La comunicazione totale

La risorsa infinita. Capitolo 9

La comunicazione totale

 

L’educazione, bene globale

Nel mercato globale, chi non è competitivo viene annientato. La competitività è condizione per esistere, per avere voce; tanto più se si vuole avere voce critica, se si vogliono fare proposte alternative ed essere ascoltati
D’altra parte, condizione per la competitività è la capacità di produrre scienza e di produrre e recepire innovazione tecnologica. Occorre costruire la “società della conoscenza”, in particolare della conoscenza scientifica.
Il nostro paese – come abbiamo visto – parte svantaggiato. Il suo “sistema ricerca”, che pure ha punti di eccellenza, è strutturalmente debole; scarso il tenore di sapere scientifico diffuso nella società; scarsa la propensione dei giovani verso le discipline e le attività scientifiche. Come punto di forza, possiamo per contro mettere in campo le solide e antiche tradizioni di cultura umanistica. Se riusciremo a crescere nel versante scientifico, senza rinunciare alle nostre tradizioni culturali, possiamo proporci come propulsori di una nuova alleanza, verso cui d’altra parte l’Europa tutta propende.

Per potere entrare, a ragion veduta, nel merito di come concretamente si possa agire con l’educazione scientifica per costruire la società della conoscenza, è utile e doveroso partire ancora una volta da alcune considerazioni di carattere generale.
La prima considerazione è che il nostro paese ha fatto la scelta  – per altro obbligata visto il contesto internazionale in cui ci troviamo – di operare in regime di libero mercato, se pure moderato da uno stato garante (almeno nelle enunciazioni e nei propositi) della salvaguardia dei diritti fondamentali dei cittadini. Per sua parte il mercato, come propulsore e regolatore dell’economia, funziona in maniera soddisfacente quando il sistema della domanda e quello della offerta siano messi in condizione di confrontarsi con dotazione paritetica di frecce ai rispettivi archi. Ma da quando siamo entrati nella presente fase della civiltà e dell’economia, in cui il principale motore dello sviluppo sono la scienza, la tecnologia e l’innovazione, l’accesso a queste risorse strategiche e determinanti si è fortemente squilibrato a favore del sistema dell’offerta, che in più detiene il controllo pressoché incondizionato dei mezzi di informazione e comunicazione, con la conseguente capacità di influire pesantemente sui gusti sui valori e sulle scelte operate dal sistema della domanda (dai compratori, cioè in sostanza dai cittadini tutti).

Nella costruzione della civiltà della conoscenza – una operazione che richiede una complessiva crescita del patrimonio di conoscenza e di saperi posseduto dal sistema paese – è necessario prestare particolare attenzione ad evitare che questa nuova potente risorsa sbilanci ancor più il mercato  a favore dei poteri forti che rappresentano il sistema della offerta.
Questa attenzione va in particolare dedicata al sistema scolastico, che è il principale strumento di trasmissione della conoscenza e della cultura; e che è stata oggetto negli ultimi lustri di ricorrenti interventi di riforma e controriforma che hanno per ora sortito l’unico effetto di disorientare il corpo docente e dirigente della scuola.
Intorno al problema della scuola e della sua riforma si scontrano visioni politiche e culturali articolate e varie, tutte comprese fra due modelli estremi.

 

Due modi di intendere l’autonomia della scuola

A un estremo vi è chi vuole che la scuola, pubblica o privata che essa sia, venga pensata progettata e riformata in modo da trasformarla in uno strumento efficiente capace di dare risposta a domande espresse da un “committente” che sia preferenzialmente economicamente solvibile, o sia comunque rappresentativo del sistema economico e garante degli interessi da questo espressi.
In questa visione, l’istituto scolastico è modellato come una azienda, che dovrà organizzarsi in modo da saper reperire, per quanto possibile, le risorse economiche necessarie alla sua vita direttamente dal rapporto col mercato; gli allievi verranno detti “utenti” e dovranno essere preferenzialmente solvibili dal punto di vista economico. L’educazione e la formazione saranno confezionati in forma di “servizi”, intesi come prodotti e funzioni progettati e realizzati in modo da essere “venduti” (per acquisto diretto da parte dell’utente; anche se nel caso di utenti appartenenti a fasce sociali deboli si ammetterà che tali servizi vengano pagati dallo stato per conto dell’utente stesso); prodotti dunque “spendibili”, dall’utente, direttamente sul “mercato del lavoro”. I piani di studio dei corsi universitari e post-universitari verranno elaborati in collaborazione stretta con il sistema industriale, e più in generale col sistema della offerta di prodotti di servizi e funzioni, cui viene riconosciuto il ruolo di motore primario della economia e dello sviluppo, e dunque della civiltà; e lo stesso accadrà per i corsi di diploma e per quelli professionali, condizionando via via in cascata programmi e metodi di insegnamento di tutto il sistema educativo e formativo fino alla scuola dell’obbligo.

In questo riferimento, è del tutto normale che si affermi (tanto per fare un esempio fra i tanti che si ha l’occasione di ascoltare) l’inutilità di insegnare la nostra lingua e la sua storia e le sue radici, anche qualora si riconosca che l’imparare a comporre in italiano è un processo strettamente collegato al saper dare ordine ai propri pensieri, al saper criticare, all’interrogarsi sui valori. Si affermerà comunque come prioritaria la necessità di imparare a farsi capire, seppur stentatamente, in quella deformazione della lingua inglese che è il gergo impiegato in ambito internazionale per le comunicazioni di tecnica e di economia, tanto più che è questo lo stesso gergo in cui comunicano fra di loro i computer. E quando si parla di “problem-solving” si intenderà soprattutto l’appropriazione – da parte del discente – di un catalogo di ricette capace di guidare alla ricerca della risposta risolutiva per un ventaglio di problemi che altri abbiano impostato per noi; e quando anche si sia consapevoli della necessità di un metodo che consenta anche di dar risposta a questioni nuove, non ancora codificate, l’enfasi sarà comunque sempre concentrata sulla risposta, trascurando la precedente fase, giudicata inessenziale, che è quella di scegliere quali siano le domande alle quali è opportuno lavorare per cercarne le risposte.

Tutti questi valgano come semplici esempi atti a illustrare quali possibili implicazioni in termini di curricula, nonché‚ di metodi e tecniche educativi e formativi, conseguano dall’immaginare il sistema scolastico come concettualmente subordinato al sistema economico, e finalizzato a dar precise risposte alle domande che quest’ultimo esprime.
Se vogliamo rappresentare con un diagramma il rapporto funzionale che in questa visione la scuola dovrebbe avere con la società e col mercato, possiamo immaginare la seguente rappresentazione.

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È chiaro che quando, all’interno di questo schema, si usa per la scuola l’attributo di “autonomia”, non può che intendersi che essa dovrebbe svincolarsi da ogni riferimento (culturale, politico, organizzativo) per essere pienamente libera di adattarsi alle esigenze espresse dal mercato, e più in particolare dal sistema della offerta.
In questo modo la scuola verrebbe usata per squilibrare ancor più la bilancia a favore del sistema della offerta, con la prospettiva di amplificare ancor più le distorsioni che abbiamo discusso e rappresentato più sopra. Sarebbe grave se consentissimo che la scuola privata si desse una missione così riduttiva e distorta; sarebbe gravissimo e imperdonabile se addirittura queste distorsioni le lasciassimo penetrare nella scuola pubblica.

All’altro estremo, si colloca il progetto scolastico di chi è convinto che la cultura individuale sia fra le condizioni prime che determinano la qualità della vita di ogni singolo; e che il tasso di cultura collettiva del tessuto sociale in cui ciascuno vive e opera, sia uno degli ingredienti, forse il principale, fra quanti definiscono la qualità dell’ambiente. Ammettiamo anche di accettare il punto di vista, espresso nelle pagine che precedono, che perché  la qualità della vita di una comunità umana sia accettabile è necessario che in essa in continuazione germoglino fonti distribuite di reddito; condizione garantita soprattutto da una economia parallela basata sulla valorizzazione delle risorse locali, fatte di ambiente, cultura e capacità di lavoro (ivi inclusi i saperi tradizionali).

Allora, se ammetteremo che vi sia una scuola privata, pagata da un lato dagli utenti che vogliano acquistare i suoi servizi, e dall’altro da quei magnati dell’industria e dell’economia che abbiano interesse a investire in essa; e se pure qualcuno di noi accetterà che tale scuola privata si limiti a dare una risposta alla domanda culturale (davvero povera, parcellizzata, finalizzata e specialistica) espressa dal mondo della offerta e da questo quantificata e codificata; pretenderemo però anche, tutti insieme, che la scuola pubblica sia presente e forte, e che la sua offerta di cultura sia ben più articolata e varia, e metodologicamente fondata.
Usando, anche in questo caso, un diagramma rappresentativo, otterremo la seguente figura:

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In questa visione alternativa autonomia significa svincolare la scuola dai condizionamenti espressi dal mercato per renderla libera di adattarsi alle esigenze culturali: perché è la cultura che deve pilotare il mercato, e non viceversa.
Se la “cultura” è, in questo schema, il motore primo che muove e alimenta il processo educativo e formativo (e, per indotto, plasma anche il sistema produttivo e il mercato), v’è da chiedersi da quale miracolosa fonte emani questa fondamentale risorsa primaria. Credo che la risposta sia semplice e chiara: cultura è il sapere intersoggettivo che ogni civiltà ha pazientemente costruito nel corso della sua storia (e ciò dà ragione della parte tratteggiata, che è però fondamentale, disegnata nel diagramma); ed è per questo che abbiamo orrore dei roghi, e di ogni altro segnale di rinuncia alla memoria, primo sintomo di ritorno alla barbarie.

Ora, quando a proposito di funzioni del sistema scolastico useremo la parola “servizio”, non intenderemo un prodotto confezionato dalla “azienda-scuola” per essere venduto sul mercato della formazione; intenderemo “servizio” nel senso etimologico, latino, di dedizione e sistematica attenzione a dar risposta ai bisogni educativi innanzitutto, ma non solo, espressi dalla comunità umana della quale ogni istituto scolastico è, per l’appunto, al “servizio”. E “autonomia organizzativa” sarà la libertà, che viene raccomandata e stimolata, di ogni istituto scolastico a darsi le forme organizzative che consentano di svolgere nella maniera più compiuta ed efficace la sua missione di valorizzazione delle risorse culturali, di lavoro e di pensiero, che l’ambiente naturale e sociale e la sua storia mettono a disposizione di quella comunità.
Questa visione, che vorrebbe la scuola di oggi come evoluzione e modernizzazione e potenziamento (grazie alle grandi opportunità messe a nostra disposizione dai nuovi saperi e dalle nuove tecnologie) della scuola dei nostri padri, senza volerla necessariamente stravolgere e rinnegare, si riflette non solo in precise implicazioni in termini di contenuti formativi, ma influenza anche i metodi educativi.

 

Questioni di metodo

A proposito di metodo, ci limiteremo a due considerazioni che ci appaiono assai rilevanti. La prima è che il metodo scientifico è in sostanza applicabile non solo alla generazione di nuovo sapere intersoggettivo; ma anche alla sua efficace trasmissione. In tal senso, esso può essere considerato anche come potente strumento educativo.
La seconda osservazione riguarda quel particolare passo del metodo scientifico consistente nell’organizzare le osservazioni in uno schema astratto di carattere assiomatico-deduttivo. Se noi rinunciamo alla richiesta che tale schema astratto sia necessariamente formalizzato in termini matematici, accontentandoci (si fa per dire!) di pretendere che si tratti di uno schema logico organizzato e coerente, allora lo stesso metodo è applicabile non solo alla ricerca (e alla didattica) nelle discipline naturali (che vengono usualmente classificate come “scientifiche”), ma anche alla ricerca e alla didattica in qualunque altra disciplina (storica, filosofica, linguistica, ecc).

In questo riferimento, dal punto di vista della maturazione della capacità di partecipare attivamente alla produzione di sapere intersoggettivo non è tanto importante che cosa si insegna e si impara, quanto piuttosto come lo si insegna e lo si impara.
Quanto al “come”, la nostra indicazione è chiara, col suesposto accenno al metodo scientifico; quanto al che “cosa”, raccomandando un equilibrio fra l’orizzonte globale e quello territoriale locale, sono tre i diversi terreni da presidiare e su cui dunque operare:
a)  L’alfabetizzazione di massa in tema di nuove tecnologie, in particolare ICT. Si tratta di una grande e impegnativa operazione culturale, organizzativa ed economica, tanto più complessa in quanto le ICT (Information and Communication Tecnologics) sono in continua e rapidissima evoluzione, per cui la loro capillare diffusione nella società non può essere intesa come una rivoluzione da compiersi una volta per tutte: essa deve essere un processo formativo che accompagna ogni cittadino durante tutto l’arco della sua vita (“ life long learning”).
Tuttavia tanta è l’efficacia di tali tecnologie come facilitatore della vita nei suoi vari momenti ( lavoro, tempo libero, educazione), anche in rapporto al costo sempre più accessibile a larghe fasce della popolazione, che la loro diffusione sta avvenendo spontaneamente ad un ritmo e ad un livello di penetrazione che nessuno aveva ipotizzato a priori. Probabilmente, la progettazione e la realizzazione di un soggetto facilitatore a livello nazionale –  la cui efficacia sarebbe potenziata dallo stesso impiego  delle ICT – sarebbe utile ed auspicabile; ma noi non ci occuperemo  di questa possibile operazione qui e nel seguito.

b) La promozione della partecipazione sociale alle scelte. Come abbiamo a più riprese accennato, e come approfondiremo più avanti, il sapere scientifico e l’innovazione – frutto della ricerca pura e applicata – sono il vero motore dell’economia e dello sviluppo nella presente fase storica. Si tratta di un potenziale enorme a disposizione dell’uomo, affinché egli possa trasformarlo in progresso, con positivi riflessi sulla qualità della vita di tutti. Tuttavia un uso distorto e  improprio – come purtroppo oggi accade, fino a che l’unico criterio adottato come guida nelle scelte è la produzione di profitto – può produrre effetti indesiderati e comunque non sostenibili, che incidono negativamente sulla vita di molti e talvolta addirittura di tutti. È dunque doveroso e giusto che la collettività vigili sulle scelte, e che sia messa in condizioni di vigilare con adeguata consapevolezza. Cruciale a  tal fine è una informazione quantitativamente e qualitativamente corretta, che rappresenti in contraddittorio l’opinione di esperti, sia di coloro che sono favorevoli che di quelli contrari ad ognuna delle scelte più rilevanti dal punto di vista del potenziale impatto sia di carattere strategico globale, che più puntuale e locale.
Attualmente, la situazione su questo delicatissimo terreno è quanto mai carente; in particolare i mass-media dedicano una attenzione scarsa e inadeguata alla informazione sui raggiungimenti scientifici e tecnologici, e ancor meno al dibattito sui possibili scenari futuri che ogni scelta può produrre.

c) Stimolazione dell’interesse dei giovani verso il metodo scientifico.
“La scienza è il complesso delle attività umane volte a conoscere – attraverso l’esperienza e il ragionamento – il mondo, le sue leggi, le sue cause e i suoi principi generali. La scienza pura raccoglie la conoscenza. La scienza applicata la traduce in pratica”.
Dunque: esperienza e ragionamento.
Esperienza vuol dire osservare il fenomeno oggetto di studio; acquisire conoscenza del fenomeno, quantificandola in numeri – ove possibile – attraverso la misura. Fino a che non abbiamo osservato, non sappiamo nulla; e dunque potremmo pensare che esperienza e ragionamento seguano in quest’ordine: prima osservare, e poi ragionare sui risultati dell’osservazione. In realtà i due momenti procedono in stretta interazione l’uno con l’altro.

 

Un semplice istruttivo esempio

Esemplifichiamo con un semplicissimo esperimento: una classe scolastica si prefigge di determinare la forma del pavimento dell’aula.
L’aula è una struttura realizzata con materiale da costruzione (cemento, mattoni,ecc.). Se dovessimo indagare la sua resistenza strutturale, o le sue prestazioni termiche, o la sua luminosità, ecc. dovremmo tener conto di un sacco di proprietà (meccaniche, termiche, ottiche, ecc.) dei suoi componenti (pareti, pavimento, soffitto, ecc.). Ma noi siamo interessati ora a indagare semplicemente la forma del pavimento, che si presenta come una struttura che può essere rappresentata con buona approssimazione come una porzione di superficie piana, delimitata da quattro lati (segmenti) ciascuno avente una certa lunghezza, e formante certi angoli con i lati contigui. Con ciò, gli elementi materiali costituenti l’aula, sono stati rappresentati – ai fini che ci interessano – con  entità astratte (segmenti, angoli, superfici, ecc) inquadrati entro un castello logico – deduttivo ben noto, che si chiama “geometria euclidea piana”, regolato da leggi, teoremi, ecc. Ribadiamo che le entità geometriche (segmenti, angoli, circonferenze, poligoni, ecc.) non sono oggetti materiali: sono entità astratte che rappresentano proprietà o aspetti degli oggetti reali, e tuttavia possono essere misurati e dunque quantificati con un numero. A questo punto dell’esperimento – a questo punto della sua indagine scientifica – la nostra classe può porre mano al metro, e misurare i quattro segmenti che costituiscono i lati del quadrilatero che rappresenta il pavimento dell’aula.

Ammettiamo che i quattro lati risultino avere – entro la precisione con cui siamo in grado di misurarli – la stessa lunghezza. Con ciò la forma del pavimento non è ancora univocamente determinata : un quadrilatero equilatero può essere infatti un quadrato, ma anche un qualsivoglia rombo. Per sciogliere questo ultimo nodo dobbiamo ora misurare uno degli angoli interni; usando noti teoremi di geometria relativi ai quadrilateri il valore degli altri angoli può essere calcolato senza bisogno di ulteriore misure. In particolare, se l’angolo misurato risultasse retto (pari a 90°), anche gli altri tre sarebbero necessariamente retti. È possibile e probabile che la classe ipotizzata – che non ha difficoltà a misurare lunghezze – abbia difficoltà a misurare un angolo. In questo caso, il dubbio può essere sciolto misurando le due diagonali: se risultano essere fra di loro uguali, abbiamo necessariamente a che fare con un quadrato. In questo caso, considerando che una diagonale divide il quadrato in due triangoli rettangoli – di cui la diagonale è l’ipotenusa – la sua lunghezza può essere calcolata usando il teorema di Pitagora, consentendo di verificare che questa previsione risulta rispettata.

Come vediamo, il nostro esperimento, ancorché semplicissimo, è stato condotto facendo interagire in stretto rapporto reciproco l’osservazione e il ragionamento.
È nostra esperienza diretta che un giovane allievo, condotto per mano a realizzare insieme alla sua classe un esperimento – pur così semplice come quello qui delineato – ne riceverà una impronta positiva che lo accompagnerà nel corso del suo intero processo formativo.
Tanto maggiore tale impronta, se l’emozione della scoperta sarà fatta vivere dal docente portando l’allievo a immaginare di essere Eratòstene, quando con mezzi e strumenti rudimentali ha dimostrato – quasi duemila anni prima di Colombo, – che la Terra è sferica e ne ha determinato il raggio; o Galileo, quando ha intuito e poi dimostrato che due corpi qualunque per azione della forza peso cadono di conserva; o lo stesso Galileo quando usando il suo piano inclinato e alcuni semplici campanellini ha posto le basi dell’intera dinamica classica; o Archimede quando ha potuto esclamare Eureka!; tanto per citare alcuni fra i mille esperimenti che un docente intelligente può proporre alla sua classe utilizzando un corredo di strumenti che la maggior parte dei bambini dei nostri tempi trova abitualmente nei cassetti di casa sua, e spesso addirittura nelle sue tasche.
Un campionario abbastanza ricco di possibili esperimenti – corredato dalla sceneggiatura per riproporre in aula il loro svolgimento – è reperibile nel catalogo delle attività didattiche di Città della Scienza di Bagnoli.