L’albero di Natale: simbologia e storia

A parte il presepe e S. Nicola (e gli adattamenti che del Santo sono stati fatti in ogni parte del mondo e nel tempo), non esiste un simbolo più rappresentativo dell’albero per le festività di Natale.

La storia dell’albero di Natale (o degli alberi di Natale, poiché se ne usano specie diverse) segue da vicino la storia della stessa Natività e della necessità per il Cristianesimo di costruire una simbologia propria, assimilando le tradizioni e i simboli delle religioni pagane pre-esistenti in tutta Europa (sincretismo). Tradizioni e simboli da eclissare. Come quelle legate al culto di Saturno, dio dell’agri-coltura, o a quello di Mitra. Entrambi, in tempi diversi, celebrati nello stesso periodo dell’anno, nel solstizio d’inverno. È questo uno dei motivi per cui fu deciso, solo nel IV secolo, di celebrare la nascita di Cristo il 25 dicembre, anche se all’epoca non era consuetudine celebrare l’anniversario della nascita di qualcuno. Allora quale metafora migliore di un albero, che germina, si radica, cresce, ramifica e genera semi per riprodursi? E cosa migliore di un albero “sempreverde”, capace di trasferire il messaggio di rinnovamento e immortalità?

Presenze e segni sulle origini dei nostri alberi di Natale possono essere riscontrate nelle più antiche culture pagane. I Romani decoravano le loro case con rami di pino e altre sempreverdi alle Calende di gennaio. Tra i Celti, i sacerdoti e le sacerdotesse druidi (dal gaelico duir, ossia quercia) usavano decorare i loro alberi sempreverdi, abeti e pini rossi, per le celebrazioni del giorno più corto dell’anno. Tra i Vichinghi dell’estremo Nord dell’Europa, dove il sole “spariva” per settimane nel pieno dell’inverno, nella settimana precedente e successiva al giorno con la notte più lunga si officiavano le solennità per auspicare il ritorno del sole e della vita. L’abete rosso, così diffuso a quelle latitudini, era ritenuto in grado di esprimere poteri magici, poiché, a differenza delle betulle e del sorbo e delle poche altre decidue in grado di resistere alle rigidità boreali, non perdeva le foglie nei geli dell’inverno. Alberi di abete venivano tagliati e portati a casa, decorati con frutti, ricordando la fertilità che la primavera avrebbe ridato agli alberi. E quando i primi missionari raggiunsero le regioni scandinave cominciò a diffondersi l’uso dell’albero di Natale anche come simbolo cristiano. Nell’Alto medioevo, i primi alberi di Natale erano chiamati “alberi del Paradiso” e venivano decorati con mele (chiara allusione al peccato originale) e ostie (brandelli del corpo di Cristo sacrificato per scontare il peccato originale). Col tempo le ostie furono poi sostituite da candele, noci, castagne, dolci e biscotti, come simboli della redenzione di Cristo.

Una leggenda dice che San Bonifacio di Crediton (un villaggio inglese, nel Devon), giunto in Germania nel 716 per predicare alle tribù germaniche pagane e convertirle al Cristianesimo, abbia incontrato un gruppo di pagani pronti a sacrificare un ragazzo mentre adoravano una quercia. Nell’impeto e per fermare il sacrificio, San Bonifacio si scagliò con un’ascia contro la quercia e quando l’ebbe abbattuta, con suo grande stupore, vide spuntare un magnifico abete dalla ceppaia della quercia.  San Bonifacio lesse questo evento come un segno della fede cristiana e da allora i suoi seguaci iniziarono a decorare quell’albero con candele, in maniera che il Santo potesse predicare ai pagani anche di notte.

Il primo uso, documentato da testi, dell’albero come simbolo di Natale e Capodanno risale al XVI secolo. La Confraternita delle Teste Nere, un’associazione di commercianti e armatori locali non sposati, nel 1510 diede vita al rito di porre un albero al centro della piazza principale di Riga (Lettonia) e di darlo poi alle fiamme a Capodanno.  Nella piazza, tra la chiesa di San Pietro e il palazzo della Confraternita, vi è oggi una targa commemorativa del primo albero di Natale e Capodanno (www.firstchristmastree.com). Lo storico Balthasar Russow nel 1584 ha descritto la tradizione di un abete decorato nella piazza dove i giovani “arrivano con uno stuolo di fanciulle e donne, cantavano, ballavano e quindi davano fuoco all’abete”.

L’abete, come ci ricorda Mario Rigoni Stern in Vite dall’Altipiano, è il genere più comunemente usato come albero di Natale “per il colore e il profumo deliziosi”. In Europa sono usati anche i pini (soprattutto il pino silvestre e il cembro). Le specie cambiano in Nord America (douglasia, sequoie, cipressi) e nell’America Centrale e Sud America (ginepri, araucarie). Il pino d’Aleppo è usato nel Sud dell’Italia per decorare e creare il fondo dei presepi.

Ma non ci sono solo le conifere tra le piante simbolo della Natività. Il vischio era già in uso nelle religioni pagane per celebrare l’arrivo dell’inverno e ad esso venivano conferiti poteri curativi. In Scandinavia il vischio era foriero di pace e armonia ed era associato a Frigga, dea dell’amore. I Druidi ponevano rami di vischio sulla porta d’ingresso per tenere lontani gli spiriti del male.  La Chiesa delle origini ne vietò l’uso durante il Natale a causa delle sue origini pagane e lo sostituì con l’agrifoglio, per simboleggiare la corona di spine di Cristo, mentre le bacche della pianta alludono alle gocce di sangue che escono dal capo.

Albero di Natale vero o artificiale? Albero vero con radici o senza? Esiste una vera e propria disputa circa l’opportunità“ecologica” di usare gli alberi di Natale veri o falsi. Attualmente agli italiani piace falso: due su tre degli alberi di Natale acquistati sono falsi. E la gran parte arriva dalla Cina. Generalmente sono fatti in PVC o poli-etilene o altri derivati del petrolio. Ma se ne trovano anche in fibra, addirittura di alluminio. Il vantaggio degli alberi artificiali è sicuramente quello di poterli utilizzare per più anni, prima di finire in discarica. Per alcuni di essi occorre osservare qualche precauzione riguardo al posizionamento, poiché possono rilasciare nel tempo delle poveri, le quali, una volta inalate, possono provocare disturbi alla respirazione.

Gli alberi artificiali possono in alcuni casi anche avere componenti naturali: per esempio la corteccia di un albero vero può essere usata per costruire la superficie di un tronco artificiale.  Fra gli altri svantaggi dei finti alberi di Natale figurano gli elevati consumi di energia (dall’estrazione del petrolio per la produzione della plastica fino al trasporto dai luoghi di produzione fino a casa) e le conseguenti emissioni di gas-serra in atmosfera e di non essere bio-degradabili. Alcuni falsi alberi di Natale, quando diventano vecchi, rilasciano piombo, un elemento non proprio gradito in soggiorno.

Un gruppo di ricercatori svedesi ha stimato che l’energia consumata nell’intero ciclo di vita da un albero vero, con 2 metri di altezza e 10 anni di coltivazione alle spalle, è appena un quinto di quella consumata da un albero artificiale di 20 chilogrammi di plastica, made in China, pur nell’ipotesi (ottimistica) che sia usato 10 volte prima di finire in discarica.  Al contrario, gli alberi veri, durante il periodo di crescita in vivaio, assorbono anidride carbonica dall’atmosfera. Quando questi alberi sono estirpati, sono (generalmente) sostituiti da altre giovani piante nello stesso vivaio, le quali continuano ad assorbire anidride carbonica dall’atmosfera.

La preferenza degli italiani (e non solo) per gli alberi di Natale artificiali è legata anche all’opinione diffusa che quelli veri siano strappati alle foreste e che, di conseguenza, migliaia di ettari di foreste siano devastate ogni anno in prossimità del Natale. La carneficina degli agnelli a Pasqua, come lo sterminio di alberelli a Natale. In realtà, a parte quei pochi che derivano da interventi di sfoltimento di boschi troppo fitti, gli alberi di Natale che arrivano nelle nostre case non hanno mai visto un bosco. Essi provengono da vivai specializzati, concimati e trattati con prodotti fitosanitari (erbicidi, fungicidi, insetticidi, eccetera). In sostanza come una normale coltura, che termina con l’estirpazione della pianta con qualche radice, dopo 6-10 anni di coltivazione. Danimarca, Germania, Finlandia, Ungheria sono i principali Paesi produttori di alberi di Natale in Europa. Ciò significa che essi percorrono migliaia di chilometri prima di arrivare nelle nostre case, aumentando l’impronta ecologica.

In termini d’impronta ecologica la soluzione migliore è di comprare un albero di Natale vero.  Meglio ancora se quell’albero è prodotto da un’azienda vivaistica locale (‘chilometro zero’, come si usa dire adesso) e ‘bio’, ossia prodotto secondo il disciplinare dell’agricoltura biologica, che non fa ricorso a fertilizzanti chimici e pesticidi di sintesi. In più, da qualche anno è immessa sul mercato una notevole quantità di alberi di Natale italiani dotati di marchi di certificazione ambientale, tra cui il Forest Stewardship Council, che garantiscono il rispetto di norme e prescrizioni di coltivazione ambientalmente sostenibili. Una nota impresa di distribuzione ritira dai clienti l’albero di Natale, dopo l’Epifania, restituendo la somma spesa e garantendo che quell’albero diventerà compost per far crescere altre piante.

Un albero di Natale vero con radici, in vaso o in zolla, dovrebbe essere riusato per più anni nel periodo di Natale o essere trapiantato, nel proprio giardino o altrove. Ma non bisogna farsi molte illusioni. Le probabilità che la pianta attecchisca e cresca sono basse e dipendono dagli “abusi” che ha subito da quando ha lasciato il vivaio al momento di entrare in casa e dalle condizioni che ha trovato nella casa. L’aria calda e secca dell’interno e la penuria di acqua nel substrato durante tutto il periodo di Natale possono compromettere la vitalità degli alberi.