L, rappresentato in fig. 8b) in cui, a causa di impedimenti sterici, sia l’isomero trans che quello cis non sono planari ed esistono ciascuno in due configurazioni ‘distorte’ (isomeri chirali). Questa particolarità facilita la rotazione in un senso rispetto all’altro rendendo così possibile una rotazione fotoindotta completa di 360°.

Figura 8. (a) Composti aventi un doppio legame C=C, che possono esistere in due forme isomeriche interconvertibili mediante l’eccitazione luminosa. (b) Composto opportunamente progettato per ottenere una rotazione completa in seguito a stimoli luminosi.

Figura 8. (a) Composti aventi un doppio legame C=C, che possono esistere in due forme isomeriche interconvertibili mediante l’eccitazione luminosa. (b) Composto opportunamente progettato per ottenere una rotazione completa in seguito a stimoli luminosi.

 

4. Conclusioni

Le macchine molecolari artificiali discusse negli esempi sopra riportati sono interessanti non solo per il loro aspetto meccanico, ma anche dal punto di vista informatico. Esse, infatti, possono esistere in due stati distinti e convertibili mediante stimoli esterni di natura luminosa, chimica o elettrica. Su questi sistemi, dunque, si possono ‘scrivere’ informazioni secondo la logica binaria. Lo stato in cui si trova il sistema, d’altra parte, può essere ‘letto’ facilmente, poiché alcune sue proprietà (ad esempio, l’assorbimento o l’emissione di luce di specifica lunghezza d’onda) cambiano drasticamente nel passaggio da uno stato all’altro. Alcuni scienziati vedono in queste e in altre ricerche collegate i primi passi verso la costruzione di una nuova generazione di computer (computer chimici) che, basandosi su componenti di dimensioni nanometriche, potrebbero offrire prestazioni molto superiori a quelle dei calcolatori oggi in uso. La cosa, forse, non stupisce più di tanto se si pensa alle capacità di quello stupefacente computer chimico che è il cervello dell’uomo.

Bisogna anche sottolineare che tutto quanto è stato qui descritto si riferisce a sistemi studiati in soluzione, dove un numero molto grande di nanomacchine, in seguito allo stimolo ricevuto, compiono la stessa funzione, ma operano individualmente e indipendentemente l’una dall’altra. Si tratta, cioè, di sistemi incoerenti e, come tali, difficili da utilizzare per taluni scopi pratici. Dopo questo essenziale primo passo, che ha permesso di dimostrare che è possibile progettare e costruire macchine nanometriche, si possono però organizzare le nanomacchine in modo da interfacciarle col mondo macroscopico. Questo può essere realizzato, ad esempio, facendo aderire un certo numero (ad esempio, qualche centinaia) di macchine, tutte nello stesso senso, su una superficie, in modo da ottenere un insieme, ancora nanometrico, in cui il movimento (ad esempio, lo spostamento di un anello in un rotassano), avvenga in fase per tutte le molecole dell’insieme, così che la variazione nelle proprietà delle singole macchine divenga un fenomeno collettivo misurabile. Tentativi in questa direzione sono in atto in numerosi laboratori. Alternativamente, si può pensare di operare su una singola macchina, fissata e orientata su un supporto; questo approccio, però, comporta il superamento di notevoli difficoltà, dovute al fatto che il segnale di una singola macchina è molto debole.

 

Bibliografia

  • P. Feynman, “There’s plenty of room at the bottom”, Engeneering and science, 1960, vol. 23, pp. 22-36: il testo del celebre discorso di Richard Feynman all’American Physical Society, disponibile anche presso http://www.its.caltech.edu/~feynman/plenty.html.
  • S. Goodsell, Bionanotechnology: Lessons from nature, Wiley, Hoboken, 2004: un viaggio meravigliosamente illustrato nelle nanomacchine naturali.
  • E. Drexler, Engines of creation. The coming era of nanotechnology, Anchor Press, New York, 1986: un testo visionario e controverso sulle potenzialità delle nanotecnologie.
  • E. Smalley, “Chimica, amore e nanorobot”, Le Scienze, 2001, n. 398, pp. 58-59: una riflessione sulle nanotecnologie dal punto di vista di un chimico, in aperta polemica con K. E. Drexler.
  • V. Balzani, A. Credi, M. Venturi, “Congegni e macchine molecolari. Parte prima: l’approccio dal basso” e “Parte seconda: chimica supramolecolare”, La Chimica e l’Industria, Maggio 2003, vol. 85, pp. 55-58, e Giugno 2003, vol. 85, pp. 61-65: una discussione sulla possibilità di costruire nanomacchine utilizzando le molecole come componenti.
  • V. Balzani, A. Credi, M. Venturi, “Nanomacchine azionate dalla luce”, Le Scienze Dossier: Nanotecnologie, 2002, n. 11, pp. 83-87: un breve articolo sulla realizzazione di macchine molecolari azionate da stimoli luminosi.
  • V. Balzani, A. Credi, M. Venturi, Molecular devices and machines: concepts and perspectives for the nanoworld, Wiley-VCH, Weinhem, 2008: un libro che presenta l’approccio chimico alla nanotecnologia e ne illustra lo stato dell’arte con numerosi esempi di dispositivi molecolari.