La candela di Faraday, un bell’esempio di diffusione della cultura scientifica

Riassunto

“La storia chimica di una candela” di Faraday continua ad essere fonte di preziosi spunti e suggerimenti didattici, nonostante siano trascorsi centocinquanta anni dalla sua pubblicazione. La candela, un oggetto semplice, è infatti ancora oggi un valido pretesto per avvicinare i ragazzi ai fenomeni naturali e alle leggi che li regolano, come aveva intuito Faraday. Ugualmente valido oggi è, inoltre, il suo stile comunicativo che ispira ormai molti divulgatori dei moderni Science Center. Scopo del presente lavoro è indicare agli insegnanti italiani il contenuto più popolare del libro di Faraday, inclusi alcuni aspetti storici, e come attualizzare la presentazione dei suoi esperimenti nella forma di Science Show, mediante le moderne tecnologie.

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  1. Introduzione

Faraday scelse una candela che arde come argomento centrale di una serie di conferenze destinate ad elevare la cultura scientifica dei ragazzi di Londra di centocinquanta anni fa. Uno scienziato come lui avrebbe potuto benissimo scegliere qualsiasi altro tema. Ma nella candela egli vide un laboratorio offerto gratis dalla natura, nel quale è più facile osservare come sono strettamente correlate le leggi che regolano l’universo in cui siamo immersi. La sua iniziativa ebbe una grandissima risonanza. Oggi, nonostante i tanti anni trascorsi, il contenuto di quelle conferenze appare ancora valido, come si può rilevare dalle citazioni emergenti da diversi lavori moderni di didattica delle scienze, a livello internazionale.

Prendendo spunto dal libro La storia chimica di una candela che raccoglie i testi di quelle conferenze, ho organizzato uno spettacolo scientifico che vado proponendo in giro per l’Italia al pubblico comune e in particolare ai ragazzi. Le reazioni positive e talvolta entusiaste che ottengo ogni volta che lo rappresento mi convincono sempre di più che la Candela di Faraday è uno scrigno di preziosi stratagemmi dimostrativi e idee utili a comprendere i vari fatti della natura. Un tesoro, insomma, da indicare ai colleghi insegnanti di fisica e chimica delle scuole superiori, ma anche a quelli di scienze delle scuole inferiori e delle elementari. In definitiva, può dirsi un bell’esempio di diffusione della cultura scientifica.

Non tutti gli esperimenti della Candela di Faraday rientrano nello spettacolo da me ideato, per ragioni di tempo, di spazio, di materiali e di apparecchiature. Ho selezionato quelli presentabili con cose di tutti i giorni e con  attrezzature alla portata della gente che non ha una particolare cultura tecnologica. Ciò non vuol dire che abbia scelto i più banali o i meno impegnativi, ma solo i più semplici da allestire. Nonostante la loro facilità, ognuno di essi ha però un suo distinto valore pedagogico e, nell’insieme, costituiscono un completo programma didattico mediante il quale si possono raggiungere ugualmente le mete educative a cui Faraday, da scienziato, mirava.

Prima di trovare nei paragrafi che seguono la descrizione di questi esperimenti, il lettore incontrerà la narrazione degli avvenimenti che condussero Faraday alla pubblicazione del suo libro, nonché l’elenco puntuale di tutti gli argomenti da lui affrontati nelle conferenze, dai quali gli esperimenti sono stati tratti. Troverà, altresì, i lineamenti essenziali della personalità di Faraday e le caratteristiche salienti del suo brillante stile comunicativo.

Accanto all’avventurosa storia scientifica della trasformazione della cera solida in fiamma brillante prima e in anidride carbonica e acqua poi, il lettore avrà modo di seguire una storia interpretativa dei fenomeni, attraverso il paragone tra le spiegazioni fornite da Leonardo e da Faraday, recentemente portato alla ribalta da Galluzzi, noto storico della scienza. Nella parte conclusiva del lavoro, raccordati con i precedenti, al lettore vengono presentati alcuni fenomeni della candela che non sono inclusi nelle conferenze di Faraday, ma sono frutto delle ricerche di moderni divulgatori scientifici lungo la strada da lui tracciata.

 

  1. Michael Faraday, uno scienziato hands-on

Una delle prime iniziative di Michael Faraday allorché, nel 1825, divenne il Direttore del Laboratorio della Royal Institution di Londra, fu quella di aprirlo di sera ai membri dell’Istituto per svolgervi esperimenti e dimostrazioni. Questi incontri, che si svolgevano per lo più a livello informale, cominciarono subito ad avere un certa sistematicità e si trasformarono ben presto nei Friday Night Discourses, conferenze divulgative con attività sperimentali. In modo analogo, egli diede origine alle Christmas Lectures, cicli di spettacoli scientifici per il pubblico giovanile, riguardanti ogni anno un tema specifico. A differenza dei primi, che erano programmati a cadenza settimanale, il venerdì sera, da gennaio a giugno, le Christmas Lectures venivano svolte durante le feste di Natale, tra la fine dell’anno e l’inizio del nuovo, probabilmente perché in quel periodo i ragazzi erano più liberi di parteciparvi. Faraday, insomma, conferì alla sede della Royal Institution le caratteristiche embrionali di quello che oggi diremmo un Science Center. Per tal motivo, egli può esser considerato uno scienziato hands-on  ante litteram, appellativo peraltro coerente con la sua destrezza manuale, senza la quale non sarebbe diventato uno dei più grandi scienziati sperimentali di tutti i tempi.

Ottenne anche la collaborazione di amici particolarmente versati nel comunicare la scienza alla gente comune. Ad essi affidò, ad esempio, il compito di tenere le prime due Christmas Lectures. Egli cominciò dalla terza, nel 1827, e nell’arco della sua esistenza, avvicendandosi con altri scienziati, ne fu protagonista per ben diciannove volte. The Chemical History of a Candle è il titolo dell’ultima e più famosa delle sue Christmas Lectures. Faraday svolse le sei lezioni di questa serie tra la fine del 1860 e l’inizio del 1861, quando ormai settantenne era diventato celebre oltre che come scienziato anche come divulgatore.

Egli aveva capito che l’umile candela, una cosa di tutti i giorni, poteva trasformarsi in un pretesto per svolgere esperimenti di chimica e di fisica di fronte al pubblico da lui prediletto: i giovani. La sua bravura era così nota che William Crookes, che a quel tempo dirigeva la rivista scientifica Chemical News, gli chiese di poter pubblicare il testo di quelle conferenze. Faraday accettò e, con i numerosi ragazzi di Londra che accorsero agli spettacoli sulla Candela, assisté anche uno stenografo, probabilmente lo stesso Crookes, che registrò parola per parola l’intero discorso dello scienziato prendendo anche nota dei gesti da lui compiuti durante gli esperimenti. Le sei conferenze apparvero una dopo l’altra nei primi numeri dell’anno 1861 del Chemical News. A marzo, tutte assieme e illustrate con bellissime incisioni, furono raccolte in un unico volume pubblicato dall’editore Griffin di Londra.

Il libro di Faraday, dunque, venne alla luce nel marzo del 1861, proprio mentre in Italia, conclusasi l’impresa dei Mille, veniva proclamata l’Unità del Paese di cui quest’anno celebriamo i centocinquant’anni. Ed è interessante a tal proposito apprendere che c’erano forti legami di amicizia tra Faraday e alcuni scienziati italiani che parteciparono al nostro Risorgimento.

Attualmente la tradizione delle Christmas Lectures è ancora viva e gli scienziati che la perpetuano presso la Royal Institution ogni anno si ispirano ancora al suo fondatore. Specialmente nella scelta degli argomenti, che non sono preferibilmente i più attuali ma quelli più attraenti, affinché lascino una traccia nella mente dei ragazzi. Grazie alla pubblicazione di Crookes, la Candela di Faraday ha avuto un’enorme fortuna e nel mondo anglosassone ha contribuito a consolidare intorno alla sua figura l’immagine prototipo del comunicatore scientifico. Oggi la Royal Society di Londra attribuisce annualmente il Michael Faraday Prize a chi eccelle in quell’arte. Negli Stati Uniti la National Science Teacher Association assegna un premio di uguale importanza, il Faraday Science Communicator Award, a chi si distingue nel campo dell’insegnamento informale delle scienze.

In Italia, invece, Faraday è poco noto come divulgatore. È raro, infatti, trovare insegnanti di fisica e di chimica italiani che conoscono gli esperimenti de La storia chimica di una candela, il titolo con cui la sua Candela è apparsa nel nostro Paese.

Ciò è forse accaduto perché il libro, dopo un iniziale interesse nell’ottocento, è stato considerato più come un volumetto di scienza elementare, una sorta di sottoprodotto culturale destinato al pubblico dei ragazzi, che come un importante esempio di popolarizzazione scientifica.

Un atteggiamento non difficile da spiegarsi se si riflette sul fatto che l’Italia, a differenza dei maggiori Paesi europei, non è mai stata terreno fertile per la divulgazione della scienza18, vista sia sotto l’aspetto dell’utilità pratica che del divertimento per tutti.

 

  1. Mano, occhio e cervello

Faraday propone agli ascoltatori delle sue conferenze di ripetere a casa gli esperimenti che mostra loro. Egli è convinto che chiunque sia in grado di apprendere se osserva i fenomeni della natura e li riproduce. Non ha dubbi, insomma, che lo spettatore sia effettivamente in grado rifare i suoi gesti ed ha fiducia illimitata che essi possano giungere a delle efficaci cognizioni19 attraverso la manipolazione di oggetti concreti, come d’altra parte ha fatto lui stesso.

Oggi sappiamo dai neurologi che la mano non è passiva rispetto al cervello, anzi il suo uso modella le funzioni del cervello, influendo finanche sul linguaggio e sulla cultura in generale. Potremmo dire che Faraday lo aveva intuito già a suo tempo, se su questa base aveva fondato il suo singolare stile di comunicazione della scienza.

L’atteggiamento di Faraday, che è tipico della tradizione sperimentale inglese, si differenzia in modo sostanziale da quello della tradizione matematica o classica per il carattere dell’esperimento. In quest’ultima l’esperimento è chiamato a dimostrare la validità di una teoria matematizzata già esistente o ad estenderne l’ambito e viene «dopo» la teoria. In quella sperimentale, spesso detta baconiana, l’esperimento invece viene «prima», perché ha lo scopo di forzare la natura a manifestarsi in forme mai precedentemente osservate, consentendo così di accedere a fenomeni sconosciuti e accrescere il dominio delle conoscenze teoriche.

Se nel corso dei secoli la tradizione classica e quella baconiana non si sono mai fuse, anzi persistono ben separate, vuol dire che a distinguerle c’è qualcosa di molto profondo, che potrebbe essere addirittura «radicato nella natura della mente umana». È probabilmente questa la ragione per cui le abilità sperimentali empiriche non trovano spazio per affermarsi laddove domina l’approccio teorico, come fino a poco tempo fa nella nostra scuola, e sono invece ben accolte nei centri della scienza, laddove le «star» sono i fenomeni, da esplorare di persona o meglio hands-on, cioè mettendo le mani sulle apparecchiature interattive.

Tuttavia, non sono pochi ad obiettare che questo metterci su le mani non equivale sempre ad analizzare scientificamente le cause di ciò che si osserva e che, anzi, si esaurisce a volte solo in un giocoso intrattenimento.

Anche se così fosse, è innegabile che un gioco coinvolgente può avere positivi effetti differiti sulla curiosità scientifica di chi lo fa! Ormai ciò viene sostenuto, sebbene con diverse sottolineature, da un largo movimento internazionale che sta attecchendo anche in Italia. Frank Oppenheimer, il fondatore dell’Exploratorium di San Francisco dal quale ha avuto origine tale movimento, affermava: «Spiegare la scienza e la tecnologia senza il sostegno di fatti concreti può assomigliare al tentativo di raccontare a qualcuno cosa sia il nuotare senza metterlo mai vicino all’acqua». E non si dispiaceva affatto se tra i visitatori del suo museo ci fosse anche chi utilizzava gli exhibit solo per divertirsi.

Per lui contava che avessero notato qualcosa e avessero preso confidenza con le loro osservazioni. Ciò che esattamente imparavano era di minore importanza. La percezione dei fatti e l’esperienza diretta, come nella tradizione sperimentale, erano per lui indispensabili alla vera comprensione delle leggi della natura!

Non è un caso quindi che, dal modello dell’Exploratorium, siano scaturiti i vari festival della scienza, sorti l’uno dopo l’altro nell’ultimo decennio in tante città del nostro Paese. D’altro canto, quel modello è la principale fonte ispiratrice dell’ormai famosa Science on Stage, manifestazione voluta dall’Europa per disseminare le migliori pratiche didattiche tra i docenti degli stati membri.

Toccati da quest’onda progressiva, gli insegnanti italiani non si meravigliano più, come avveniva fino a qualche anno fa, della contaminazione tra le attività divulgative e quelle più strettamente formative: in altre parole come spesso si dice, tra l’educazione informale e quella formale delle scienze. Accolgono con maggior disinvoltura le idee ingegnose e creative che vengono diffuse attraverso i tanti canali di comunicazione e vi si cimentano volentieri manifestando il desiderio di «mettere le mani in pasta». Tra l’altro, anche in Italia è sorta una genuina curiosità per la Candela di Faraday e sono in tanti a chiedersi di cosa tratti realmente questo libro.

 

  1. La struttura concettuale e gli esperimenti della Candela

Provo a sintetizzarne qui il contenuto, riportando i titoli dei capitoli e, in ordine, aggiungendo ad essi le intestazioni delle singole pagine che compaiono nell’edizione curata da Crookes, nonché alcuni fatti notevoli che hanno colpito la mia sensibilità di docente.

Prima conferenza. Una candela: la fiamma, di cosa è fatta, la sua struttura, la mobilità e lo splendore.

Le candele primitive, la candela di legno resinoso, candele ad immersione di sego, candele dei minatori, candele di cera, di stearina e di paraffina, candele ornamentali. Il modo in cui una candela brucia. La similitudine con la lampada ad olio e il formarsi della ciotola. Candele di forma irregolare. Le cause del gocciolamento. Come sale il fluido nello stoppino e gli accomodamenti tra le parti della candela. L’attrazione capillare. L’azione di un asciugamano come sifone.

La salita di un fluido attraverso una canna di bambù. Perché la fiamma non raggiunge la ciotola. Il vapore combustibile proveniente da una candela e «la striscia di fuoco». La brillantezza della fiamma. La forma della fiamma. La corrente ascendente di aria calda. L’ombra della fiamma. Perché un oggetto così luminoso getta la propria ombra su un foglio di carta. L’ascensione della fiamma. Cambio di direzione della fiamma. Fiamme di forme differenti. Il gioco dello snapdragon. L’analisi della fiamma.

Seconda conferenza. Splendore della fiamma di una candela, l’aria necessaria per la combustione, la produzione di acqua.

Che fine fa la materia di cui è composta una candela? I prodotti della combustione. Il vapore uscente dalla parte interiore della fiamma. Il vapore combustibile della cera. La combustione del vapore. La distribuzione del calore in una fiamma. L’aria necessaria alla combustione. La Lampada di Argand. Il nerofumo proveniente da una combustione imperfetta. Differenti condizioni di una fiamma. Combustione con e senza fiamma. La combustione del Licopodio. Il nerofumo proveniente da una fiamma luminosa. Cause della luminosità di una fiamma. La «luce di calce», luce bianca usata nei teatri. Combustione del fosforo.

Combustione dello zinco. Luminosità del «gas illuminante». I differenti risultati della combustione. Il Fire-balloon. L’acqua, un prodotto della combustione.

Terza conferenza. Prodotti: l’acqua dalla combustione, la natura dell’acqua, un composto, l’idrogeno.

Sostanze prodotte dalla candela. Test per la presenza di acqua. L’acqua prodotta dalla candela, uno dei risultati della combustione. Differenti condizioni dell’acqua. Acqua che congela. La forza espansiva dell’acqua che ghiaccia. Conversione di acqua in vapore. Contrazione del vapore quando condensa. Volumi relativi di acqua e vapore. Azione del potassio sull’acqua. Combustione dello zinco e del ferro. Azione del ferro sul vapore. Prodotti della decomposizione del vapore. Azione dello zinco sull’acqua. L’idrogeno. La «candela del filosofo». Preparazione dell’idrogeno. Prodotto di combustione dell’idrogeno. Leggerezza dell’idrogeno: bolle di sapone gonfiate con l’idrogeno. Palloni all’idrogeno. La batteria voltaica.

Quarta conferenza. L’idrogeno nella candela, bruciando si trasforma in acqua, l’altro elemento dell’acqua, l’ossigeno.

L’azione dell’acido nitrico sul rame. Decomposizione voltaica di un sale. Accensione voltaica del platino. Decomposizione voltaica. Riduzione del rame. Decomposizione dell’acqua. Sintesi dell’acqua. I risultati della decomposizione dell’acqua. L’idrogeno dall’acqua. L’ossigeno dall’acqua. Preparazione dell’ossigeno.

Quinta Conferenza. L’ossigeno presente nell’aria, la natura dell’atmosfera, sue proprietà, altri prodotti della candela, l’acido carbonico, sue proprietà.

Idrogeno e ossigeno. Prove per la presenza di ossigeno. Come mai nell’aria la candela brucia meno bene che nell’ossigeno? L’ossigeno e l’azoto presenti nell’aria. L’importanza dell’azoto nell’aria. Le proprietà dell’azoto. La composizione dell’atmosfera. Un metodo per pesare i gas. Il peso dell’atmosfera. La ventosa. La pressione dell’atmosfera. La pistola giocattolo. La compressibilità e l’elasticità dell’aria. Altri prodotti della candela. Prodotti gassosi della combustione. Proprietà del nuovo gas. Acido carbonico dalla candela e da altre fonti. Preparazione dell’acido carbonico. La solubilità in acqua dell’acido carbonico. La densità dell’acido carbonico.

Sesta Conferenza. Il carbonio o carbone di legna, gas proveniente dal carbon fossile, la respirazione e la sua analogia con la combustione della candela, conclusione.

Le candele giapponesi. L’acido carbonico. Il carbonio nell’acido carbonico. La formazione dell’acido carbonico. Combustione del carbonio. Il carbonio brucia emettendo scintille. Composizione dell’acido carbonico. Analisi dell’acido carbonico e dimostrazione che è composto di carbonio e ossigeno. Il carbonio nel legno e nel gas illuminante. I prodotti di combustione gassosi. Combustione del piroforo di piombo. Prodotti solidi della combustione. Combustione e respirazione. L’alito estingue la combustione. I prodotti della respirazione. L’importanza della ventilazione. Azione dell’aria emessa dai polmoni sull’acqua di calce. Cosa è la respirazione? L’acido carbonico formato dalla respirazione.

Il carbonio presente nel cibo. Il carbonio bruciato durante la respirazione. L’importanza dell’acido carbonico per le piante. Crescita degli alberi e delle piante. Il piombo brucia subito. Il carbonio ritarda la sua azione. Respirazione e combustione. Conclusione ed esortazione ai ragazzi a comportarsi come candele.

 

  1. La «storia» chimica e il «laboratorio universale»

Il termine «storia», scelto da Faraday, si addice benissimo al titolo da lui dato alle sue conferenze. Scorrendo l’elenco dei suoi argomenti, si ha subito l’idea di qualcosa che avviene in maniera avventurosa. La materia solida e opaca della cera, infatti, prima si trasforma in una fiamma mobile e brillante e poi scompare misteriosamente alla vista di chi la osserva, per essere rintracciata altrove, sotto forma di anidride carbonica e di vapor d’acqua. Faraday, che ha narrato questi fatti tante volte, sa bene come fare per toccare sia il cuore che la mente dei ragazzi che lo ascoltano. Ma c’è qualcosa di più. Egli dice apertamente di preferire questo argomento per le seguenti ragioni:

«Non c’è una sola legge, secondo la quale sia governata una qualsiasi parte di questo universo, che non entri in gioco e sia coinvolta in tali fenomeni. Non esiste una porta migliore e più ampia, attraverso la quale potete entrare nello studio della filosofia naturale, di quella che porta a considerare i fenomeni fisici che avvengono in una candela».

Depurate dall’enfasi oratoria, le parole di Faraday vogliono dire che i fenomeni della candela rappresentano una bella sintesi delle leggi universali della natura e inoltre consentono l’immediata confidenza con gli argomenti della scienza. In definitiva, non c’è niente di più istruttivo di una candela che arde!

È concepibile, chiediamoci, che una semplice candela possa avere un ruolo così importante per l’educazione scientifica? Quando pronuncia le frasi sopra riportate, Faraday è ormai sempre più convinto che tutte le leggi della natura, sebbene distinte tra di loro, sono legate l’una all’altra. E la candela, a parer suo, lo prova molto meglio di ogni altra cosa che gli sia passata per le mani.

Nei suoi pochi centimetri cubici, infatti, si addensano decine di fenomeni chimici e fisici disparati ed interrelati! Si tratta di evidenziarli. E Faraday sa di poterlo fare, isolando ciascuno di essi e portandolo singolarmente alla ribalta.

Come Michelangelo toglieva il marmo superfluo per “liberare” le figure che voleva creare, così egli sceglie, volta per volta, quali aspetti della candela escludere temporaneamente per mostrare la capillarità dello stoppino, i moti convettivi, l’ombra del nerofumo, la rigidità della cera dei bordi, l’anidride carbonica ecc…, affinché abbiano accesso immediato nella mente stupita di chi ascolta. La candela diventa, in questo modo, una sorta di «laboratorio universale » alla portata di tutti, dal quale estrarre numerosi e meravigliosi fenomeni che danno anche ai meno esperti il piacere della scoperta scientifica.

Ciò non vuol dire però che gli esperimenti delle conferenze di Faraday si possano eseguire tutti con la sola candela e pochi altri oggetti. Buona parte di essi sono svolti con materiali non proprio comuni e con attrezzature particolari, cioè in un laboratorio chimico ben diverso da quello esperienziale.

 

  1. Uno science show sulla Candela di Faraday

Nessuno può restare indifferente di fronte alla fervida fantasia di Faraday. Egli escogita i più curiosi espedienti tecnici per meravigliare gli astanti. Come porre la candela accesa – un oggetto luminoso di per sé – davanti alla luce di una lampada elettrica per mostrare che anche la fiamma proietta un’ombra ed è circondata da una misterioso materiale invisibile ad occhio nudo. Può bastare, avverte Faraday, anche la luce del sole. Ma il sole non poteva entrare nella sala interna della Royal Institution dove si svolgevano le sue conferenze. Allora, eccolo ricorrere ad una luce artificiale, per non far mancare al pubblico l’effetto di straordinaria sorpresa!

Si badi bene che la lampada elettrica usata da Faraday non è ancora quella ad incandescenza di Edison. Verosimilmente, per la potenza chiamata ad erogare, si tratta di una lampada ad arco voltaico adattata con una lente di Fresnel a mo’ di proiettore, come nei fari. La lampada ad arco voltaico era stata realizzata all’inizio dell’ottocento da Davy , lo scienziato che – come vedremo – aiutò Faraday a diventare protagonista della scienza sperimentale.

Essa non differisce concettualmente da quelle usate nelle cabine di proiezione dei cinema fino a qualche decennio fa e neppure eccessivamente da quelle di oggi, che sono al gas xeno e sfruttano un arco voltaico al chiuso.

Tuttavia, come si è detto, l’apparecchiatura elettrica non è indispensabile. Mettendo una candela al sole, chiunque può rendersi conto che la fiamma ha un’ombra scura ed è sempre circondata da una corrente d’aria che le dà la tipica forma oblunga. E si può anche osservare – il modo, semplicissimo, lo vedremo nel seguito – che a dar brillantezza alla fiamma sono, stranamente, piccoli corpuscoli di carbone incandescente.

Lo stratagemma di esporre la candela alla luce del sole per studiarne meglio la fiamma era stato usato anche da Leonardo, circa trecento anni prima. Ce lo rivela Galluzzi che, nel chiarire che Faraday non ne era a conoscenza, sottolinea: «Non di plagio da parte di Faraday, né di nuovo precorrimento di Leonardo si tratta». Questa coincidenza tra due scienziati di epoche diverse ha reso le loro tecniche d’indagine ancora più interessanti ai miei occhi. All’interno della «storia» scientifica del fenomeno, infatti, vi ho visto anche un’interessante «storia» interpretativa. Credo che nessun insegnante possa rinunciare all’occasione di paragonare la spiegazione data da Leonardo, all’alba della rivoluzione scientifica e rappresentata con stupendi disegni nel Codice Atlantico, a quella del libro di Faraday, data in un secolo in cui la scienza è ormai matura.

Mi sono proposto perciò di attualizzare entrambe le «storie». Ho scelto tra gli esperimenti più immediati della Candela quelli che si prestano ad essere inclusi in uno science show, li vedremo di qui a poco, e mi sono immedesimato volentieri nel ruolo attivo di Faraday, cercando di assumerne fedelmente anche i connotati psicologici. Mi sono rivolto ai miei ascoltatori con lo stesso atteggiamento che egli assumeva verso i ragazzi che assistevano alle sue dimostrazioni.

In questo mi sono lasciato guidare da un principio che sapevo condiviso da Faraday: chi ha la fortuna di scoprire una cosa bella non deve tenerla nascosta agli altri. E mi sono chiesto perché nessuno mi abbia mai parlato da studente della mite bravura di Faraday.

La comunicazione scientifica di Faraday infatti non era boriosa né arrogante. Era quella di una persona che predisponendo il filo logico del suo discorso tiene in debito conto le possibili difficoltà di comprensione altrui. In un certo senso era identica a quella di un insegnante premuroso che non considera nessuna cosa tanto ovvia da non essere illustrata anche in altro modo. La fama dell’estrema godibilità delle sue esposizioni deriva anche da queste sue virtù.

Sull’originalità e l’unicità comunicativa di Faraday si possono citare varie testimonianze dell’epoca, tra le quali anche quella di Dickens.

Faraday era figlio di un fabbro e sembrava destinato anche lui al mestiere di artigiano. Cominciò a lavorare, infatti, come garzone di un rilegatore di libri.

Oltre a rilegarli, però, leggeva e si appassionava agli argomenti scientifici pubblicati sui fogli che per motivi di lavoro gli passavano tra le mani. Riuscì a farsi assumere come collaboratore da Davy, il chimico più famoso dell’Inghilterra di quei tempi, e si inserì subito nella pratica scientifica di alto livello. Mostrando il suo valore di sperimentatore, compì una carriera così brillante da superare in notorietà lo stesso Davy. Faraday strinse rapporti con molti altri scienziati contemporanei, facendosi notare per l’entusiasmo con cui operava. Pochi uomini, nella storia della scienza, hanno potuto vantare i successi da lui ottenuti nonostante la sua scarsa dimestichezza col formalismo dell’analisi matematica. Nato povero e desideroso di emanciparsi, era molto sensibile al desiderio di conoscenza che si levava dalla gente poco istruita. La sua fede religiosa sandemaniana, inoltre, e la sua indole umile lo rendevano immune dalla presunzione. Non avendo avuto la fortuna di avere figli, era sollecito nell’offrire occasioni per elevare la cultura scientifica di bambini e ragazzi. Lo colpiva la loro disinibita curiosità di conoscere, cioè la ricerca spontanea e, a volte, del tutto fantasiosa delle ragioni dei fatti. Benché adulto, egli aveva piacere di presentarsi come uno di loro.

Dalle lettere di Faraday sono state ricavate alcune riflessioni che possono essere considerate utili suggerimenti per acquisire l’arte del divulgatore. Nonostante il tempo trascorso, alcuni suggerimenti sono straordinariamente attuali.

 

  1. Copione e scenografia dello show

Mi sforzo di tenerli presenti anch’io quando organizzo i miei spettacoli scientifici. In particolare, cerco di rispettare il vincolo di non superare l’ora, oltre la quale Faraday non andava nelle sue conferenze. Tuttavia, nel caso della Candela, anche scegliendo solo quelli di esecuzione più veloce il tempo di un’ora non basta per mostrare gli esperimenti che rappresentano il progetto originale dello scienziato. Né si può far a meno, inoltre, di includere nel copione gli elementi che le moderne tecnologie ci mettono a disposizione e che rendono ancora più meravigliosa la storia raccontata da Faraday. Non mi faccio scrupolo, quindi, di modificare il suo schema originale e d’inserire tra gli esperimenti della Candela anche altri che, sfruttando espedienti attuali, concorrono allo stesso fine. In definitiva, sono necessarie almeno due ore per una completa presentazione. Ed ecco elencati, di seguito, gli oggetti e gli argomenti che costituiscono la trama del mio show:

  1. a) Una candela di cera, la sua fiamma e la sua ciotola; un rapido confronto con una semplice lampada ad olio. La stearina, la paraffina e la cera d’api.
  2. b) Lo stoppino intrecciato della candela, la cera fusa vi sale per capillarità; la simulazione del fazzoletto di carta imbevuto di acqua colorata e dell’asciugamano.
  3. c) Perché i bordi della candela sono più freddi della sua parte interna? Come osservare l’aria calda ascendente verso l’alto, mediante la luce del sole o quella di un videoproiettore.
  4. d) L’autoregolazione della fiamma e gli accomodamenti tra le parti della candela.
  5. e) L’ombra scura della fiamma luminosa: un rapido confronto tra le spiegazioni di Faraday e di Leonardo.
  6. f) Il chiaro e lo scuro delle rifrazioni dell’aria fredda e di quella calda, spiegazione con l’aiuto di una lente d’ingrandimento e di un paio di occhiali da miope.
  7. g) La fiamma è cava: come vederlo con una rete metallica spargi-fiamma.
  8. h) Dalla fiamma cava escono vapor bianco e fumo nero: per vederlo bastano un piccolo movimento delle mani con una rete spargi-fiamma o due piccole forchette metalliche.
  9. i) Due odori caratteristici: quello di una chiesa e quello dello scappamento di una vecchia auto.
  10. j) Come prendere il nerofumo della candela con una carezza della mano o con il trucco del sughero: i “baffi di nerofumo” .
  11. k) La candela si spegne sotto un barattolo di vetro: la fiamma ha bisogno di aria pura per bruciare. L’esperimento dell’acqua che sale dentro una bottiglia capovolta.
  12. l) L’anidride carbonica spegne progressivamente le fiamme di tre candele di diverse altezze.
  13. m) Dov’è localizzato il calore della fiamma? L’esperimento dell’anello che si forma su un foglietto di carta e l’osservazione della fiamma ingrandita con una telecamera. I colori della fiamma: blu in basso e giallo in alto.
  14. n) Il vapore di cera e la «striscia di fuoco»: come riaccendere una candela appena spenta, senza toccarla.
  15. o) Soffiare farina sopra la fiamma di una candela per ottenere una bellissima vampa.
  16. p) Con un cucchiaio situato a tre livelli della fiamma: raccogliere acqua sopra, nerofumo in mezzo e vapore di cera sotto.
  17. q) Azione attrattiva (meccanica) e azione repulsiva (magnetica) sulla fiamma di una candela.
  18. r) Presenza e assenza di gravità: quale forma assumerebbe la fiamma in una navicella spaziale?
  19. s) Puntare la luce rossa di un laser nel mezzo della fiamma: le particelle di nerofumo della fiamma non producono scattering.
  20. t) Puntare la luce rossa di un laser sulla cera: si osservano fenomeni di diffusione e d’interferenza (speckles) nel cilindro di cera.
  21. u) Paragonare la fiamma di una candela con la respirazione dei viventi.

L’esalazione del respiro umano spegne una candela.

I primi punti ricalcano quasi letteralmente gli argomenti affrontati da Faraday. Gli altri se ne allontanano a volte, fino ad andare “oltre Faraday”, ma sempre sulla strada da lui tracciata. L’attualizzazione dell’antico, a parer mio, deve raccordarsi con le novità proposte dai divulgatori dei nostri giorni. Non ho sempre il tempo di completare tutti i punti dell’elenco precedente, quando la partecipazione degli spettatori mi conduce ad affrontare argomenti imprevisti, a chiarire concetti e a provare, lì per lì, altri esperimenti.

 

  1. La telecamera e il videoproiettore

Essenziali per la riuscita dello show sono le immagini riprese dalla telecamera e mandate su uno schermo attraverso un videoproiettore. La telecamera ha una funzione esplicativa insostituibile perché mostra alcuni particolari della fiamma che sarebbero difficilmente visibili ad occhio nudo e che, ingranditi, sono altamente suggestivi. Tra gli altri, lo stoppino intrecciato che l’alimenta per capillarità e la ciotola che la rifornisce.
Sfrutto così una tecnica teatrale che Faraday, a metà dell’ottocento, non poteva permettersi ma che, avendola a disposizione, avrebbe certamente impiegato!
È interessante sottolineare che il medesimo videoproiettore si presta bene a anche a sostituire l’«arco voltaico» adoperato da Faraday per visualizzare l’ombra di una fiamma. I contorni di questa, infatti, risultano tanto nitidi da essere distinti anche dalle persone più lontane che si trovano in sala.

Riassumendo, oltre ad una telecamera e ad un videoproiettore ricorro a due candele accese. Una la metto a pochi centimetri dalla telecamera, su uno sfondo nero per meglio evidenziarne i colori. L’altra, appoggiata su un treppiede, la colloco nel fascio di luce proveniente dallo stesso videoproiettore, a breve distanza dallo schermo. Controllo il loro allineamento facendo in modo che l’ombra della seconda fiamma cada sul chiaro della prima o sul bianco della cera: così lo spettatore ha davanti a sé la mappa ingigantita dei colori della fiamma e in sovrapposizione, al centro dello schermo, l’immagine di cosa c’è dentro e di cosa c’è immediatamente fuori di essa.

Analizzando i diversi colori che appaiono sullo schermo (Fig.3) distinguo le diverse temperature della fiamma che vanno dagli 800°C all’interno del cono giallo ai 1200°C sulla sua punta. E sottolineo l’apparizione di un insospettato colore blu alla base del lucignolo. Ad occhio nudo è appena percettibile mentre, ingrandito con la telecamera, è molto evidente. Il blu non è generato dall’incandescenza del nerofumo, ma dagli effetti emissivi delle molecole instabili di cera che l’impatto dell’ossigeno dell’aria libera in quella zona. La sua temperatura è circa 1400°C, la più alta tra le temperature delle varie regioni

della fiamma. Per farmi capire dalla gente comune, a volte paragono la fiamma di una candela alla luce di due lampadine, una incandescente e l’altra, in un certo senso, fluorescente. La luce blu, infatti, non è tecnicamente fluorescente, in quanto non risulta dall’assorbimento di radiazione da qualche altra sorgente, tuttavia deriva da elettroni eccitati che emettono energia in una specifica zona dello spettro luminoso. Analoga sorpresa produce, in genere, l’osservazione che nella zona della fiamma che circonda l’estremità superiore dello stoppino il colore sembra svanire, come se ci fosse un buco tra il blu e il giallo (Fig.3).

La telecamera, benché metta in evidenza i dettagli della fiamma, non consente di interpretarne le origini. Per scoprirne i segreti più intimi, lo spettatore deve essere guidato a notare cosa accade nel gioco delle rifrazioni e dell’ombra che la circondano.
Innanzitutto deve percepire che la candela è circondata da materiale che si sposta verso l’alto e che attribuisce la forma bislunga alla lingua di fuoco. Si tratta di aria calda, invisibile ad occhio nudo, che sale per convezione. A tale scopo possono essere utili, ad esempio, le immagini proiettate su uno schermo dalle due candele contigue nella Fig.4. I fenomeni osservati, in realtà, non sono ombre vere e proprie ma gli effetti del passaggio della luce del videoproiettore attraverso il flusso d’aria ascensionale. Vi torneremo fra poco. Il puntino rosso che si vede nella foto è la traccia del puntatore laser con la quale distinguo l’orlo esterno della corrente che sale intorno alla fiamma, più chiaro, dal flusso più interno e più scuro della stessa corrente.

Le due candele così disposte possono diventare, volendo, un semplice exhibit interattivo. Muovendo l’aria in prossimità di una candela, infatti, la corrente ascensionale si piega, come evidenzia la Fig.5, senza perturbare però la corrente dell’altra.
Ma quel che attualizza in modo più autentico la scenografia voluta da Faraday è il fatto che c’è davvero un’ombra più scura in corrispondenza della lingua più luminosa della fiamma. Un’ ombra ben riconoscibile, perché ha la stessa forma appuntita! La vedremo anche in una successiva fotografia, dove l’ombra sarà proiettata dal sole.
Con lo stesso stupore provato da Faraday, ci si può chiedere a questo punto, come sia possibile che una candela, cioè un oggetto che produce l’ombra di altri oggetti, getti essa stessa la sua ombra su uno schermo. Suppongo che Faraday si sarebbe ancor più emozionato nel mostrare il paradosso spettacolare, da lui così sapientemente descritto, se avesse potuto utilizzare immagini come queste. Il fenomeno, lo si accennava in precedenza, risulta visibile ed è fotografabile a distanza, come dimostrano le due precedenti fotografie.

Ritornando alla Fig.3, i bordi della candela sono netti e rigidi nonostante il forte calore della fiamma. Come mai questa stranezza? Faraday la spiega così: «Appena l’aria arriva alla candela, si muove verso l’alto spinta dalla forza della corrente che il calore della candela produce, e raffredda tutti i lati della cera, o del sego, o del combustibile, in modo da mantenere il bordo molto più freddo della sua parte interna…».
Quest’aria “fresca”, insomma, contrasta il calore della fiamma: raffredda i bordi esterni della candela e li rende rigidi. Aiuta così la formazione della ciotola, entro la quale va a raccogliersi la cera fusa. Se questa cavità non si formasse, finirebbe ancor prima di cominciare la meravigliosa storia della candela: la cera liquefatta colerebbe in basso e non giungerebbe alla fiamma.

Risultano molto ben visibili anche le azioni eseguite sulla fiamma con una reticella metallica, comunemente detta spargi-fiamma. Inserendo questo oggetto sul cono della fiamma la si interrompe bruscamente al livello in cui è stato posto. In altri termini, la fiamma appare cava e non emerge al di sopra della reticella, come se ne fosse stata inghiottita. Se l’inserimento dello spargi-fiamma avviene al livello dello stoppino, dalla cavità sottostante fuoriesce un “fumo” bianco (vapore di cera), se invece avviene più in alto il “fumo” sarà nero (particelle sottilissime di nerofumo). Ciò dipende dal fatto che il metallo della reticella, disperdendo il calore che proviene dal basso, impedisce alla fiamma di completarsi. Con questo semplice espediente si può dimostrare in modo spettacolare che basta spostare in su lo spargifiamma di soli pochi millimetri per passare dal vapore di cera al nerofumo e dall’odore acre di sacrestia a quello rivoltante dello scappamento di una vecchia auto. Ciò che accade, in definitiva, dipende da dove la mano colloca la reticella. Il nerofumo, diventato incandescente, emette la caratteristica fiamma. Ed è l’opacità dei suoi piccolissimi granellini a opporsi alla luce del videoproiettore, producendo l’ombra appuntita che abbiamo notato! Forse le parole pronunciate in proposito direttamente da Faraday sono le più eloquenti: «Non è magnifico capire come stia avvenendo un tale processo, e in quale modo delle cose sporche come il carbone possano diventare incandescenti? Vedete che tutte le fiamme luminose contengono queste particelle solide; tutte le cose che bruciano e che producono particelle solide durante la combustione, come nella candela, o subito dopo la combustione, come nel caso della polvere da sparo e della limatura di ferro, tutte quante ci danno questa magnifica e piacevole luce».

Sapendo che queste idee sono state espresse alla fine del 1860, quando Kirchoff cominciava lo studio del corpo nero e molto prima dello sviluppo della teoria della radiazione di Planck, possiamo affermare che Faraday ha il merito di aver proposto al suo pubblico, così semplicemente, una spiegazione empirica di un argomento che si rivelerà tanto importante nella storia della scienza.

 

  1. L’ombra della fiamma vista da Faraday e da Leonardo

Veniamo, ora, a quello che potrebbe essere uno dei punti più impegnativi dello show, cioè al paragone accennato nel paragrafo 2 tra l’immagine dell’ombra della fiamma disegnata da Leonardo e quella riportata nel libro di Faraday. Dico riportata e non eseguita direttamente da lui, perché Faraday afferma che è stata disegnata da un certo Hooker, uno scienziato su cui Crookes, nel riportarne il nome, non fornisce ulteriori indicazioni.

La Fig. 8 intende servire proprio a tale confronto, che per essere davvero completo deve includere anche quello con l’ombra di una candela dei nostri giorni. Perciò accanto ai due disegni, ho collocato anche una foto a colori in cui compare l’ombra di una fiamma esposta alla luce solare. Questa foto è stata leggermente contrastata per meglio evidenziarne le parti: un’ombra netta scura e affusolata e un’area meno scura che la circonda avvolta da sottile involucro bianco.

Nel mostrare le tre immagini che vi sono contenute devo cogliere le aspettative dei miei ascoltatori. Devo, cioè, capire se basta un rapido cenno all’ombra centrale che le accomuna e alle differenze immediatamente percepibili, o se occorre qualcosa in più. Se avverto che al pubblico piacerebbe ascoltare argomenti di storia della scienza, scendo nei particolari seguendo la pista indicata dallo stesso Galluzzi. Ad esempio, richiamo la loro attenzione sul fatto che Leonardo, osservando il funzionamento della candela in modo molto simile a Faraday annota: «…colla esperienza dell’ombra che fanno essi fochi dinanti al Sole, abbiam veduto e trovato il vero moto che fa l’aria penetrata dalla fiamma e così il fumo penetratore d’essa aria».
Cosa vuol dire Leonardo con le parole «vero moto»? Per rispondere bisognerebbe sciorinare l’intero appassionato esame che Galluzzi fa del foglio 728 del Codice Atlantico, sia del testo, che ha come titolo Del moto della fiamma, sia di altri disegni, oltre quello qui riportato. Ma ciò richiederebbe troppo tempo.

Allora, senza perdere la preziosa traccia di Galluzzi, perché non suggerire subito al pubblico come ripetere i movimenti compiuti da Leonardo e da Faraday nella loro indagine, al mattino o nel tardo pomeriggio di una giornata di sole quando i raggi di luce che entrano in casa da una finestra giungono quasi orizzontali sulla parete della propria stanza? Gli ascoltatori riceverebbero così precise indicazioni per realizzare personalmente un’esperienza interattiva, davvero unica, sia sul piano sperimentale che storico.

Interattiva, perché muovendo avanti e indietro la candela rispetto alla parete, chi la ripetesse controllerebbe in prima persona l’apparizione e la scomparsa dei fenomeni di cui si è parlato finora. Unica perché rifacendo gesti sperimentati da personalità tanto autorevoli, vedrebbe emergere aspetti della natura che non avrebbe mai immaginato di trovare tutti insieme nella candela.
Ritornando poi al concetto leonardesco di «vero moto», il testo di Galluzzi aiuta ad illustrare i meccanismi che Leonardo pone alla base dei fenomeni osservati. Vediamoli. La fiamma, secondo lo scienziato italiano, «si sviluppa consumando aria» ed è proprio questa consumazione a richiamare altra aria sulla fiamma. Se non ci fosse questo «soccorso» si formerebbe il vuoto, una cosa impossibile nella cultura dell’epoca. Vengono generate così delle correnti che salgono dal basso e che, secondo lui, comprimono la fiamma. Ma il «vero moto», la causa più intima del fenomeno, è quello del fumo. Ecco cosa scrive Leonardo: «l’aria che al continuo di fori la percote [la fiamma] e la rispigne in dirieto, la viene a condensare e tal condensazione fa la fiamma più lucida e risplendente, il fumo condensato spira per la parte superiore della fiamma e non ha esito per altro loco, perché in giù trova la materia che lo genera [il sego fuso] e da’ lati trova l’aria che lo percuote, e di sopra trova la dilatazione dell’aria che refrende e per tale dilatazione il fumo ha il suo esito».

Seguiamo allora la sua spiegazione. Il fumo è prodotto dal sego fuso che brucia (non dalla cera perché a quel tempo le candele erano principalmente di sego). Esso tende naturalmente a dilatarsi ma l’azione meccanica esterna dell’aria, della quale abbiamo appena parlato, contrasta la dilatazione. Il fumo perciò si condensa e rende luminosa la fiamma. La fiamma è dunque tanto più luminosa quanto più è stata compressa. Il nutrimento che le giunge è estratto dal sego che però, per risalire lungo lo stoppino, deve essere fuso. Anche in questo caso la risalita del materiale ubbidisce alla necessaria continuità di alimentazione dal basso, se ciò mancasse, si formerebbe il vuoto! Ma cos’è che fa fondere il sego?

Per Leonardo è l’aria che – dopo essersi scaldata a contatto con la fiamma – si riavvolge su sé stessa e percuote più volte la base del sego sottostante.
Questa sintesi, estratta dal lungo testo di Galluzzi, può essere illustrata mettendo in evidenza i dettagli del disegno di Leonardo. Per aiutare il lettore a comprendere meglio il fenomeno, Leonardo disegna delle linee che rappresentano il flusso dell’aria intorno alla candela: linee che però egli “vede” solo con la mente!
Queste linee in realtà non ci sono, perché non sono osservabili nell’esperienza diretta. È la mente di Leonardo, dunque, che vede la fiamma incunearsi nell’aria e il fumo penetrare la fiamma, fuoriuscendone dalla punta. In questa visione, tutta intellettuale, al fumo è assegnato il compito di dilatare la fiamma e all’aria quello di costringere il fumo: è il loro contrasto che spiega la luminosità del fenomeno (fa la fiamma più lucida e risplendente).

Tuttavia, l’idea di Leonardo che sia il fumo la chiave di lettura giusta per giungere all’essenza del brillare della fiamma non è distante da quella di Faraday, che spiega l’incandescenza centrando l’attenzione sui carboni sottilissimi del nerofumo. A questo punto si può mettere in evidenza il fatto che i duescienziati danno una spiegazione fisica differente dello stesso agente!

Confessiamolo, vedendo ardere la fiamma pensiamo mai a cosa stia capitando al fumo?
È raro, peraltro, veder uscire fumo dalle candele che oggi adoperiamo. Lo notiamo solo quando la fiamma viene interrotta da qualcosa di esterno che blocca la combustione, il vento o un “inghiottitore” di calore, come abbiamo mostrato in precedenza con lo spargi-fiamma metallico.
Dobbiamo riconoscere che è la teoria aristotelica ad ispirare la mente di Leonardo, l’unica concezione alla quale egli poteva riferirsi a quel tempo. Ecco come ce lo spiega Galluzzi: «L’analisi fenomenologica del fumo (a mia conoscenza, la prima condotta in assoluto, almeno con questo grado di dettaglio) ingloba anche i tentativi di spiegazione causale del suo comportamento: “Il mezzo della grossezza del fumo, per esser più lieve che l’aria, saglie infra essa aria, e i lati d’esso fumo ricaggiano giù, perché si fan più gravi che l’aria”. La teoria aristotelica degli elementi è chiamata in causa per spiegare ciò che Leonardo ha verificato osservando le evoluzioni del fumo generato dalla candela sul suo tavolo…».

Oggi usiamo candele di stearina mista a paraffina che non producono fumo, se lasciate fuori da forti correnti d’aria trasversali. Le nostre candele, quindi, usano un combustibile diverso dal sego che probabilmente le rendeva molto fumose ai tempi di Leonardo.
Lo stoppino di Leonardo, poi, è rigido e spesso, come si vede dal suo disegno, ed è molto diverso dal nostro che essendo flessibile ed intrecciato, favorisce l’ascesa per capillarità della cera fusa. Poiché l’introduzione della stearina nelle candele è del 1811, dello stoppino intrecciato è del 1825 e quella della paraffina è del 1831, Faraday nel 1860 usava candele già molto simili alle nostre.

L’esperimento della candela che possiamo fare oggi, in definitiva, può dirsi identico a quello di Faraday, ma non a quello di Leonardo e ciò va tenuto in considerazione.
A questo punto non manco mai di sollecitare un’ ultima osservazione: né il disegno attribuito a Hooker, né quello di Leonardo danno conto di quell’ “involucro bianco” che si nota abbastanza bene nella Fig.9, ma che era già distinguibile nelle Figg. 4 e 5 e nella foto a colori della Fig.3 quella «strisciolina» – per intenderci – sottile e molto chiara che avvolge la fiamma, ad una certa distanza, e va a raccordarsi ai bordi della candela.
Apparendo marcatamente più bianca, c’è da concludere che quella parte della corrente ascendente – così ben netta – abbia un indice di rifrazione diverso dal resto dell’aria, come ho già accennato. Si potrebbe dunque dire che ad accompagnare la fiamma verso l’alto, a destra e a sinistra, c’è una sorta di pellicola flessibile d’aria che fa convergere la luce.

Per far capire agli spettatori la funzione ottica di questa pellicola prendo una lente d’ingrandimento, la espongo accanto alla candela alla luce del video proiettore e metto in evidenza il puntino molto luminoso che ne risulta. Subito dopo, mi faccio prestare da uno spettatore un paio di occhiali da miope e mostro che con queste lenti l’effetto prodotto è un’area piuttosto scura e non concentrata, il che vuol dire che lì la luce diverge.

Ed ecco, per analogia, la mia spiegazione: dove il riverbero è più debole la luce ha attraversato zone in cui l’aria, meno densa perché più calda, si è comportata come una lente divergente: infatti è scaldata dal calore centrale della combustione che sale per convezione. Dov’è più marcato, l’aria è più densa, perciò si comporta come una lente convergente e l’unica ragione che si possa dare è che lì sia più fredda. Questa spiegazione aggiuntiva risulta un’utile conferma visiva della tesi di Faraday che sia proprio l’aria fredda ascendente lungo il cilindro ad irrigidire i bordi della candela!

In alto, dove queste due correnti si mescolano, abbiamo i caratteristici riccioli di cui Leonardo disegna la presenza.

 

  1. Oltre Faraday, ma lungo la sua strada

Ho già spiegato che alcune scene dello spettacolo non sono suggerite dal libro di Faraday ma provengono da altre ricerche, da alcuni miei studi recenti sull’argomento oppure da varianti suggerite dall’esperienza acquisita ripetendo gli spettacoli:

  1. a) come piegare una fiamma, mediante l’azione di magneti al neodimio allontanandola da questi;
  2. b) come piegare una fiamma verso un materiale non magnetico, accostandolo ad esso, sfruttando la depressione generata dalla corrente ascensionale;
  3. c) come far cadere un contenitore di plastica contenente una candela accesa e vedere gli effetti della mancanza di gravità;
  4. d) come studiare le particelle di nerofumo con la luce di un semplice puntatore laser e come osservare curiosi fenomeni di interferenza sul cilindro di cera con la stessa luce;
  5. e) come usare al posto dello spargi-fiamma due forchettine da dolce incrociate, quando al ristorante con l’amico o l’amica al lume di candela, si è in attesa del cameriere;
  6. f) come estrarre il nerofumo con una lenta carezza della mano: la temperatura della fiamma si abbassa al punto da non scottarla;
  7. g) come estrarre il nerofumo con un sughero e dipingere «baffi» finti sul volto di un amico;

Sarebbe lungo descrivere analiticamente il contenuto didattico di ciascuno di questi passi. Tuttavia, credo che sia necessario darne almeno un rapido cenno. I punti a) e b) riguardano due effetti che si osservano senza toccare direttamente la fiamma come è possibile osservare nella Fig.10.

La prima delle due azioni scaturisce dalla repulsione sulla fiamma esercitata da un forte magnete. I gas della fiamma, infatti, sono diamagnetici. Per rendere il fenomeno più evidente, impiego una colonna di quattro magneti al neodimio di forma cilindrica, di diametro 2,5 cm e altezza 1 cm. Non uso comuni magneti di ferrite perché sono circa dieci volte più deboli. Questo esperimento non figura tra quelli della Candela, ma era ben noto a Faraday. Non fu il primo a scoprire questa repulsione. La apprese da un articolo del fisico ligure Bancalari che lo aveva preceduto in questo campo. Per mostrare l’azione dei magneti sui gas, che sono invisibili, si potrebbe ripetere un curioso esperimento ideato da Faraday. Egli riempì di ossigeno alcune bolle di sapone e altre di azoto, poi osservò il loro comportamento in presenza di un campo magnetico. Le bolle riempite di ossigeno ne venivano attratte, quelle riempite d’azoto respinte. Si vedrebbe così che l’ossigeno è paramagnetico mentre l’azoto è diamagnetico. La seconda azione è invece basata sull’avvicinamento alla fiamma di una superficie qualsiasi. Preferisco, per comodità, usare una striscia di compensato. Avvicinando il compensato alla candela, si viene a formare una stretta intercapedine, lungo la quale la corrente d’aria calda ascendente, che avvolge la fiamma, è costretta a salire più rapidamente. Ciò produce una diminuzione di pressione, per l’effetto Venturi. Sull’altro lato della fiamma, invece, la pressione non cambia e la spinge a flettersi verso il compensato.

Il punto c) dell’elenco riguarda l’influenza della gravità sulla forma e sul colore della fiamma. L’esperimento consiste nel porre una piccola candela accesa dentro un barattolo cilindrico trasparente. Dopo averlo chiuso, per proteggerlo da movimenti d’aria non desiderati, viene lasciato cadere per più di un metro.
Durante la caduta si osserva che la fiamma, da oblunga e brillante, diventa rotonda e smorta. Infine, l’impatto sulle mani di chi raccoglie il cilindro cadente, fa sì che la cera fusa che rimbalza dalla ciotola vada a spegnere quel che resta della fiamma. L’esperimento, nonostante i suoi limiti, fa intuire che accade qualcosa al moto convettivo che conferisce, come abbiamo visto, la forma affusolata alla fiamma. La spiegazione è che in un sistema di riferimento in caduta libera, i corpi si comportano come se l’accelerazione di gravità fosse zero. Di conseguenza la forza di Archimede, che nel moto convettivo spinge l’aria calda verso l’alto non può che svanire. L’esperienza diretta, in quasi totale assenza di gravità, è stata compiuta dagli astronauti nelle navicelle spaziali.

I punti dal d) al g) hanno tra loro un legame. Cominciamo dal primo. Se la luce del sole produce un’ombra, quale effetto produrrà sulla fiamma la luce di un comune puntatore laser, tenuto conto che il nerofumo che ne è la parte più intima è costituito da tanti minuscoli granellini opachi? Puntando sulla fiamma il raggio laser non si osserva un apprezzabile scattering. È sorprendente che la luce del laser non trovi ostacolo né venga diffusa da questi granellini! Ma è una buona occasione per spiegare il fenomeno ricordando che le minuscole particelle di carbone, avendo dimensione inferiore alla lunghezza d’onda del rosso, interagiscono solo debolmente con questa luce. Infatti si sa che in maggioranza esse non superano i 50 nm, che è evidentemente minore dei circa 700 nm della lunghezza d’onda del rosso. Se subito dopo spostiamo la direzione del laser dalla fiamma al cilindro bianco della candela, abbiamo la sorpresa di notare tanti puntini rossi che si accendono e si spengono in modo caotico.

Il raggio rosso incidente incontra ora una materia che ha una struttura diversa dal nerofumo e che lo diffonde come una specie di plafoniera. E poiché quella del laser è luce coerente, subisce tante interferenze costruttive e distruttive con se stessa, in modo del tutto casuale. Questi puntini che brillando in modo intermittente invadono gran parte del cilindro bianco sono chiamati speckles (Fig. 12). Al buio lo spettacolo degli speckles è davvero impressionante. La cera interessata da queste macchioline appare talmente arrossata da sembrare leggermente rigonfia.

Le particelle di nerofumo, che sono piccolissime, possono essere raccolte con la mano? In altri termini, è possibile un’esperienza hands-on con il nerofumo? La risposta è sì: accarezzando ripetutamente e senza sostare la punta della fiamma con la mano, alcuni granellini di carbone restano attaccati sul palmo.
Ma possono anche essere catturati su vari altri materiali: piatti, cucchiai, forchette ecc.
Il modo classico per farlo consiste nel raccogliere il nerofumo con un tappo di sughero ed usarlo per camuffare il volto di una persona che intende partecipare a una mascherata. Occorre precisare però che in questo caso il sughero non solo preleva il nerofumo dalla fiamma della candela, ma produce esso stesso del carbone a causa della combustione. C’è, insomma, un trucco nel trucco!

Infine, consideriamo un mini science show finale che potrebbe intitolarsi “A lume di candela al ristorante”. Non avendo a disposizione uno spargi-fiamma un commensale potrebbe usare due forchettine da dolce. Alzandole e abbassandole sulla fiamma trasformerebbe con un colpo di teatro il «fumo» bianco in «fumo» nero e viceversa, commentando il fatto con un simpatico habemus (col bianco) o non-habemus (col nero) papam! E potrebbe mettere le forchettine nelle mani dei suoi amici, perché provino direttamente, almeno fino a quando arriva il cameriere! Sarebbe una divulgazione scientifica ancora più confidenziale.

Queste esperienze aiutano lo spettatore ad entrare ancor di più nel cuore dei fenomeni della fiamma. Gli permettono un’incursione nel mondo dell’estremamente piccolo con materiali alla nostra portata: con la cera e il nerofumo, con un laser e delle forchette. Si tratta di pretesti che vorrebbero sfruttare la meraviglia di chi osserva per fargli considerare i processi di trasformazione delle molecole nella combustione e anche i fenomeni della diffusione e dell’interferenza della luce ai quali difficilmente si pensa! Un po’ di fisica e un po’ di chimica con cose di tutti i giorni, cioè nient’altro che l’obiettivo di Faraday!

 

  1. Mentre si insegna, si impara

Il copione del mio show, volutamente, cambia ogni volta in parte, anche perché vi inserisco sempre le novità apprese nel precedente confronto con il pubblico comune o con gli insegnanti. Come diceva Seneca, «Homines, dum docunt, discunt», imparo io stesso cose nuove mentre spiego agli altri quel che so. Ad esempio, al Festival Europeo Science on Stage2, svoltosi qualche anno fa a Grenoble, un collega belga si è stupito che i moti convettivi intorno alla candela fossero così evidenti e mi ha detto che potevano essere usati per un studio sul numero di Reynolds, un indice che come si sa, è molto importante per lo studio della dinamica dei corpi nei fluidi, ad esempio quello dei profili alari degli aerei.

Ho sfruttato la sua idea osservando i moti convettivi intorno a corpi di varia forma. Un altro collega, a Trieste, durante il mio spettacolo a Comunicare Fisica 2007, mi ha ricordato che il nerofumo è molto più importante di quello che immaginiamo nella nostra vita quotidiana. L’elasticità della gomma dei pneumatici, infatti, dipende proprio da esso. Ho inserito subito questo fatto nella scaletta dello show successivo, in coerenza con lo stile di Faraday che ogni volta che poteva prendeva spunti dalla vita di tutti i giorni.
D’altra parte mi piace commentare frasi celebri o brani letterari abbastanza noti che hanno a che fare con la candela, per ricavarne spiegazioni scientifiche.

Il proverbio «Né donna, né tela al lume di candela» non è facile da capirsi oggi, nel pieno dominio della potenza delle luci elettriche. Pochi ricordano che al calar del sole, un tempo, con la flebile luce di una candela, non si distinguevano più né le persone, né gli oggetti. Scegliere una donna come moglie, poi, era proprio sconsigliabile. Al colore giallastro della fiamma di una candela anche una bella ragazza, in possesso di un bell’incarnato roseo, rischiava di apparire malaticcia. Lo stesso valeva per la tela, la cui buona qualità era apprezzabile solo alla luce del giorno. Se assumiamo che per le particelle di nerofumo che bruciano a 1200°C valga la legge di Wien, il loro picco di emissione sarebbe approssimativamente alla lunghezza d’onda di 2 μm. Dato che il nostro occhio ha la massima sensibilità intorno ai 0,5 μm, non è alla luce della candela che dovremmo affidare le scelte importanti a cui si riferisce il proverbio! Riflettendo su questi fatti, colgo l’occasione per fare alcune considerazioni sul colore della fiamma, in relazione a quello delle lampade ad incandescenza e fluorescenti. Mi soffermo anche su un altro modo di dire: «Il gioco non vale la candela».

È un confronto tra la speranza di vincere ad un gioco d’azzardo, come i dadi, in un’osteria e il costo non indifferente della candela al lume della quale il gioco avveniva. Una candela di sego, oltre a costare, utilizzava grasso animale che poteva essere anche utile per l’alimentazione. I guardiani dei fari in assenza di altro cibo, spesso, ne approfittavano!

Traggo spunto anche dai suggerimenti degli alunni e dai colleghi insegnanti, che spesso sono protagonisti insieme a me delle esibizioni.
È molto simpatico trasformare in situazione spettacolare, ad esempio, il brano de I Promessi Sposi, nel quale Don Abbondio viene raffigurato così: «come lo stoppino umido e ammaccato d’una candela, che presentato alla fiamma d’una gran torcia, da principio fuma, schizza, scoppietta, non ne vuol saper nulla; ma alla fine s’accende e, bene o male, brucia».
Basta bagnare lo stoppino di una candela e tentare ripetutamente di accenderlo! Si capirà molto bene l’imbarazzo di Don Abbondio davanti al Cardinale Federigo. Oppure richiamare qualche brano del De Coelo di Aristotele, per confrontare la sua idea di fuoco e del suo movimento naturale verso l’alto, con la nostra, alla luce di quanto abbiamo appreso dagli esperimenti con la candela.
E infine, con un brevissimo ma efficace accenno alla visione del mondo di Faraday, concludo il mio spettacolo leggendo l’esortazione finale ai giovani contenuta nelle ultime righe della sesta conferenza:

«Di certo, tutto ciò che posso dirvi al termine di queste conferenze (perché, prima o poi, dobbiamo arrivare ad una conclusione), è che voglio esprimere il mio augurio che voi possiate, nella vostra vita, essere paragonati a una candela; che possiate brillare come essa, con una luce che illumini coloro che vi circondano; che in tutte le vostre azioni voi possiate testimoniare la bellezza della candela, comportandovi in modo onorevole e valido allo scopo di fare il vostro dovere nei confronti dei vostri simili».
Sappiamo infatti che ogni vivente respira producendo anidride carbonica e vapor acqueo, proprio come la candela. Il vivente, perciò, “funziona” come una candela. Ma non per questo merita di essere paragonato ad una candela che spande anche luce intorno a sé. Ne è degno, se è attivo, capace, intelligente, altruista e viene riconosciuto tale da coloro che lo circondano. Per Faraday, una tale persona è bella al pari della fiamma. Non bella “in sé” o perché è sapiente e conosce più di altri i segreti della natura, ma perché sente l’obbligo morale di diffondere il suo sapere agli altri uomini “in modo onorevole e valido”.

 

  1. Conclusioni

Per concludere, vorrei indicare ai lettori che hanno seguito con interesse la presente interpretazione della Candela di Faraday alcuni aspetti significativi della mia attività.

Leggere il testo delle conferenze del grande scienziato per eseguire dettagliatamente i suoi esperimenti è stata l’occasione per fissare nella mia mente importanti avvenimenti di storia della fisica e della chimica dell’ottocento. Ciò ha dato un sapore diverso alla conoscenza che avevo della cultura scientifica di quell’epoca.
Senza l’impiego della telecamera e del videoproiettore non avrei potuto attualizzare la meravigliosa scenografia che sottende le azioni dimostrative di Faraday. Il linguaggio televisivo, tra l’altro, ci ha ormai abituati a cogliere i dettagli e ciò che presentiamo al pubblico, se non è offerto in forme evidenti e con un bell’ingrandimento, rischia di non essere apprezzato.
A volte ho preferito che nello spettacolo fosse un mio alunno ad assumere il ruolo di Faraday e che, sulla scena, collaborassero con lui alcuni suoi compagni di classe ( Fig. 14), standomene io in disparte. Per queste occasioni ho elaborato una riduzione del testo della Candela che, presentata al Concorso Scienze in Fiore del 2008-09 promosso dall’Immaginario Scientifico di Trieste, ha avuto l’onore di essere premiata.

Per i ragazzi che vi hanno preso parte, tali situazioni si sono tradotte in apprendimento concreto, dovendo essi imparare a manipolare i materiali necessari allo spettacolo. Si sono rivelate uno stratagemma educativo efficace, credo lo si possa suggerire anche ad altri, considerato che i nostri alunni studiano scienze prevalentemente fuori da contesti reali, come dimostrano i risultati delle indagini internazionali Ocse-Pisa. Ma non nuovo, se già San Tommaso d’Aquino scriveva: «Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu», riprendendo a sua volta questa frase dalla saggezza degli antichi Greci.

Tra le molteplici abilità di Faraday, l’abbiamo visto, il saper maneggiare gli oggetti era intimamente connesso alla sua capacità di scoprire fatti nuovi, che egli usava comunicare agli altri con uno stile garbato, ma denso di sorprese e simpatici colpi di scena. Oltre a cercare di far lo stesso, io coinvolgo sempre qualche ragazzo del pubblico nell’esecuzione di alcuni esperimenti del mio programma, facendogli vincere a volte la naturale timidezza. Lo invito a metterci le mani dicendogli: «E adesso fallo tu».
Infine, vorrei sottolineare che il paragone tra la respirazione e la fiamma di una candela, collocato dal grande scienziato al termine delle sue conferenze, le completa degnamente. È un espediente pedagogico al quale non rinuncio mai perché mostra in modo semplice, ma toccante, la natura chimica della vita umana.

Se ad esso aggiungo molto brevemente, con le stesse parole da lui pronunciate, la similitudine tra la bellezza della fiamma, che illumina tutti intorno a sé, e quella di chi opera onorevolmente a favore degli altri, l’espediente riesce addirittura ad emozionare i miei giovani spettatori. E io spero che questo serva da incentivo affinché diventino a loro volta entusiasti protagonisti della diffusione della cultura scientifica.

 

Bibliografia

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