Make Atmospheric Carbon Levels Great Again? No, grazie Trump

L’uomo d’affari repubblicano e star televisiva Donald Trump sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti d’America (USA). La sua elezione porterà inequivocabilmente a una serie di offensive a un gran numero di questioni di natura politico-strategica e di sicurezza nazionale e internazionale. Nessuna delle offensive avrà un impatto globale così potente come quella al multilateralismo, che in passato — tra luci e ombre — ha comunque consentito un clima di governance, trasparenza e responsabilità rispetto a una serie di questioni chiave, dal commercio internazionale alla regolazione dei flussi migratori, dalla risoluzione dei conflitti al riscaldamento globale.

Sul tema del riscaldamento globale, in dichiarazioni precedenti alla sua nomination e nel corso della campagna elettorale, il Presidente eletto Trump, ostinato climate change denier, ha definito il riscaldamento globale “bullshit” (una stronzata), una “bufala”, “creata da e per i cinesi al fine di rendere non competitiva l’industria manifatturiera degli USA”.
È dunque ovvio che all’indomani della sorprendente vittoria, in molti si chiedano se una volta insediatosi alla Casa Bianca, realmente il magnate newyorkese darà seguito alle tante dichiarazioni fatte in campagna elettorale e se cambierà drasticamente le strategie e le politiche energetiche e climatiche degli USA: davvero ritirerà la ratifica USA dell’accordo di Parigi e della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici? Siamo giunti al ‘game over’ per il clima e per qualsiasi speranza di combattere i cambiamenti climatici?

Lo scorso settembre gli USA avevano ratificato, con un “executive agreement” del Presidente Obama, il Paris Agreement, l’accordo che impegna i Paesi firmatari a contenere l’aumento della temperatura media globale “ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali e di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C” e di giungere progressivamente a un’economia globale a zero emissioni di carbonio, possibilmente nella seconda metà del secolo in corso. La ratifica degli USA e, in contemporanea, della Cina (rispettivamente primo e secondo emettitore mondiale di gas-serra, insieme responsabili del 39 percento delle emissioni mondiali) avevano generato un impetus e un contagio positivo che avevano consentito di superare le due soglie 55/55 (minimo numero di Paesi e di percentuale di emissioni di gas-serra rispetto al totale mondiale). Agli inizi di novembre 2016 è entrato in vigore l’accordo di Parigi, in tempo utile perché se ne avviasse il processo di realizzazione già in occasione della Conferenza delle nazioni della Convenzione sui cambiamenti climatici (tenutasi nella prima metà di novembre a Marrakesh) e prima dell’insediamento del prossimo Presidente USA, che avverrà il 20 gennaio 2017. Insieme alla ratifica, Barack Obama aveva fatto recapitare al segretariato dell’ONU il suo Clean Power Plan, che prevede un taglio delle emissioni federali tra il 26 per cento e il 28 per cento rispetto ai livelli del 2005 entro il 2025 e lo spegnimento delle centrali elettriche a carbone entro il 2020 (https://www.gpo.gov/fdsys/pkg/FR-2015-10-23/pdf/2015-22842.pdf).

Il Clean Power Plan aveva scatenato uno tsunami da parte dei repubblicani e delle imprese del fossile. Ventisette Stati hanno citato in giudizio l’amministrazione Obama per bloccarlo. Ed effettivamente la Corte Suprema l’ha bloccato, in attesa dell’esito del ricorso. Viceversa, circa 400 imprese (tra cui Unilever, L’Oréal, Levi Strauss, Staples e la società di energia rinnovabile SunEdison) e decine d’investitori (tra cui Trillium Asset Management, che gestisce asset per oltre 2 miliardi di beni) sono uscite allo scoperto per sostenere con forza la legittimità del piano congegnato dall’EPA, guidata da Gina McCarthy, sostenendo che esso avrebbe generato benefici per l’economia e per l’occupazione. Andrew Steer, presidente del World Resources Institute, aveva affermato: “Il piano USA per l’energia pulita dovrebbe rassicurare i partner internazionali che l’amministrazione americana è determinata a raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas-serra del 26-28% entro il 2025”. Poi ha aggiunto: “La nostra analisi suggerisce che il piano voluto da Obama può essere reso operativo, non vi sono ostacoli tecnologici o finanziari, e promuovere al tempo stesso l’occupazione e la prosperità economica del Paese”. A queste voci si è aggiunta quella di Nicholas Stern, il noto economista autore dell’altrettanto noto rapporto sugli aspetti economici del cambiamento climatico: “Questo piano dimostra la determinazione del Paese più ricco del mondo a perseguire la crescita economica, ma anche di ridurre le emissioni di gas a effetto serra”. Poi ha aggiunto: “Va dato merito al presidente Obama di aver riconosciuto gli enormi danni causati alla salute umana dall’inquinamento derivante dalla combustione del carbone nelle centrali elettriche”. Nel 2009 l’EPA dichiarò che le emissioni di gas-serra rappresentavano un «un rischio per la salute umana e per il benessere di questa e delle future generazioni», che esse erano alla base dell’effetto serra ed erano causate dalle attività umane. Dal punto di vista politico l’EPA ha fornito una straordinaria base d’appoggio per le successive misure dalla Casa Bianca, in primis il Clean Air Act, indirizzate alla riduzione delle emissioni di gas-serra poiché servivano a tutelare la salute umana.

Durante la campagna elettorale Donald Trump aveva promesso che, qualora eletto, avrebbe ritirato la ratifica USA dell’accordo di Parigi e le misure contenute nel Clean Power Plan, la pietra miliare della politica energetica e climatica di Obama. Diversamente, al centro del pensiero energetico e climatico di Trump c’è l’intensificazione della produzione di carbone, petrolio e gas naturale e la “completa indipendenza energetica americana”. Nel mese di maggio, Trump aveva indossato il casco da minatore di carbone ad un raduno in West Virginia, uno stato con una storica tradizione estrattiva, per sottolineare il suo messaggio che la “guerra al carbone” lanciata da Obama era finita e che il lavoro sarebbe ripartito di nuovo per l’industria colpita. Infine Trump ha promesso che avrebbe smantellato l’Environment Protection Agency (EPA) per il ruolo che ha avuto nella redazione dei programmi energetico-climatici della amministrazione uscente e specialmente del Clean Air Act.

In più, Trump ha ribadito la sua intenzione di eliminare le restrizioni introdotte da Obama sul fracking (idro-fratturazione) e di voler completare la Keystone Pipeline, il progetto di oleodotto che gli ambientalisti e le comunità native hanno combattuto duramente, riuscendo a convincere l’amministrazione Obama a bloccarlo. Il suo percorso tra la provincia canadese dell’Alberta e il Nebraska negli USA avrebbe danneggiato irreparabilmente preziosi e fragili habitat. E non basta. Nei giorni scorsi Trump ha confermato di voler tagliare gli aiuti USA ai programmi ONU sui cambiamenti climatici e i fondi alla ricerca scientifica sul clima, di voler sopprimere l’EPA o al minimo di “riorientarla verso la sua missione fondamentale: garantire aria pulita, acqua potabile pulita e sicura per tutti gli americani”. Trump ha anche detto che la sua amministrazione si concentrerà sulle “sfide ambientali reali, non quelle fasulle.. In un’intervista, Myron Ebell, che a gennaio prossimo subentrerà a Gina McCarthy alla guida dell’EPA, ha auspicato un maggiore sviluppo dei combustibili fossili e ha criticato le politiche climatiche dell’amministrazione Obama. Durante il suo precendete incarico presso il Competitive Enterprise Institute, un think-tank conservatore finanziato da ExxonMobil e altri gruppi energetici, Ebell ha sostenuto che la Terra si sta sì riscaldando, ma in misura esigua e insignificante, forse a causa dell’influenza umana. E comunque, ha affermato Ebell, il cambiamento climatico non sarà un problema per i prossimi 100-200 anni, il Clean Power Plan è illegale e l’obiettivo dovrebbe essere quello di sviluppare l’accesso globale a tutte le fonti energetiche, quelle fossili in primis.

Intanto, il petroliere miliardario Harold Hamm è indicato come prossimo segretario per l’energia e l’ex candidata alla vicepresidenza Sarah Palin come segretario per gli affari interni. Se così sarà, la leader del Tea Party assumerà la responsabilità sul demanio degli USA, che include i parchi nazionali di Yellowstone e Yosemite. Non proprio una bella prospettiva per le associazioni e i movimenti ambientalisti: Palin è una entusiasta sostenitrice di trivellazione petrolifera e del gas e definisce i combustibili fossili “beni che Dio ha sotterrato su questa parte della Terra a beneficio dell’umanità”.

Le più recenti e autorevoli valutazioni scientifiche pongono particolare enfasi sugli effetti tangibili dei cambiamenti climatici, tra cui la crescente severità con cui si presentano gli estremi climatici (ondate di calore, siccità, alluvioni, inondazioni e intrusione marina). Queste valutazioni dicono che c’è un’urgenza di ridurre le emissioni di CO2 e altri gas-serra, perché la loro longevità nel sistema climatico e la persistenza del conseguente riscaldamento potrebbero condurre a inevitabili e molto indesiderabili conseguenze, tra cui lo scioglimento dei ghiacci polari e alpini, l’innalzamento del livello dei mari, la riduzione della produzione agricola, la migrazione di specie e la scomparsa di habitat, l’acidificazione egli oceani.

L’accordo di Parigi ha accolto l’obiettivo minimo di contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali ed evitare quindi pericolose, devastanti e caotiche interferenze con il sistema climatico. La maggior parte della comunità scientifica ritiene che questo target non sarà comunque sufficiente a salvare i Paesi più vulnerabili del mondo, tra cui quelli delle piccole isole del Pacifico, dal caos climatico, dall’innalzamento del livello degli oceani e dalla scomparsa di ecosistemi come le barriere coralline. Per questo a Parigi fu anche deciso di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C.

Per rispettare l’impegno di Parigi la comunità mondiale dovrà ridurre progressivamente l’uso di combustibili a base di carbonio, attraverso l’adozione di pratiche di maggiore efficienza energetica e lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, giungendo in questo modo a stabilizzare la concentrazione di questi gas al di sotto di una soglia di sicurezza. Agli inizi di novembre 2016 la concentrazione atmosferica di CO2 ha raggiunto 402 parti per milione (ppm), 122 ppm in più dell’era pre-industriale. Per stare sotto 1,5 °C di riscaldamento molto esponenti della comunità scientifica ritengono che dovremmo ridurre la concentrazione di gas serra in atmosfera a non più di 350 parti per milione di CO2.

Dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi c’è già stato un riscaldamento di 1,0 °C. A metà novembre la World Meteorological Organization ha dichiarato che molto probabilmente il 2016 diventerà l’anno più caldo da quando sono in uso gli strumenti di misurazione del clima, 1,2 °C in più rispetto alla media della temperatura media globale dell’era pre-industriale.
In mancanza di politiche e misure per piegare il trend di emissioni dei gas-serra, gli scenari proposti dal quinto rapporto di valutazione dell’IPCC prevedono un riscaldamento fino a 5-6 °C. Contrariamente, ammesso che tutti i Paesi rispettino i loro impegni di riduzione, il riscaldamento atteso dell’atmosfera oscillerebbe tra 2,7 e 3,5 °C.

Alcuni studi hanno stimato che per cogliere il target di 2 °C è necessario che il livello globale dei gas serra raggiunga il culmine entro il 2020 (possibilmente sotto i 50 miliardi di tonnellate di CO2eq) e declini sino a 21 miliardi di tonnellate di CO2eq entro il 2050. L’IPCC, l’organo scientifico chiamato dall’ONU a formulare le basi scientifiche del cambiamento climatico, comprendere gli impatti e fornire proposte per la mitigazione, l’adattamento e la gestione del rischio, ha detto chiaramente che bisogna fermare l’estrazione delle fonti fossili di energia e annullarle entro la fine del secolo in corso. Per cominciare, nell’arco di cinque anni ogni centrale a carbone dovrà essere chiusa. Esattamente quello che il Clean Power Plan intende fare negli USA.

Intanto le emissioni globali di gas-serra continuano ad aumentare, poiché i combustibili fossili rimangono la fonte primaria di energia. Nel 2014 sono state emessi gas-serra per circa 39 miliardi di tonnellate di CO2eq, di cui il 91% deriva dalla combustione delle fonti fossili di energia. Queste ultime emissioni provengono da carbone (42%), petrolio (33%), gas (19%), cemento (6 %) e gas flaring (1%). Le variazioni di uso del suolo (principalmente deforestazione) sono responsabili di circa il 9% di tutte le emissioni globali di CO2.

Di fronte a questo scenario la posta in gioco per gli USA e il mondo intero è gigantesca. Esiste il rischio di lanciare nel caos tutti gli sforzi internazionali (inclusi quelli scientifici) e gli investimenti per ridurre le emissioni di gas serra, per costruire una società globale a basso tenore di carbonio e restituire una giustizia climatica, ambientale ed energetica. Di là delle sue spacconate e dei suoi rozzi attacchi, il negazionismo climatico di Donald Trump è preoccupante, può diventare dottrina dentro la Casa Bianca e rivelarsi il segno distintivo della sua presidenza. (In realtà Trump deve sapere abbastanza dei cambiamenti climatici in corso e se ne preoccupa pure, anche se per propri interessi commerciali, visto che ha deciso di far costruire una diga per difendere dalle mareggiate e dall’innalzamento del livello del mare il suo esclusivo campo da golf nella contea di Clare, in Irlanda).
I conservatori statunitensi si stanno già stropicciando le mani per la contentezza nella prospettiva che il regolamento su clima e energia voluto da Obama e la ratifica dell’Accordo di Parigi siano dati alle ortiche e che si inneschi un effetto domino catastrofico su altri Paesi.

Eppure Trump dovrà fare i conti con una realtà diversa. Il Paris Agreement, nel suo complesso, aveva inviato un messaggio forte a imprese, investitori e cittadini: l’era della dipendenza delle economie dalle fonti fossili di energia è alle spalle, mentre per il futuro l’energia che alimenta la crescita economica potrà essere solo rinnovabile e pulita. Nel 2014, il consumo e le emissioni di carbonio legate alla produzione di energia era sceso per la prima volta dopo decenni di costante crescita e sono continuate a scendere nel 2015. A scala globale, stiamo vivendo un boom dell’energia solare ed eolica. Negli ultimi anni, il ritmo di crescita delle energie rinnovabili nei paesi in via di sviluppo e di recente industrializzazione è stato superiore a quello dei paesi industrializzati. Nello stesso periodo di 12 mesi, l’industria petrolifera statunitense ha perso 67 miliardi di dollari. Nel 2015 quasi 100 centrali a carbone sono state chiuse e i due terzi di tutta la nuova produzione di energia elettrica derivano dalle fonti rinnovabili, principalmente a causa del forte calo del costo di energia solare ed eolica. I prezzi dei moduli solari, per esempio, sono diminuiti del 70 per cento negli ultimi dieci anni. In generale, la dipendenza dalle energie rinnovabili sta diventando una proposta economicamente attraente per le imprese, dal ogni punto di vista. Inoltre l’accordo stimola investimenti per trilioni di dollari sull’adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici.

Rispetto all’occupazione, lo spettro agitato da Trump sulla perdita di lavoro in regioni e nazioni tradizionalmente minerarie come effetto delle politiche energetiche e climatiche di Obama non corrisponde alla realtà. L’industria dei combustibili fossili non è in grado di offrire posti di lavoro sicuri in un periodo come questo di forte declino (nonostante le migliaia di miliardi che riceve in sussidi pubblici). Questi posti di lavoro non sono solo incerti, sono spesso pericolosi. L’estrazione di combustibili fossili porta le comunità locali che dipendono da una risorsa limitata in balia d’imprese i cui interessi primari sono il profitto. Quando i giacimenti fossili saranno esauriti, le aziende si dilegueranno, lasciando dietro di loro solo inquinamento e degrado. Le fonti rinnovabili viceversa possono offrire posti di lavoro sicuri, di lungo termine, non legati a specifici siti di estrazione e possono generare forme democratiche e diffuse di produzione dell’energia. La produzione di carbone degli USA è crollato del 10% nel 2015, con una contrazione della forza lavoro del settore estrattivo del 12%. Questo declino è stato causato dalle forze del mercato, non dalla regolamentazione restrittiva. E non sarà l’autoritarismo di Trump a cambiare direzione a questa dinamica in atto. Gli stati di New York e della California hanno già varato i propri piani di riduzione delle emissioni; alcuni stati tradizionalmente conservatori, come l’Iowa, stanno abbracciando l’energia eolica e fotovoltaica e le innovazioni che vengono da aziende guida come Tesla.

Nei giorni scorsi, i gruppi ambientalisti e gli scienziati hanno reagito con veemenza alle affermazioni di Trump e Ebell. Né è bastata l’intervista di Donald Trump al Times di New York a tranquillizzare i loro animi e preoccupazioni, lo scorso 23 novembre, dove è sembrato che la tradizionale posizione granitica da climate-change denier del Presidente eletto mostrasse qualche scricchiolio, affermando di avere ancora una “idea aperta” rispetto al Paris Agreement e riconoscendo che forse c’è qualche collegamento tra le attività umane e i cambiamenti climatici (“I think there is some connectivity. Some, something. It depends on how much”). Nella stessa intervista Donald Trump aveva tuttavia ribadito che nei suoi primi 100 giorni di amministrazione sarebbero stati cancellati i programmi di aiuto ai Paesi in via di sviluppo per mitigare e adattarsi al cambiamento climatico e che avrebbe eliminato le restrizioni introdotte da Obama sui fondi per l’esplorazione dei combustibili fossili. “Invertire le nostre politiche energetiche e le attuali normative, solo per placare alcuni interessi particolari, sarebbe un disastro ambientale, significherebbe causare danni alla salute dei cittadini e fare un grande regalo alla Cina, che lascerebbe gli USA nella polvere nel percorso che porterà nei prossimi decenni alla transizione verso una società a basso tenore di carbonio”, ha affermato Enric Sala, uno dei fondatori del progetto Explorer-in-Residence della National Geographic Society e del progetto Pristine Seas.

Viceversa, c’è già chi disinveste dal fossile. Dopo l’Accordo di Parigi sono cresciute dopo giorno ogni giorno le istituzioni che ritirano azioni, obbligazioni e fondi d’investimento dalle compagnie del petrolio, del carbone e del gas, per ragioni morali oltre che finanziarie. Queste istituzioni comprendono i governi centrali (Norvegia), le università (per esempio Oxford e Edimburgo), le istituzioni religiose, i fondi pensione, gli enti locali e le fondazioni di beneficenza. E lo fanno per motivi non solo morali, ma anche finanziari. Gli investitori preferiscono finanziare modelli di business sostenibili e di lotta al cambiamento climatico, piuttosto che investire il loro patrimonio finanziario su un modello energetico che rischia di diventare inutile.

Infine, dubito che gli USA vorranno venire meno alla firma del Paris Agreement o ancora peggio a quella della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici. Se così fosse la credibilità, la posizione diplomatica e la fiducia che gli altri stati hanno nei confronti degli USA potrebbero inevitabilmente diminuire e i circoli che contano potrebbero escluderli dalle trattative future all’interno del processo multilaterale sul clima.

In uno dei momenti cruciali della storia del suo Paese, il leader dei diritti civili Martin Luther King ebbe a dire: “The arc of the moral universe is long, but it bends toward justice” [L’arco dell’universo morale è ampio, ma comunque tende verso la giustizia]. Dopo gli esiti della consultazione elettorale negli USA, questa fondamentale verità rimane immutata. Dopo le ultime elezioni americane l’arco è diventato un po’ più lungo, come pure il tragitto per trovare le soluzioni al riscaldamento climatico e alla giustizia climatica. Ma ormai la strada è avviata. Le interferenze trumpiane potranno solo rallentare il cammino ormai avviato. Non ci sarà governo o capo di stato che potrà arrestare il momentum globale per contrastare il cambiamenti climatico, implementare il Paris Agreement e avviare la strada verso l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale sotto il limite indicato dalla scienza.

 

*Le opinioni espresse dall’autore sono personali e non riflettono necessariamente quelle dell’istituzione di appartenenza.