Italiani. Come il DNA ci aiuta a capire chi siamo

Chi siamo? Si tratta di un interrogativo universale, vecchio almeno quanto la nostra specie, Homo sapiens. Ci riguarda non solo come individui, ma anche come membri di una comunità che condivide modi di vivere e di pensare. Mette insieme due concetti che oggi sono divenuti di tremenda attualità: identità e diversità. In un’epoca in cui la cosiddetta globalizzazione annulla le distanze fisiche, le differenze nel colore della pelle, nella religione o nella posizione sociale, queste due parole sembrano racchiudere un’enorme forza disgregatrice. Ma proviamo a pensarci un attimo: siamo davvero sicuri di conoscere la diversità tra noi e chi ci circonda? Ne riusciamo a comprendere le cause profonde? E, poi, diversità e identità sono concetti antitetici così come sembra?

Per trovare una risposta, nel nostro libro “Italiani. Come il DNA ci aiuta a capire chi siamo”, pubblicato nella collana di Carocci “Città della Scienza”, siamo partiti da una domanda solo apparentemente banale: chi siamo noi Italiani? L’idea di partenza era di condividere quanto avevamo appreso nel corso di una ricerca sulla diversità genetica delle minoranze etno-linguistiche del nostro paese. Si tratta di gruppi poco conosciuti ma che rappresentano una parte importante, e spesso trascurata, del nostro paese e della sua storia: due milioni e mezzo di cittadini italiani che parlano una lingua albanese, catalana, croata, francese, franco-provenzale, friulana, tedesca, greca, ladina, occitana, slovena e sarda.

Man mano che procedevamo nella scrittura ci siamo però resi conto che per rendere vivo il nostro racconto non avremmo potuto limitarci solamente a riportare gli aspetti scientifici. Avevamo bisogno infatti di allargare il nostro sguardo, aggiungendo altre due dimensioni. Quella storica e culturale, innanzitutto. Questo era inevitabile perché ricostruire il nostro passato è come guardare un’immagine complessa attraverso un prisma: l’approccio giusto era quello di integrare ciò che è possibile vedere attraverso le diverse facce per avere una visione più nitida e profonda possibile. Per fare questo abbiamo tenuto conto non solo della prospettiva che ci poteva dare il DNA, ma anche di quella offerta da elementi più vicini al senso comune di storia, come le tradizioni o la lingua parlata. E poi, anche una dimensione interiore. Cercare di spiegare ai lettori il nostro modo di porci in relazione con coloro che abbiamo studiato attraverso il loro DNA, il rapporto umano che si è venuto a creare fra noi e i membri delle comunità. Trasmettere il nostro impegno nel cercare di cogliere le loro sensibilità e le loro aspettative, renderli partecipi a pieno titolo della ricerca e delle sue conclusioni. Insomma abbiamo cercato per quanto era nelle nostre possibilità di dare un’anima a qualcosa che in partenza poteva sembrare solo un’operazione scientifica e intellettuale.

La nostra conclusione, basata su dati genetici e conoscenze storiche e antropologiche, è che l’identità degli italiani non va cercata nei miti o nelle semplificazioni che parlano di  un’improbabile purezza. Al contrario, la spiegazione viene  proprio nella diversità che viene dalla capacità di noi italiani di riunire e armonizzare tante storie, anche lontane tra loro, come sono quelle dei gruppi alloglotti che abbiano studiato. Le ricerche condotte fino ad oggi documentavano già un passato profondo contrassegnato da innumerevoli influssi dall’Europa e non solo già dal Paleolitico. Grazie alla nostra indagine possiamo essere consapevoli del ruolo e dell’importanza del passato più recente. Le popolazioni di cui ci siamo interessati hanno contribuito al popolamento del nostro paese dal III secolo a.C. fino al XIX secolo d.C. e si sono perfettamente integrate nel tessuto sociale, mantenendo vive le loro tradizioni e la cultura. Ma hanno anche accresciuto la nostra diversità genetica, dando luogo a una ricchezza che spicca in tutto il contesto europeo. Tutto questo senza perdere le loro radici, ma arricchendo e valorizzando l’identità che tutti assieme, come Italiani appunto, condividiamo.

Questo tema, porta con se un’implicazione importante. Partendo proprio dalla consapevolezza di quanto forte sia il legame degli italiani con la loro diversità, ci chiediamo perché si continui a usare tra i principi del nostro agire sociale un termine, come quello delle “razze umane” che, mentre riduce le differenze tra gli esseri umani a poche categorie anacronistiche (come bianchi, neri e gialli), connota la diversità in senso discriminatorio. Nella sua accezione sociale il termine razza richiama inevitabilmente una gerarchia di valori tra le razze superiori e quelle inferiori, con gli Europei in cima e gli Africani in fondo. Ma continua a trovare posto nell’articolo 3 della Costituzione italiana.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Non siamo i primi a sollevare il punto, ma gli unici ad avere il coraggio o, secondo alcuni, la sfrontatezza di mettere nero su bianco una proposta di modifica:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di aspetto fisico e tradizioni culturali, di genere, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. La Repubblica non riconosce l’esistenza di presunte razze umane e combatte ogni forma di razzismo e xenofobia.

Badate, non è semplicemente una battaglia terminologica, e nemmeno un’iniziativa di un gruppo di illuminati per rimuovere dalla carta su cui si basa la nostra convivenza civile  un termine che veicola innegabilmente un’idea sbagliata della diversità dei gruppi umani. In prospettiva è molto di più. Una tappa fondamentale verso un processo più ampio di coinvolgimento e condivisione che passa attraverso l’impegno di ricercatori e cittadini nella società  per andare nella direzione dell’inclusione ma, e questo è fondamentale, tenendo fermi il rispetto assoluto di tutti i valori di democrazia, laicità e libera determinazione dell’individuo che sono nella nostra magnifica costituzione. Un passo verso diritti comuni e valori condivisi: “quanto sarebbe potente il messaggio che può dare una società la quale, mentre accoglie e integra, riesce a trasmettere il senso di una comunanza profonda che trascende le diversità”.