Stamina, l’ultima “fintoversia”

Che cos’è una controversia scientifica? La risposta dovrebbe essere abbastanza intuitiva, anche per i non addetti ai lavori: un’accesa discussione tra scienziati esperti in campi ancora oggetto di ricerca riguardo all’interpretazione dei dati disponibili (per lo più incompleti e quindi ancora aperti a diversi tipi di lettura). In una controversia scientifica, pertanto, ci sono due elementi essenziali: gli “scienziati” e i “fatti sperimentali” di cui discutere. Saranno proprio i fatti derivanti da ulteriori esperimenti a chiarire l’esatta natura dell’oggetto della discussione e a dar ragione così a uno dei contendenti. Ma la controversia scientifica non va vista come una lotta per avere ragione, quanto piuttosto come una collaborazione in cui tutti i contendenti contribuiscono in modo complementare ad apportare fatti, prove e idee utili alla soluzione finale (spesso, anche quelli che avevano torto). Insomma, sarà soltanto una “maggiore conoscenza” a risolvere la controversia.

Il caso stamina, così come molti altri casi simili, non può essere annoverato tra tali tipi di controversie, trattandosi piuttosto di una truffa rapidamente trasformatasi in “controversia mediatica”. Nella vicenda stamina non ci sono mai stati scienziati che discutevano su fatti sperimentali, ma solo un laureato in scienze della comunicazione che proponeva un “metodo” non dimostrato scientificamente, di cui non si conosceva il contenuto, e che non si sapeva da dove arrivasse, visto che nessuno di coloro che lo maneggiavano avevano esperienza di ricerca sulle cellule staminali. La cronaca di una serie di indagini giudiziarie avviate nel 2009 dalla procura di Torino (culminate nel giro di alcuni anni con il patteggiamento dei responsabili), ha poi dimostrato che alla base di tutto c’era un tentativo di truffa nei confronti dei pazienti. Gli scienziati esperti nel campo, ovviamente inorriditi da tale approccio, non solo ne contestavano l’inconsistenza scientifica, ma si trovavano contrari alle decisioni del ministro della salute, all’opinione pubblica fomentata dai media, e addirittura ad alcune sentenze di giudici che, nonostante i blocchi disposti dalle autorità sanitarie, continuavano ad accordare ai pazienti il diritto a ricevere il trattamento incriminato. In sintesi: fatti scientifici (sui quali entreremo nel dettaglio più avanti) contro opinioni, posti sullo stesso piano. Per questo tipo di situazioni, Salvo Di Grazia (2013) ha coniato il termine “fintoversia” (“finta controversia motivata dal profitto o da ideologia estrema per creare intenzionalmente confusione nel pubblico su un tema scientifico che invece non è”).

Possiamo definirle controversie mediatiche, fintoversie, o inventare altre definizioni, ma la base comune di tanti “casi di malacomunicazione” (tra cui stamina è solo un esempio) è proprio un’aberrante diffusione di notizie distorte e di interpretazioni false che attecchiscono nel brodo di coltura dell’ignoranza scientifica dei cosiddetti “non esperti”, tra cui, oltre al cosiddetto “uomo della strada” si annoverano anche ministri della Repubblica. A scanso di equivoci, è bene chiarire subito come l'”ignoranza scientifica” in campi specialistici sia ormai una condizione del tutto normale in un mondo dove scienza e ricerca hanno raggiunto ramificazioni estese e specializzazione estrema, per cui lo stesso neurobiologo sarà “uomo della strada” nei confronti del fisico o dell’ingegnere, e viceversa. Diversa è invece un’ignoranza diffusa su che cosa sia la scienza e il metodo scientifico (concetti generali che dovrebbero essere insegnati a scuola), che spesso impedisce di riconoscere nell’esperto una voce autorevole a cui affidarsi (e di cui fidarsi), consentendo invece a molti di esprimere opinioni anche su argomenti che non si conoscono affatto (vedi oltre) o a un politico di prendere decisioni senza consultare gli esperti.
Cerchiamo allora di usare l’esempio del caso stamina per capire le cause e le possibili soluzioni di un problema complesso, con pesanti conseguenze di tipo economico e sociale, e la cui importanza continua a essere sottovalutata.

 

Controversia con contorno

Sebbene dal paragrafo precedente emerga una certa arretratezza del nostro Paese in tema di percezione corretta della scienza, sarebbe sbagliato pensare che i casi di truffa in ambito biomedico siano un problema solo italiano. Da quando, intorno agli anni 2000, è esploso l’interesse (scientifico e mediatico) per le cellule staminali, nel mondo sono sorte più di 700 cliniche proponenti metodi terapeutici non verificati scientificamente e non approvati da istituzioni ufficiali (Corbellini 2011). Molte in Paesi con legislazioni più lassiste (come la Cina, ad esempio) ma altre in Europa e Stati Uniti, dove sia la strada per arrivare a rendere legale e commerciabile un farmaco, sia l’accesso dei pazienti alle sperimentazioni di nuovi trattamenti, sono altamente restrittivi. Come è possibile, ci si può chiedere, aggirare le leggi e i regolamenti? La risposta è complessa e va dall’eterogeneità delle normative stesse a seconda degli Stati, al fatto che la strumentalizzazione dei temi bioetici in fatto di staminali da parte di ambienti clericali ha spostato l’attenzione sullo stato giuridico dell’embrione senza curarsi dell’etica del trattamento dei pazienti colpiti da malattie incurabili (Bonfanti e Massarenti 2015). In molti Stati occidentali (l’Italia in primis) insomma, si dà mediamente più importanza ai diritti di un ammasso di cellule (l’embrione) che non a quelli di un individuo che soffre di malattia incurabile. Una terza motivazione, più sottile e difficile da comprendere se non si conosce a fondo il mondo della ricerca sulle cellule staminali, sta nel suo carattere estremamente innovativo, continuamente soggetto a cambiamenti per cui ogni due o tre anni si prospettano nuovi approcci terapeutici (sperimentali) in modo tale che la legislazione relativa all’approvazione dei trattamenti fatica a tenere il passo.

È qui che si inserisce un quarto motivo, dovuto al fatto che l’iter scientifico e burocratico per passare da una ricerca di tipo pre-clinico (sperimentazione animale e ricerche condotte in laboratorio per comprendere i meccanismi biologici della malattia e su cui basare i principi della terapia) a una sperimentazione sull’uomo (per approfondimenti si veda Bonfanti e Massarenti 2015) è estremamente lungo: almeno quattro anni. Per questo, molti pazienti si lasciano attrarre da soluzioni proposte come vie alternative o scorciatoie al trial clinico, dimenticando (o semplicemente non essendo informati) che la sperimentazione sull’uomo non è una nuova terapia, ma un tentativo sperimentale volto a capire se un certo trattamento possa essere considerato tale. Ciò spiega perché i trial clinici sono così costosi (fino a milioni di euro): devono essere effettuati su moltissimi pazienti, i quali devono rientrare in gruppi relativamente omogenei (per età, fase della malattia, ecc.), con controlli negativi (pazienti a cui non viene somministrato il farmaco, ma un placebo), effettuati in diversi centri lontani tra loro, e nel caso delle staminali con controlli rigorosi delle preparazioni cellulari. Bypassare questi controlli, non solo è illegale, ma estremamente rischioso per il paziente.

 

Internet e la semplificazione di problemi complessi

Uno dei problemi irrisolti nel rapporto scienza-società è quello dell’eccessiva richiesta di semplificazione. Sebbene sia del tutto condivisibile il principio per cui chi si trovi a spiegare un concetto scientifico debba tentare di farlo nel modo più semplice possibile, non sempre l’eccessiva semplificazione giova alla comprensione. In altri termini, la scienza contemporanea è portatrice di concetti scientifici estremamente complessi (oltre un certo limite incomprimibili) e quindi oggettivamente difficili da spiegare (Bonfanti e Massarenti 2015). Sembra tuttavia che molta divulgazione non riconosca questo limite, con il risultato di veder frainteso, distorto, in alcuni casi addirittura capovolto, il messaggio iniziale. A questo problema si aggiunge l’estrema leggerezza con cui i concetti e le informazioni scientifiche vengono gestite e diffuse su Internet (in un caos mediatico cui spesso partecipano anche giornali e tv) da parte di persone per nulla esperte nel campo. Infine, in nome di quell’ignoranza del metodo scientifico e del ragionamento logico più volte citati, nel contesto dei social network è frequente la confusione tra fatti e opinioni, nella maggior parte dei casi mirata a sostenere tesi di complotto contro la salute del cittadino e relative ritorsioni contro la scienza e i suoi protagonisti.

Nel caso stamina, una delle maggiori truffe mediatiche è stata quella di far credere che fosse in atto una vera controversia scientifica, dove alcuni scienziati si opponevano a far validare un metodo che altri scienziati (inesistenti) avrebbero considerato valido. Ovviamente torniamo al fatto che la gente non sa che cosa sia il consenso scientifico (per il caso in oggetto spiegato nel paragrafo seguente) perché mediamente non ha idea di come procede la scienza e di quali controlli incrociati è disseminata. Nella consultazione superficiale e frettolosa della rete non c’è tempo né spazio per l’approfondimento (e comunque, in molti casi, non vi sarebbe neanche la possibilità di comprendere un vero approfondimento in virtù di quell’incomprimibilità di cui sopra) per cui, rispetto a una reale comprensione del problema, prevarranno altri aspetti come quello emotivo o quello legato all’efficacia della comunicazione.

 

La vera controversia sulle staminali

La ricerca, per definizione, è esplorazione dell’ignoto. Ciò implica che i ricercatori operano nel cosiddetto “fronte mobile della conoscenza” (Bonfanti 2009): quella regione indefinita che sta tra la conoscenza acquisita (ciò che ormai sappiamo – quasi per certo – grazie alla scienza) e ciò che è ancora sconosciuto. Per tale ragione il lavoro di ricerca è fatto di dubbi, incertezze, ipotesi, verifiche sperimentali delle ipotesi, e, ogni tanto, avanzamento scientifico. E’ in questo fronte mobile che nascono, e spesso si risolvono, le vere controversie scientifiche, intese come discussioni accese volte a rivelare la realtà dei fatti e dei fenomeni naturali. Il problema nasce quando queste ricerche, ancora in pieno svolgimento, vengono date in pasto al giornalismo generalista prima che la comunità scientifica abbia avuto il tempo di concluderle (si tenga conto che per la comprensione di un nuovo meccanismo biologico e la conseguente derivazione di terapie possono essere necessari decenni).

Il caso delle cellule staminali come possibile fonte di sostituzione cellulare in malattie neurodegenerative è un esempio emblematico: gli effetti rigenerativi genericamente attribuiti alle staminali (la capacità di produrre cellule differenziate che vanno a sostituire quelle perse o danneggiate nella patologia – cosiddetta “medicina rigenerativa”) non si verificano nel sistema nervoso umano, un tessuto tipicamente refrattario alla rigenerazione (Bonfanti 2011, Martino et al., 2011). Nella complessità di questo tema, ormai oggetto di ricerca da decenni (più di 20.000 pubblicazioni scientifiche esistenti), viene spesso fatta confusione tra gli effetti descritti in coltura (in cui le staminali neurali possono trasformarsi in neuroni) e la loro teorica applicazione nel contesto dei tessuti dell’organismo, dove tali effetti non sono tuttavia riproducibili (fino ad oggi, iniettando staminali nel sistema nervoso dell’individuo non si formano nuovi neuroni in grado di sostituire quelli persi). Ma la complessità del tema, sulla quale peraltro si confrontano ancora i migliori scienziati di tutto il mondo, viene persa nell’eccessiva semplificazione degli utenti di Internet e dei social network, alcuni dei quali, spinti dalla disperazione di patologie incurabili, finiscono a tentare il tutto per tutto nei sottoscala dei ciarlatani. Complici le dichiarazioni un po’ troppo possibiliste di “prospettive future” fatte da alcuni scienziati, spesso amplificate dai media e interpretate dai pazienti come possibilità immediate e reali, la percezione della realtà scientifica viene ampiamente fraintesa e distorta (Cattaneo e Bonfanti 2014). Forse, in tal senso, aveva ragione il fisico Richard Feynman affermando che “in alcuni casi è meglio non sapere piuttosto di avere le risposte sbagliate“. Ma nel caso stamina l’ignoranza scientifica delle vittime si è accompagnata all’ignoranza politica di chi non ha pensato (o voluto) sentire la voce degli esperti.

 

Esistono soluzioni?

Già mezzo secolo fa, gli ammonimenti di Carl Sagan (il primo a sollevare il problema di un mondo fatto in gran parte di scienza, ma che nessuno conosce) avevano previsto le drammatiche conseguenze di una scarsa o errata percezione della cultura scientifica. Oggi, nel mondo di Internet e dei social network, la crescente complessità e specializzazione della ricerca da un lato e la facilità con cui circolano e si diffondono false informazioni dall’altro, rendono sempre più scollate la scienza e la società e sempre più vere le premonizioni di Sagan. I problemi causati dall’ignoranza scientifica hanno altissimi costi economici e sociali. Il movimento anti-vaccini sta portando rischi di epidemie, con costi sanitari che potrebbero assumere proporzioni gigantesche.

Come contrastare, allora, la controinformazione scientifica, la pseudoscienza e il dilagare di opinioni non suffragate dai fatti? La visione di chi scrive è piuttosto pessimista nei confronti della possibilità di convincere la popolazione adulta digiuna di metodo scientifico sulla bontà e necessità della ricerca e più in generale sull’approccio razionale ai problemi. Sebbene una divulgazione scientifica fatta bene e ampiamente diffusa nella popolazione possa giovare, di fronte a persone senza alcuna formazione scientifica non ottiene una reale comprensione dei problemi legati a scienza e ricerca, talvolta risultando addirittura controproducente (Bonfanti e Massarenti 2015). La disseminazione della scienza nella società è utile e va perseguita, ma non è la soluzione. Può tamponare il problema, spostando il parere di piccole fette del pubblico, ma non lo risolve. Le vere soluzioni, non sono semplici e vanno immaginate su vari livelli. Tenendo conto che la divulgazione effettuata nel presente su una popolazione adulta ha scarse possibilità di successo, ad essa va affiancata una forte azione di contro-disinformazione mirata a smontare le principali bufale scientifiche e a screditare il giornalismo becero che le alimenta. Fino a ora, in assenza di istituzioni “ufficiali” in grado di fare questo, tale azione tampone è stata svolta da associazioni di giovani attivisti sorte spontaneamente tra gli studenti e i precari universitari (ProTest, Italia unita per la scienza, Tempesta di cervelli, AIRIcerca).

Un altro approccio, più graduale e rivolto al futuro, deve essere rivolto all’educazione dei giovani con strategie che coinvolgano la scuola. Solo creando fin dall’inizio una “cultura scientifica” (non limitata all’apprendimento di nozioni scientifiche ma focalizzata sul metodo scientifico e sullo sviluppo di un pensiero critico e razionale), si può avere l’ambizione di cambiare la visione della scienza nella società di domani in cui i suddetti giovani saranno cittadini adulti (Bonfanti 2016). Su come l’università italiana riuscirà a contribuire (seppur in ritardo di decenni con la cosiddetta Terza missione; si veda Bonfanti e Massarenti 2015), sarà il futuro a svelarlo.

 

Bibliografia

Abbott, A., “Italian stem-cell trial based on flawed data”, Nature, 2013.
Bianco P. et al., “Regulation of stem cell therapies under attack in Europe: for whom the bell tolls”, EMBO Journal, 2013, 32, pp.1489-1495.
Bonfanti, L., Le cellule invisibili. Il mistero delle staminali del cervello, Bollati Boringhieri, Torino 2009.
Bonfanti, L., “From hydra regeneration to human brain structural plasticity: a long trip through narrowing roads”, ScientificWorld Journal, 2011, 11, pp. 1270-1299.
Bonfanti, L., Massarenti, A., La scienza fa bene (se conosci le istruzioni), Ponte alle Grazie, 2015.
Bonfanti, L., “Problemi e opportunità della comunicazione scientifica”,Tecnologie e linguaggi dell’apprendimento: sfide e traiettorie mediaeducative, Aracne, 2016.
Capocci M., Corbellini G. (a cura di), Le cellule della speranza, Codice, 2014.
Cattaneo E., Bonfanti, L., “Stem cell therapeutic potential is higher in society than in the brain” Front. Neurosci., 2014, 8:79.
Corbellini, G., “Staminali tra scienza, politica e speranza”, Linx, 2011,10 ottobre.
Di Grazia, S. (2013). Contributi diversi nel blog: Medbunker (http://medbunker.blogspot.it/)
Martino G.V., Pluchino S., Bonfanti L., Schwartz M., “Brain regeneration in physiology and pathology: the immune signature driving therapeutic plasticity of neural stem cells”, Physiol. Rev. 2011, 91, pp.1281-1304.
Michienzi, A., Villa, R. Acqua sporca. Che cosa rischiamo di buttare via con il caso Stamina, Zadig 2014.
Moscarella, L., http://informa.airicerca.org/it/2015/12/21/vannoni-e-stamina-comunicazione/
Pace, A., “Tutta la storia del metodo Stamina, Wired.