La polvere sotto i tappeti. COP22, Marrakech e la sostenibilità ambientale

 

I muezzin cantano lenti
tra i minareti al tramonto.

 

Marrakech – un perenne brulichio di animali, vegetali e minerali – sembra quasi non farci caso, ma tra le strade della Medina sono evidenti i flussi di credenti che si dirigono verso le moschee per la preghiera ad Allah (uno dei cinque pilastri dell’Islam).
Non è un momento qualunque, nella “città rossa”: c’è da ospitare, infatti, COP22, la conferenza sui cambiamenti climatici dell’O.N.U. il cui motto, nel 2016, è il prevedibilissimo Together we have the power to act (tradotto, naturalmente, in tutte le lingue parlate e scritte in Marocco).

Abitata sin dal Neolitico dai berberi, la cui cultura si mantiene tutt’oggi (quasi) intatta, Marrakech ha recentemente ampliato il proprio aeroporto Menara (all’interno di un megapiano infrastrutturale da attuare entro il 2035), con una nuova ala realizzata proprio per accogliere COP22.
Una meravigliosa struttura a qualche chilometro di distanza da piazza Jamaa el Fna – dove sono soliti esibirsi cammelli, macachi e serpenti tutti adeguatamente addomesticati – i cui controlli di sicurezza farebbero impallidire uno studio di tatuaggi.

Marrakech 1

E così, accanto agli evidenti miglioramenti nel campo dell’impatto ambientale, una gigantesca operazione di greenwashing ha investito piccoli e grandi elementi di quello che è uno dei cinque più importanti centri del Paese africano.
Una contraddizione che sembra sintetizzare perfettamente l’atteggiamento globale: curo le foglie, saranno forti, se riesco ad ignorare che gli alberi son forti. Così cantavano gli Afterhours nel 2002, in un brano intitolato Quello che non c’è. Quello che non c’è, in questo caso, è un piano di azione condiviso per raggiungere gli obiettivi di cui la nostra sopravvivenza ha bisogno nei prossimi anni.

Cosa succede, dunque, a Marrakech e dintorni?
Da un lato, la monarchia costituzionale marocchina si sta dando da fare per ridurre la propria impronta ecologica. In particolare, con tre operazioni relative ad altrettanti aspetti:

  • Energia solare. Attraverso la costruzione della più grande centrale del mondo: si chiama Noor, è collocata nei pressi della città di Ouarzazate ed è operativa da febbraio 2016, permettendo la creazione di quasi 2’000 posti di lavoro.
  • Eco-turismo. Attraverso un impegno concreto delle strutture alberghiere per il riconoscimento della Green Key, una certificazione assegnata a chi si distingue per la responsabilità ambientale, anche educando i propri dipendenti.
  • Pesca sostenibile. Attraverso una Cintura Blu che aiuti a ridurre i consumi e le emissioni di CO2, a localizzare i pescherecci, a sviluppare un’acquacoltura moderna e in generale a favorire un percorso sostenibile dalla barca al consumatore.

Dall’altro lato, il rapporto tra uomo e natura sembra scimmiottare quello predominante da decenni nei Paesi ricchi. È stata effettuata una serie di controlli sugli hotel e i ristoranti più frequentati – ossia, soprattutto quelli internazionali, che accanto alla cucina tradizionale offrono i migliori piatti provenienti dal mondo occidentale – ed è stato debitamente apposto il logo ufficiale dell’evento sugli sgangherati taxi con motore turbo diesel che contribuiscono a ingolfare l’infernale traffico veicolare quotidiano.

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Ma, sotto i tappeti (unici al mondo quelli esposti nel souk), la polvere continua ad accumularsi.
La distanza tra poveri e ricchi continua ad essere enorme, e lo si evince subito dalla suddivisione della città in due aree ben distinte: quella vecchia, centrale, abitata dalle fasce più basse della popolazione, e quella nuova, periferica, abitata dalle fasce più alte.

Come se non bastasse, la costruzione di nuove abitazioni di lusso sta colpendo anche zone di interesse naturalistico, come le Palmeraie, un’oasi composta da decine di migliaia di palme che si estende su un’area di 140 km quadrati a nord di Marrakech. La legislazione degli anni ’20 del Novecento impediva di costruire edifici di altezza superiore a quella degli alberi, ma negli ultimi anni il laissez faire ha preso il sopravvento, tanto che è proprio qui che si trova il Club Med, meta privilegiata dei viaggiatori europei.

Se si ha il denaro sufficiente, si può anche fare un giro in dromedario, per visitare le case delle famiglie che vivono all’interno dell’oasi e per… vedere i cantieri da vicino.

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E poi ci sono le cascate di Ouzoud, 150 km a nord-est del capoluogo della regione. Belle, bellissime, tanto che viene da chiedersi come mai non siano presenti nella lista dei Patrimoni dell’Umanità redatta dall’UNESCO (lo è, invece, la città di Marrakech). Una volta sul posto, la risposta è immediata: sono gestite come una enorme attrazione turistica, dentro la quale costruire negozi in cemento e mattoni per la vendita dei souvenir e gestire camping dove i villeggianti possono rilassarsi all’insegna di the alla menta e hashish. Tutto alla luce del sole.

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Come metaforica ciliegina sulla torta, dopo la morte di un pescivendolo abusivo – ucciso dal meccanismo trita rifiuti di un camion della spazzatura nel tentativo di salvare la propria merce – per le strade del Marocco è esplosa una protesta contro la polizia. A partire dal giorno dei funerali, migliaia di persone hanno marciato armate di cartelli, per chiedere giustizia e per rivendicare l’inclusione dei temi sociali all’interno dell’agenda di COP22.

Quali argomenti affronteranno, in questo clima surriscaldato (è proprio il caso di dirlo), i rappresentanti delle Nazioni Unite, che fra il 7 e il 18 novembre visiteranno questa esotica meta a tre ore di automobile dall’Oceano Atlantico? Il programma è molto fitto. E, in linea con gli obiettivi di riduzione dell’uso della carta della segreteria dell’UNFCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), è disponibile soltanto in formato elettronico. Un bel passo avanti, no?

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Da leggere ascoltando: Marracash, Chiedi alla polvere