Vaccinazioni, vecchie e nuove polemiche

La vaccinazione è il più “eroico” dei rimedi sanitari[1], l’atto medico più celebre, un simbolo della tecnologia medica. Accanto al gesto che cura, presente sin dall’antichità in sculture, bassorilievi e vasi, si associa a partire dalla fine del Settecento, con la prima vaccinazione contro il vaiolo realizzata da Edward Jenner, il gesto che previene, che crea uno scudo protettivo della salute individuale e collettiva contro la malattia all’epoca più temuta ma che diverrà poi anche la prima malattia grave ad essere eliminata, eradicata, con uno sforzo cosciente e globale di politica sanitaria internazionale basato sulla copertura vaccinale di intere popolazioni.

La vaccinazione jenneriana contro il vaiolo è divenuta, soprattutto grazie all’opera di Louis Pasteur, il paradigma di tutti gli interventi dello stesso tipo contro altre malattie trasmissibili, il modello di riferimento per le strategie preventive[2]. Il semplice gesto di Jenner di trasferire da braccio a braccio una “materia virulenta” è il simbolo di un rovesciamento di paradigma: la medicina non vuole solo curare le malattie ma impedirle, creando una protezione efficace di tutta la popolazione. Vaccinare significa “immunizzare”, rendere immuni, dal latino in munus, non essere obbligati a pagare il prezzo sociale provocato da un’epidemia. Al culmine della rivoluzione scientifica e sociale prodotta dall’origine della microbiologia, Louis Pasteur trasforma il “caso particolare” della vaccinazione jenneriana in un principio generale di prevenzione delle malattie contagiose. In un discorso fatto in occasione del Congresso medico di Londra nel 1881, Pasteur estende la definizione di vaccino, dal senso originario di “virus delle vacche”, a tutti i possibili “vaccini”, cioè  “dei virus indeboliti dotati del carattere tipico del vaccino jenneriano di non uccidere mai e provocare una malattia benigna che preserva dalla malattia mortale … Ho dato all’espressione vaccinazione un’estensione che la scienza, io lo spero, consacrerà, come un omaggio al merito e agli immensi servizi resi da uno dei più grandi uomini di Inghilterra, il vostro Jenner[3].

Oltre all’eradicazione del vaiolo, annunciata ufficialmente dall’OMS nel 1978, anche la poliomielite potrebbe essere eradicata rapidamente e si è calcolato che in media circa 5 milioni di vite sono salvate ogni anno grazie al controllo vaccinale della poliomielite, del tetano e del morbillo. L’obbligatorietà delle vaccinazioni per tutta la popolazione, grazie a leggi approvate dai diversi stati a partire dei primi anni dell’Ottocento, ha prodotto una copertura vaccinale sufficiente a diminuire in misura drastica l’impatto di molte malattie epidemiche. E nei Paesi sviluppati le malattie che possono essere prevenute dalla vaccinazione sono state ridotte del 98-99%[4].

Nonostante questi risultati, sin dall’inizio le politiche di vaccinazione sono state accompagnate da profonde e vivaci controversie, di natura sia scientifica che politica ed ideologica, con riserve e aperte opposizioni, sia negli ambienti medici che nella popolazione generale, per motivi in parte tecnici o religiosi e in parte a causa dei rischi legati alla vaccinazione. La maggior parte delle opposizioni, tuttavia, non riguardava la vaccinazione in sé, ma la sua obbligatorietà, considerata un’ingerenza eccessiva dello Stato nella gestione della salute e del corpo e una diminuzione dell’autonomia e indipendenza della persona.

Un’analisi storica comparativa dei vari atteggiamenti o movimenti organizzati contro la vaccinazione che si sono succeduti mostra che le controversie hanno riguardato aspetti tra loro molto differenti e si riferivano a valori e principi diversi, di tipo religioso, per chi si opponeva a modifiche artificiali dell’ordine naturale e quindi divino, politico, per chi rifiutava il principio dell’obbligatorietà della pratica vaccinale come negatrice della libertà individuale o infine medico e sanitario, per quanti temevano i fenomeni avversi potenzialmente legati alla vaccinazione. La diversità delle motivazioni che sono dietro alle campagne contro la vaccinazione e alle prese di posizione individuali va tenuta in conto nella valutazione delle controversie. Ognuno dei diversi fattori può aver avuto un peso diverso in un periodo storico diverso e nei dibattiti attuali la separazione fra diversi tipi di argomentazioni può aiutare a meglio comprendere le ragioni delle resistenze e delle opposizioni ed eventualmente riuscire a vincerle[5].

Nella lunga storia delle controversie intorno alla vaccinazione si possono distinguere quattro periodi che si sono cronologicamente succeduti :

  1. La scoperta della vaccinazione jenneriana e la sua diffusione, con i primi programmi di vaccinazione obbligatoria, prima di determinati gruppi, poi dell’intera popolazione.
  2. I movimenti contro la vaccinazione della fine dell’800 e della prima parte del Novecento, che hanno portato ad una attenuazione del rigore delle politiche statali di vaccinazione.
  3. Il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, caratterizzato da una sorta di “illusione tecnologica”, la speranza che grazie allo sviluppo delle tecniche mediche sarebbe stato possibile disfarsi delle malattie infettive. I vaccini , insieme agli antibiotici e ai metodi di terapia intensiva, sono considerati come una delle tecnologie di punta e più efficaci, capaci di debellare per sempre la maggior parte delle malattie epidemiche.
  4. Il periodo fine XX e inizio XXI secolo, caratterizzato da una forte ripresa delle posizioni negative nei confronti della vaccinazione, ma anche dallo sviluppo di nuovi vaccini e di nuove possibilità di gestione democratica delle campagne vaccinali.

 

Il primo periodo         

L’avventura della vaccinazione ha una data precisa di inizio, il 14 maggio 1796, quando Edward Jenner inocula un bambino di otto anni, James Phipps, con la linfa di una pustola del vaiolo delle vacche, realizzando quindi l’avvenimento singolare che da origine a una nuova tecnica medica, la vaccinazione. Questo evento individuale si diffuse rapidamente, acquistando credibilità e forza di convincimento, tanto da divenire pratica corrente e poi obbligatoria e costituire un modello paradigmatico di intervento sanitario.

All’avventura della vaccinazione antivaiolosa si può anche dare anche una data di fine, il 26 ottobre 1979, dichiarata dall’OMS “smallpox zero day ”, dopo che una straordinaria ed efficace campagna internazionale di vaccinazione di massa aveva interrotto la trasmissione del virus ed eradicato di conseguenza la malattia. Questo risultato, il più importante risultato delle politiche di sanità pubblica internazionale, che aveva eliminato uno dei più terribili flagello che avevano per secoli drammaticamente colpito le popolazioni umane, era in un certo senso una conseguenza diretta dell’innovazione jenneriana e della sua diffusone e generalizzazione. Lo stesso Jenner ne era convinto, tanto da scrivere nel 1801 che “è ora divenuto tanto evidente da non ammettere controversia che l’annichilazione del vaiolo, il più terribile flagello della specie umana, deve essere il risultato finale di questa pratica ”[6].

In una memoria destinata ai “governi che amano la prosperità delle loro nazioni ”, il grande vaccinatore milanese Luigi Sacco, già nella scelta delle parole contenute nel titolo indica lo stesso obiettivo e risultato possibile, affermando che il vaccino è l’unico mezzo per “estirpare radicalmente il vajuolo umano[7]. E tale obiettivo si allarga, come la definizione di “vaccino”, durante la rivoluzione pastoriana. Un editoriale della Revue scientifique, che esprime il punto di vista degli igienisti francesi, già nel 1881, subito dopo la dimostrazione da parte di Pasteur a Poully-le-Fort dell’efficacia profilattica della vaccinazione anticarboniosa, scrive: “Il carbonchio sarà presto solo un ricordo”, e nell’anno della prima vaccinazione antirabbica (1885) l’obiettivo diventa ancora più chiaro: “Sì, verrà il giorno in cui, grazie all’igiene militante e scientifica, alcune malattie scompariranno, come sono scomparsi certi animali antidiluviani ”.

Questa fiducia per molti versi sorprendente nella tecnica introdotta da Jenner, in un periodo della storia della medicina e della sanità in cui pochi erano i mezzi a disposizione per la terapia e la prevenzione, tanto da spingere alcuni fra i maggiori clinici a suggerire il “nihilismo terapeutico”[8], è stato il risultato delle molteplici dimostrazioni dellefficacia protettiva della vaccinazioni, realizzate rapidamente su vasta scala in molti Paesi europei ed extraeuropei, ma soprattutto dal fatto che  le autorità sanitarie, i medici ma anche i governi, si schierarono apertamente in favore della nuova tecnica, assicurandone la diffusione. Forse ancora più forte fu l’effetto della relazione chiara che si poteva stabilire fra un gesto medico relativamente semplice e facile da compiere (trasferire una piccola quantità di “materia vaccinale” da un individuo a un altro), e la certezza e l’universalità del risultato che proteggeva l’individuo vaccinato, e quindi l’intera popolazione, nei confronti di una terribile malattia, temuta da tutti.

L’introduzione della vaccinazione non è stata tuttavia senza problemi. Alcune obiezioni furono avanzate da determinati ambienti religiosi, soprattutto a livello delle autorità centrali, che vedevano nella tecnica vaccinale un desiderio di controllo sulla natura e sul destino delle persone, togliendolo alla divinità. Le obiezioni di tipo religioso, tuttavia, sono state in realtà molto meno importanti e incisive di quanto abitualmente si pensi. Anzi, in alcuni contesti, come nel Regno di Napoli, gli ambienti religiosi sono stati non solo favorevoli ma anche protagonisti diretti delle campagne di vaccinazione[9].

Altre posizioni vedevano con timore, se non con orrore, il trasferimento di materia di origine animale nel corpo umano e i primi decenni dell’Ottocento vedono un’ampia diffusione di stampe in cui ai vaccinati spuntano, nei luoghi dell’inoculazione, teste di mucca, code o corni.

Il problema principale era comunque la difficoltà di assicurare una materia vaccinale di elevata qualità, nei casi del trasporto da una regione all’altra, perché anche se era possibile conservare la materia allo stato secco per diverse settimane, poteva diventare inefficace o anche pericolosa, producendo “falsi vaccinati”, intossicazioni  o reazioni allergiche. La tecnica della vaccinazione braccio a braccio garantiva un’elevata qualità della materia vaccinale, ma al tempo stesso richiedeva la presenza di persone, in genere bambini, vaccinati da poco, che venivano talvolta condotti nei paesi vicini per poter disporre di materia vaccinale fresca. Inoltre, insieme alla materia vaccinale si potevano trasmettere anche i germi di altre malattie infettive, ad esempio la sifilide o l’epatite, e molti casi di questo tipo furono denunciati nei primi decenni dell’Ottocento, aumentando quindi le prese di posizione negative nei confronti della vaccinazione. Il caso più grave si ebbe in Italia nel 1861, quando 41 dei 63 bambini vaccinati con materia tratta da un bambino portatore di sifilide non dichiarata si infettarono di questa malattia e alcuni infettarono anche le loro madri o nutrici. Questo caso sollevò delle controversie molto virulente con la richiesta di abbandonare la tecnica della trasmissione braccio-a-braccio. Di queste controversie si fece eco il Congresso Medico di Lione del 1864, dove la delegazione italiana fece un rapporto sulle procedure di produzione del vaccino introdotte a Napoli, già a partire dal 1805, che utilizzavano la pelle scarificata delle mucche come terreno di coltura del vaccino, con adeguate misure per evitare ogni contaminazione. Il rapporto fu accolto con entusiasmo e approvato dal congresso e la tecnica di produzione su mucche o bufali si diffuse rapidamente in molti Paesi europei e nord-americani.

 

Le domande di fondo

La storia della diffusione della vaccinazione e delle controversie che l’hanno accompagnata permette di isolare alcuni temi particolarmente significativi :

  1. Perché tanto interesse per il vaiolo nella seconda metà del Settecento ?
  2. Quali sono le ragioni, scientifiche e sociali, per la straordinaria rapidità con la quale si è diffusa la vaccinazione jenneriana?
  3. Quali sono le basi, sociali e scientifiche, delle opposizioni alla vaccinazione?
  4. Perché oltre alla diffusione della notizia della scoperta, tramite una pubblicazione scientifica, come avviene di solito, si doveva diffondere anche la “materia vaccinale” utilizzata da Jenner, facendo ricorso a tecniche alquanto complicate e anche rischiose ?

Il vasto interesse per il vaiolo nel Settecento, che trasforma questa malattia epidemica in una costante preoccupazione per gli individui e le collettività, è il risultato della confluenza di due fattori.  Il primo è dovuto alla presa di coscienza, da parte delle autorità politiche e degli ambienti medici, della terribile situazione igienica e sanitaria in cui vivevano le popolazioni europee, in particolare le classi lavoratrici e i bambini. Per ragioni sociali (la crisi della popolazione, la rivoluzione agricola ed industriale) e culturali (il secolo dei Lumi, delle riforme e delle rivoluzioni) le ondate epidemiche che colpiscono gravemente, e con grande regolarità, le popolazioni, quasi sempre senza fare distinzioni fra ricchi e poveri, fra città e campagne, fra nobili e popolani, non vengono più considerate eventi fatali, accettati con rassegnazione, ma come minacce da prevenire e da combattere. I governi creano servizi di sanità, non più solo in occasione di gravi crisi epidemiche, come era accaduto in precedenza a partire dalla “peste nera” della fine del XIV secolo, ma con strutture permanenti, in genere affidate al Ministero degli Interni, con la creazione di una “polizia sanitaria”, con l’incarico di sorvegliare la situazione epidemica e vegliare sulla qualità degli ambienti, degli alimenti e dell’aria. A livello sociale e politico, una nuova disciplina medica, la “polizia sanitaria” appunto, proposta da Johann Peter Frank (1745-1821), mira a definire e a coordinare un insieme di leggi e di regolamenti per garantire l’igiene pubblica, grazie a regole precise per il controllo dei mezzi di conservazione degli alimenti, alla pavimentazione delle strade per eliminare i ristagni di acqua, produttori di miasmi, al miglioramento delle condizioni abitative nelle città e delle condizioni di lavoro, mediante il calcolo del “minimo vitale” in termine di aria, di riposo, di alimentazione, di esercizio fisico.

La medicina e la altre professioni sanitarie ampliano il loro campo di azione, non interessandosi solo ai malati individuali, ma iniziano a sentire una responsabilità nei confronti della società nel suo insieme. Ogni atto medico viene di conseguenza valutato per i suoi effetti sul malato, ma anche per le sue conseguenze sulla società. Se nella medicina classica, la prevenzione riguardava il singolo individuo, in questo periodo diviene un obiettivo per l’insieme della popolazione e di conseguenza un obbligo per gli organi statali e le istituzioni pubbliche. Si realizza, in questo modo, un profondo cambiamento, che produce un fondamentale scivolamento di significato nel termine stesso di igiene. Se l’igiene classica mirava a controllare e modificare il comportamento individuale, l’igiene moderna diviene pubblica, si indirizza alla collettività ed è necessariamente realizzata dalla collettività, attraverso regolamenti e legislazioni di sanità pubblica.

Il secondo fattore che rende il vaiolo il centro dell’attenzione e delle iniziative è l’oggettivo aumento della gravità di questa malattia e l’incremento della sua diffusione. Inoltre, se restava il grande terrore, la peste arrivava ogni tanto, ad ogni cambio di generazione, mentre il vaiolo era sempre presente. A partire dalla seconda metà del Seicento, il vaiolo aveva colpito non solo con ripetute ondate epidemiche tutta l’Europa, spesso in forme molto gravi, ma vi era in pratica divenuto endemico, una minaccia costante, responsabile di circa un decimo della mortalità generale, con una letalità che variava fra il 20 e il 50% delle persone colpite.  A causa della sua frequenza e dell’immunità che produce, si trattava di una malattia che colpiva soprattutto i neonati e i bambini. In periodo epidemico, spesso la metà dei bambini di una famiglia o di un villaggio moriva per vaiolo. In molte città europee il 50% dei bambini moriva prima del compimento dei dieci anni e circa il 40% di queste morti era dovuto al vaiolo.

Ma la malattia faceva paura non solo perché uccideva in periodo epidemico un numero impressionante di bambini, ma anche perché i malati sopravvissuti restavano spesso ciechi e avevano un aspetto particolarmente disgustoso a causa delle ulcere e pustole che coprivano tutto il loro corpo e del terribile puzzo che emanava dal loro corpo incancrenito. Inoltre, la malattia lasciava spesso i sopravvissuti all’infezione con un aspetto rivoltante, a causa del corpo e del viso sfigurato dalle molte cicatrici. Quasi sempre le ragazze che erano state malate non potevano più sposarsi a causa del loro aspetto.

Tutti gli autori consideravano il vaiolo come la più orribile e disgustosa di tutte le malattie. Nelle sue lezioni del 1884 l’igienista Dujardin-Beaumetz affermava: “A causa dell’aspetto orribile che presenta il viso ricoperto di pustule, dell’odore nauseante che esala il malato, delle cicatrici che la malattia lascia dietro di sé, e per la sua estrema contagiosità, il vaiolo ha dovuto essere considerata come una delle epidemie più terribili, e ci si è dovuti sforzare, già nelle prime comparse, di limitare le devastazioni di questo spaventoso flagello[10].

È in questo contesto che si diffonde in Europa l’uso di una tecnica preventiva presente in Asia e nel Medio Oriente da molto tempo, l’inoculazione del vaiolo o variolizzazione. Nel Settecento questa pratica diviene nota negli ambienti medici e politici europei e si aprono vasti dibattiti filosofici, politici e scientifici sul suo uso di massa. I suoi sostenitori richiamavano i vantaggi per la sanità pubblica che si ottengono rendendo immuni il numero più alto possibile di individui, mentre gli oppositori sollevavano la questione morale, a causa dei rischi di trasmettere l’infezione e provocare la morte dei propri pazienti, che secondo la tecnica e la materia utilizzate variava fra lo 0,3 e il 2%, un rischio relativamente elevato. Se il giuramento di Ippocrate obbliga il medico al “primum non nocere”, come un medico può accettare di praticare un gesto che può uccidere il proprio paziente? Inoltre, il malato poteva essere all’origine di un’epidemia iatrogena. Si può assumere un rischio, immediato e reale, per il proprio paziente in cambio di un vantaggio incerto per la collettività ?

Il 16 aprile 1760 il matematico Daniel Bernouilli in una conferenza pubblica all’Académie Royale des Sciences di Parigi presenta una ricerca matematica, pubblicata solo nel 1766, sui vantaggi dell’inoculazione del vaiolo, statisticamente molto più importanti del rischio legato alla pratica[11]. Se si semplifica, forse eccessivamente, il complesso ragionamento matematico, si può dire che un abitante di una grande città, come Londra o Parigi, aveva una probabilità fra 1/4 e 1/18 di morire di vaiolo, mentre il rischio di morte a causa della vaccinazione era di 1/200. L’inoculazione di tutta la popolazione avrebbe provocato, secondo i calcoli di Bernouilli, un aumento della speranza di vita di almeno tre anni. Il matematico filosofo Jean d”Alembert risponde in un saggio del 1767[12], segnalando la contraddizione fra un principio morale e l’analisi probabilistica, in una situazione nella quale non si conosce nulla sui meccanismi causali della malattia e non si hanno a disposizione dati certi ed accurati per valutare il reale vantaggio della collettività nei confronti dei rischi reali corsi dalle persone inoculate. Non era la prima volta che questo tipo di calcolo veniva proposto. In Inghilterra, negli anni dal 1724 al 1727, il medico James Jurin aveva pubblicato una serie di raccolte di dati statistici che mostravano, secondo l’autore, “il successo dell’inoculazione del vaiolo”, sottolineando tuttavia la difficoltà di attribuire alla responsabilità dei genitori e dei medici il rischio di provocare la morte di un bambino sano, anche se matematicamente tale rischio era di molto inferiore al rischio di farlo morire più avanti negli anni a causa di una epidemia “naturale”[13].

Nella valutazione di un rischio in una situazione di incertezza relativamente ai meccanismi causali, soprattutto quanto si tratta di una questione di vita o di morte, la logica dei numeri non può sostituire la logica dei valori e non è possibile dissociare i calcoli matematici e probabilistici dalle dimensioni etiche. Ed è proprio in questo periodo di diffusione della variolizzazione e successivamente della vaccinazione, fra la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, che si può individuare l’origine e la lenta affermazione dei concetti di “rischio” e di fattori di rischio, un aspetto centrale dell’epidemiologia teorica contemporanea[14].  Si tratta di una questione quanto mai attuale ai nostri giorni, nel vasto e ricorrente dibattito sulle vaccinazioni, in cui il contrasto fra rischio individuale e interesse collettivo si ripropone, praticamente negli stessi termini, e con le stesse tensioni fra aspetti etici e valutazioni politiche e sanitarie.

La minaccia del vaiolo nel Settecento è comunque talmente forte che si procede a un numero molto elevato di variolizzazioni, in particolare negli ambienti nobili e benestanti, soprattutto dopo che intorno al 1750 molti principi e regnanti europei erano morti a causa del vaiolo[15]. Questa storia è ben nota e ad essa sono state dedicati molti libri, alcuni dei quali sono tra i riferimenti bibliografici presenti in questo volume. È bene ricordarne tuttavia alcuni aspetti, che hanno svolto un ruolo importante nella diffusione della vaccinazione jenneriana. L’inoculazione del vaiolo introduceva una pratica medica che in un certo senso rovesciava completamente le tradizioni terapeutiche: anziché prevenire una malattia e difendere la popolazione da un contagio patogeno, grazie all’isolamento dei malati e alle quarantene, l’inoculazione causa la stessa malattia nella persona, ma in questo modo difendendola, grazie all’immunità acquisita, da un successivo e più grave contatto con l’agente della malattia. In questo modo si dissemina nella popolazione un agente infettivo di debole virulenza, con il risultato di proteggerla da un’epidemia grave. La vaccinazione applica in sostanza lo stesso principio, semplicemente sostituendo il virus del vaiolo umano con il virus del vaiolo delle vacche (da cui il nome virus vaccino), che era più sicuro, non produceva casi di vaiolo, e quindi non lo diffondeva, e non richiedeva particolari precauzioni nei confronti della persona vaccinata. In effetti, la variolizzazione provocava, secondo le statistiche che venivano raccolte, fra il 2 e il 3% di morti a causa del vaiolo inoculato, le persone inoculate dovevano restare a lungo in quarantena, per evitare di diffondere il contagio, e inoltre la pratica spesso portava al contagio di altre malattie infettive, come la tubercolosi o la sifilide. La vaccinazione, se porta ancora con sé il rischio, in mancanza di pratiche di sterilizzazione, di diffondere altre malattie, in particolare la sifilide, non causa di per sé alcuna malattia, quindi non la diffonde e i vaccinati possono continuare senza interruzione le loro attività. Si tratta quindi, in un certo senso, di un’atto medico “democratico”, alla portata anche dei poveri e dei lavoratori.

Il precedente della variolizzazione permette quindi di spiegare le ragioni di una così rapida diffusione della vaccinazione jenneriana. In pochi anni infatti, a partire dal fatidico 1796, la nuova pratica sanitaria si diffonde in tutta l’Europa, attraversa gli oceani ed è praticamente presente ovunque, anche se con frequenza e risultati diversi. In un periodo in cui i mezzi di trasporto e di comunicazione non erano certamente rapidi, periodo per di più caratterizzato da rivoluzioni e da lunghe e disastrose guerre, tale rapidità risulta essere certo sorprendente. Il pericolo rappresentato dalle epidemie di vaiolo e l’esperienza, nel suo complesso positiva, della variolizzazione avevano creato un’attesa e una disponibilità, come se le autorità sanitarie e gli ambienti medici non attendessero altro che la disponibilità di un mezzo efficace per mettere in atto campagne di lotta contro la malattia, nonostante le difficoltà e i rischi non trascurabili legati alle pratiche vaccinali.

Lo stesso Jenner era stato protagonista di questi sviluppi e ne poteva quindi valutare tutta la portata. Nel 1757 all’età di otto anni era stato egli stesso inoculato con il virus del vaiolo, come migliaia di altri bambini in Inghilterra, sviluppando una forma leggera della malattia e divenendo quindi immune. Diventato medico ed entrato nella cerchia del grande medico John Hunter, Jenner diviene uno dei più noti inoculatori. In molti testi si ripropone la storia di un’osservazione fortuita di Jenner sulle mani di una mungitrice delle lesioni tipiche del vaiolo, che affermava di aver resistito a diverse epidemie di vaiolo. Queste lesioni erano dovute al contatto con le lesioni prodotte dal vaiolo delle vacche (cow-pox), con la trasmissione di un agente capace di provocare la resistenza al vaiolo umano. In realtà, si tratta probabilmente di una leggenda, inventata da un amico e primo biografo di Jenner, John Baron.[16] E in effetti, in nessuno dei suoi scritti Jenner afferma di aver scoperto le capacità protettive del cow-pox, che probabilmente erano largamente note negli ambienti degli inoculatori inglesi. Nella sua ricostruzione della scoperta della vaccinazione egli scrive : “Durante le mie ricerche sul vaccino, fui colpito dall’idea che si poteva propagare la malattia con l’inoculazione, come si fa con il vaiolo, partendo dalla vacca e in seguito passando da un essere umano all’altro[17]. Ciò che egli rivendica è quindi non la scoperta della capacità immunizzatrice del cow-pox, ma l’idea di diffondere questa malattia animale, immunizzante anche per l’uomo, a tutta la popolazione. Nel testo classico del 1796, egli nota infatti che nella sua esperienza di variolizzatore aveva osservato che alcune persone non presentavano alcuna eruzione cutanea dopo l’inoculazione, concludendone che a causa di qualche “modificazione del loro organismo” essi resistevano al vaiolo: “sembrerebbe che sia avvenuto un cambiamento che dura tutta la vita nei vasi della pelle[18]. Altra intuizione fondamentale, di grande importanza per il futuro, è l’applicazione anche in questo caso del principio newtoniano, dominante negli ambienti scientifici inglesi di quel periodo, secondo il quale “le operazioni della natura sono generalmente uniformi”. I pochi casi da lui raccolti, 28 in totale, non sono singolarità e Jenner ne generalizza le conseguenze, impegnandosi per il resto della sua vita a diffondere il metodo della vaccinazione[19].

La straordinaria rapidità con cui nei diversi Paesi si diffonde la pratica della vaccinazione si può quindi spiegare con un terreno ben preparato da decenni di pratica dell’inoculazione, dalla fiducia che con la diffusione di tale pratica grazie a una “materia” meno rischiosa, come il variolae vaccinae di Jenner, si poteva proteggere tutta la popolazione da una terribile malattia, e dalla fiducia empiricamente fondata che i pochi casi accumulati sono sufficienti per andare avanti rapidamente, convincendo le famiglie a vaccinare i loro bambini e gli stati ad imporre per legge la vaccinazione. Questa fiducia si diffonde in tutti gli ambienti politici e scientifici. Così in una lettera a Jenner del 14 maggio 1806 il presidente americano Thomas Jefferson scrive: “La medicina non ha mai prodotto prima un singolo miglioramento di tale utilità … lei ha cancellato dal calendario delle umane sofferenze una delle peggiori … L’umanità non dimenticherà mai che le ha vissute”. E il grande medico Erasmus Darwin, nonno di Charles, scriveva a Jenner il 24 febbraio 1802: “La sua scoperta per evitare il terribile sfacelo prodotto nelle popolazioni umane dal vaiolo, introducendo nel sistema una malattia così leggera come quella prodotta dall’inoculazione del vaccino, può con il tempo eradicare il vaiolo da tutti i paesi civili … dovrebbe avvenire che il battesimo e la vaccinazione dei bambini possano essere fatti nello stesso giorno[20].

L’idea di Erasmus Darwin di associare l’atto di battesimo, che salva l’anima, all’atto della vaccinazione, che salva il corpo, è anche una possibile spiegazione delle ragioni per le quali il clero, delle diverse fedi religiose, sia stato uno dei protagonisti delle campagne di vaccinazione.

Vi è tuttavia un elemento decisivo per spiegare l’unicità e il valore esemplare della rapidità con cui si è diffusa storicamente la vaccinazione, ben prima che le sue basi scientifiche fossero sufficientemente chiare. La vaccinazione contro il vaiolo infatti, oltre ad avere rischi accettabili, veniva realizzata rapidamente e con successo, con mezzi semplici e con un solo intervento, anche se nei decenni successivi avvenimenti epidemici importanti avevano dimostrato la necessità di una rivaccinazione[21].

Rimane un’ultima domanda, di grande interesse e attualità, da discutere per terminare: quale era la natura della “materia vaccinale” utilizzata da Jenner? E perché, nonostante molti tentativi di utilizzare direttamente la materia estratta dalle mucche malate di cow-pox, in realtà si dovette sempre fare ricorso al prodotto utilizzato da Jenner, facendolo viaggiare, da braccio a braccio, con complicate e poco etiche procedure, in tutta Europa e poi in America?

Questo aspetto rimaneva un problema alla fine dell’Ottocento, tanto da far dire a Louis Pasteur che il vaccino era “una grande incognita della scienza medica”. E nel 1908 Etienne Burnet scriveva: “La storia del vaccino offre un contrasto unico nelle scienze mediche: in pratica si tratta di una questione risolta; in teoria si tratta di una questione sempre aperta e piena di misteri[22].

Questi misteri erano stati anche la causa di molte critiche alla tecnica jenneriana, tanto da mettere in dubbio il reale valore della vaccinazione. In molti casi i risultati non erano quelli sperati e Jenner stesso a più riprese, nelle sue pubblicazioni successive alla prima, si era dovuto confrontare con un certo numero di problemi, in particolare l’inefficacia di alcune campagne di vaccinazione. Egli aveva di conseguenza indicato la necessità di essere certi della fonte della materia utilizzata, invitando a distinguere fra il cow-pox e altre malattie delle vacche, a fare attenzione al momento in cui si prelevava tale materia, per evitare che fosse di “cattiva qualità”, e ai metodi utilizzati per il trasporto della materia prelevata. La linfa vaccinale poteva in effetti “invecchiare” e diventare “affaticata” e quindi non più capace di agire e produrre l’immunità.

Il problema fondamentale, di grande interesse scientifico ancora oggi, è che non esiste alcuna certezza sulla natura della “materia vaccinale” utilizzata da Jenner e successivamente diffusa attraverso le campagne di vaccinazione. La malattia inoculata era davvero il vaiolo delle vacche oppure si trattava di una forma attenuata di vaiolo umano, presente nelle popolazioni inglesi, che erano state in larga misura inoculate in precedenza? Oppure si trattava di una specie mutante o di un ibrido fra il virus del vaiolo delle vacche e quello del vaiolo umano?

All’epoca di Jenner era molto difficile separare nettamente il vaiolo dal vaccino. La pratica della vaccinazione avveniva in centri di inoculazione nei quali i due virus circolavano probabilmente entrambi e un’ibridazione fra i due virus sembra essere stata molto probabile. La maggior parte degli storici e di quanti hanno studiato i caratteri immunologici e in tempi recenti genomici dei diversi ceppi di vaccino utilizzati concordano nell’affermare che il cow-pox originario di Jenner era stato rapidamente sostituito da un ricombinante, il che spiega bene perché il ricorso a successivi prelievi da animali malati di cowpox non permetteva di ottenere la vera “materia vaccinale”. Si può quindi affermare che la maggior parte delle vaccinazioni effettuate nell’Ottocento non utilizzavano già più la materia originale di Jenner[23]

Nel 1939, Allan Watt Downie ha mostrato che tutti i ceppi utilizzati per la vaccinazione erano differenti dal virus del vaiolo delle mucche (cow-pox), anche se immunologicamente simili. Si poteva quindi parlare di tre specie diverse di virus: il vaiolo umano, il cow-pox e il vaccino, quest”ultimo probabilmente una ricombinazione fra i primi due.[24] Queste tre specie si potevano riconoscere dal tipo di lesioni provocate su tessuti animali in laboratorio: bianche, ulcerose ed emorragiche per il cow-pox, rosse brillanti per il vaccino e bianche per il vaiolo.

In uno studio recente basato sull’analisi delle sequenze genomiche si afferma che il virus cowpox (CPXV) non è una specie singola, ma un insieme di almeno cinque specie differenti che possono infettare l’uomo, i bovini e altri animali. Inoltre, i dati genomici indicano che i ceppi moderni del virus Vaccinia sono paradossalmente più simili al CPXV dell’Europa continentale che a quelli presenti in Inghilterra, il Paese natale della vaccinazione[25]. Si può quindi affermare che il  vaccino usato per eradicare il vaiolo alla fine degli anni Settanta del Novecento non è  il virus del cow-pox usato da Jenner. Nell’albero filogenetico della famiglia dei Poxvirus, i ceppi virali Vaccinia (VACV) sono raggruppati insieme, ma sono distinti dai ceppi di CPXV ed entrambi sono separati chiaramente dai ceppi del vaiolo umano (VARV).[26]

Una ricerca ancora più recente sulle sequenze genomiche dei diversi poxvirus, resa nota alla fine del 2014, rende la situazione ancora più complessa, e per alcuni versi più interessante. Secondo gli autori, i ceppi esistenti del virus vaccinia non possono essere raggruppati in alberi filogenetici semplici con chiare relazioni storiche fra i diversi ceppi. Invece, i dati suggeriscono che tutti i ceppi esistenti derivano da uno stock complesso di virus che sono stati manipolati, distribuiti e selezionati a caso per un lungo periodo di tempo, in questo modo oscurando i legami storici e geografici.[27]

 

I movimenti antivaccinali della fine dell’Ottocento

La scarsa chiarezza sulla natura della materia vaccinale, i rischi dimostrati legati alle difficoltà di trasporto, le possibilità non trascurabili di trasmettere altre malattie contagiose hanno prodotto per tutto l’Ottocento e nei primi decenni del Novecento molti movimenti di opinione contrari alla vaccinazione. Inoltre, anche nei Paesi europei dove la vaccinazione era applicata i maniera più larga, diverse gravi epidemie si produssero negli anni 1824-1829 e 1837-1840. La situazione fu poi aggravata dal conflitto franco-prussiano del 1870-71, che provocò un’epidemia di vaiolo particolarmente grave, con almeno mezzo milione di morti in tutta l’Europa. La malattia sembrava quindi resistere alla vaccinazione e molti cominciarono a chiedersi se effettivamente la vaccinazione poteva proteggere la popolazione.

Il sempre fragile equilibrio fra due paure, quella della malattia e quella legata alla vaccinazione, negli ultimi decenni dell’Ottocento in vari paesi europei e negli Stati Uniti si spostò a favore delle opposizioni. Così quando il governo olandese reagì alla grave epidemia del 1871 obbligando la vaccinazione per tutti bambini in età scolare nel 1881 fu creata una “associazione per l’opposizione alla vaccinazione obbligatoria”, motivata dall’opinione che tale obbligatorietà rappresentava una negazione della libertà individuale. Secondo questa opinione, il rifiuto dell’obbligazione della vaccinazione per motivi religiosi doveva essere rispettata, una posizione che in gran parte fu successivamente accettata all’inizio del XX secolo. Allo stesso modo nel 1879 fu creata negli Stati Uniti una società anti-vaccinazione e organizzazioni simili furono create nei vari stati negli anni successivi. Spesso queste associazioni erano organizzate da religiosi ma anche da medici, soprattutto non “ortodossi” che rifiutavano l’intervento dello Stato nel mercato terapeutico con la conseguente regolamentazione delle pratiche sanitarie[28].

Qualcosa di analogo si verificò in Gran Bretagna quando nel 1853 e nel 1871 fu resa obbligatoria la vaccinazione dei neonati contro il vaiolo. Il primo atto legislativo in favore della vaccinazione era stata approvato in Inghilterra nel 1840. Questa legge condannava l’uso della variolizzazione e rendeva gratuito l’uso dei vaccini. Una successiva legge del 1853 rese la vaccinazione obbligatoria introducendo una serie di sanzioni gravi per punire i genitori che non vi ottemperavano. Una successiva modifica di questa stessa legge del 1867 rese ancora più severe le pene previste, prevedendo dei processi contro i genitori inadempienti. Questa stessa legge prevedeva la creazione di un corpo speciale di funzionari pubblici, il cui scopo era identificare i casi di non osservanza della legge per la vaccinazione.

La prima legge sulla vaccinazione aveva sollevato una grande resistenza soprattutto nei medici pratici che praticavano la variolizzazione e che si trovarono all’improvviso fuori mercato. La legge del 1867 sollevò una resistenza su vasta scala proprio a causa della sua natura coercitiva. Più di cento organizzazioni furono create per resistere alla vaccinazione , con una grande diversità di posizioni scientifiche, politiche e ideali. Non si trattava soltanto di movimenti antiscientifici dato che molte di queste associazioni erano a favore delle riforme sociali e richiedevano un’analisi quantitativa accurata dei risultati della tecnica.

A causa del fatto che le persone ricche potevano fare vaccinare i loro bambini da specialisti medici mentre i poveri dovevano ricorrere a strutture poco professionali appartenenti alla burocrazia statale, si sviluppò una notevole resistenza in particolare nella classe operaia inglese contro la volontà dello Stato di controllare “il corpo dei cittadini”, soprattutto nei confronti dei funzionari incaricati del “controllo sociale” sulla vaccinazione dei bambini. Ci furono molte manifestazioni di piazza, anche di massa, e l’atteggiamento nei confronti della vaccinazione costituì uno degli argomenti per le campagne elettorali[29].

L’opposizione più che contro la vaccinazione in sé era contro la natura obbligatoria della vaccinazione e gli oppositori sollevarono la questione dell’obiezione di coscienza. Nel 1889 fu creata in Gran Bretagna una Commissione reale per la vaccinazione come risposta alle forti pressioni sociali, con lo scopo di verificare l’utilità della vaccinazione nel controllo del vaiolo, individuare altri mezzi diversi dalla vaccinazione per controllare la malattia, certificare la sicurezza della vaccinazione e valutare se fosse il caso di rendere obbligatoria per legge la vaccinazione dei bambini. Dopo sette anni di lavori la commissione pubblicò nel 1896 un rapporto finale contenente un numero molto elevato di dati. Il rapporto riconosceva che la diminuzione dell’incidenza del vaiolo era almeno in parte attribuibile alla vaccinazione ma al tempo stesso sottolineava il contributo dei miglioramenti nell’igiene e nelle politiche sanitarie. Inoltre, la commissione riconosceva che l’uso di siero di origine umana poteva trasmettere altre malattie infettive, in particolare la sifilide e suggerì di utilizzare un vaccino prodotto con le mucche. Per quanto riguarda l’obbligatorietà della vaccinazione la commissione suggeriva di diminuire le pene previste riducendole solo a una multa, che non doveva essere considerata come una punizione per i genitori, in quanto questi potevano essere mal guidati nella loro idea. Secondo la commissione, l’obiettivo di vaccinare la popolazione nel suo complesso avrebbe potuto essere raggiunto senza punire le persone che per ragioni personali, religiose o ideologiche, rifiutavano di sottoporre i loro figli alla vaccinazione. Lo scopo era quello di evitare che i bambini non fossero vaccinati solo a causa della negligenza e dell’ignoranza dei loro genitori. Molti membri della comunità medica britannica sostennero la possibilità dell’obiezione di coscienza, proposta anche da un editoriale del British Medical Journal[30]. Finalmente nel 1907 la legge fu cambiata per permettere il diritto al rifiuto.

Il grande naturalista Alfred Russell Wallace, il co-scopritore del principio della selezione naturale, fu uno dei protagonisti delle campagne contro la vaccinazione alla fine del XIX secolo. Wallace non aveva un atteggiamento antiscientifico o retrogrado, era sostenitore di un riformismo sociale ambizioso e utilizzò una serie di solidi argomenti quantitativi, ricavati da fonti ufficiali e poi pubblicati in libri e pamphlet, per negare le affermazioni secondo le quali la vaccinazione era uno strumento valido di lotta contro la diffusione di malattie epidemiche.

Wallace cominciò a occuparsi di questo tema alla metà degli anni Ottanta  del XIX secolo quando aveva sviluppato un’attitudine filosofica a favore del riformismo sociale, dello spiritualismo e una visione olistica della salute[31]. Egli accettava l’idea che il vaiolo fosse una malattia contagiosa ma pensava che le differenze nella suscettibilità, dovute a carenze nutrizionali o alla inefficienza del sistema sanitario, svolgevano il principale ruolo causale dellepidemiologia di questa malattia. Tra i primi a usare le statistiche per valutare i problemi di sanità pubblica, Wallace fece una critica severa dei vari rapporti che erano stati prodotti dalle autorità mediche sanitarie inglese, sulla base dei loro stessi dati, mostrando le incertezze e linsufficienza dei risultati ottenuti. In effetti Wallace notava che i dati epidemiologici sullo stato di vaccinazione erano estremamente incompleti, dato che per più della metà delle persone morte a causa del vaiolo non si sapeva se erano state o no vaccinate in precedenza. Wallace era convinto che la suscettibilità al vaiolo non era distribuita equamente tra le classi sociali. Le persone povere e deboli che vivevano in una situazione di squallore erano molto poco vaccinate e avevano il più alto tasso di mortalità per vaiolo a causa delle loro condizioni di vita.

L’approccio statistico alla vaccinazione usato da Wallace come dai suoi oppositori non poteva risolvere la questione dell’efficacia del vaccino e quindi ogni parte in causa poteva scegliere l’interpretazione più adatta alle proprie prese di posizione teorica. Questo dibattito comunque fu di grande importanza perché permise di definire il tipo di evidenze demografiche ed epidemiologiche necessarie per valutare correttamente i risultati di una politica di vaccinazione, dando un contributo decisivo allo sviluppo dei metodi epidemiologici.

 

L’illusione tecnologica e la lotta alla polio

Come conseguenza dei grandi sviluppi tecnologici che si erano prodotti a cavallo della seconda guerra mondiale, con la scoperta degli antibiotici, degli insetticidi contro i vettori, l’introduzione delle tecniche di rianimazione e di terapia intensiva, negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento si realizzò un cambiamento concettuale e di aspettative, con la diffusione di una sorta di  “illusione tecnologica”[32], l’idea che si potesse trovare una soluzione tecnica efficace per ogni problema sanitario ed eliminare dall’ambiente come dall’interno nel corpo, tutti i possibili fattori negativi, tutte le diverse cause di malattia, dai germi ai geni.

Negli anni Cinquanta l’ambiente medico e le strutture sanitarie avevano sviluppato un grande ottimismo sulla possibilità di controllare e al limite eliminare le malattie trasmissibili. Il premio Nobel MacFarlane Burnet scriveva nel 1953: “le malattie infettive saranno sempre con noi … ma stanno diventando relativamente senza importanza come principale causa di morte … Credo che, una volta garantito che le procedure ben stabilite per la medicina preventiva, le cure mediche e la produzione di farmaci continueranno a funzionare, il lavoro fondamentale sulla natura dei microrganismi e sulle malattie che essi producono potrebbero arrestarsi oggi senza influenzare il processo in corso per cui tutte le principali malattie stanno scomparendo. È estremamente improbabile che ci sarà bisogno di nuovi principi per mantenere il nostro attuale, efficace controllo sulle malattie infettive. In questo senso la ricerca fondamentale non è richiesta da un bisogno umano chiaramente espresso[33].

La scoperta e l’utilizzazione molto rapida di due vaccini molto efficaci all’inizio degli anni Sessanta del XX secolo ha dato ulteriore forza a questa “illusione”. Nello spazio di una sola generazione si era dimostrata la possibilità di eradicare la malaria ed eliminare la poliomielite e la difterite dall’Europa e dagli Stati Uniti, insieme il tetano e la meningite, ridurre drasticamente la morbilità e soprattutto la mortalità per la tubercolosi[34] e molte altre malattie batteriche. E infine, nel 1980 l’OMS certifica ufficialmente l’eliminazione totale a livello mondiale del vaiolo, grazie ad una efficace campagna di vaccinazione di massa, la prima di uno dei grandi flagelli che per millenni avevano decimato le popolazioni umane[35].

Alla fine degli anni Sessanta l’OMS organizzava delle riunioni di esperti ponendo domande del tipo “Infectious disease, does it still matter?” (le malattie infettive sono ancora importanti ?)[36]. E anche se la risposta era stata positiva – si, lo sono – il fatto stesso che la domanda fosse stata posta mostra la prevalente atmosfera di ottimismo. Ci vorrà forse ancora del tempo, ma la medicina riuscirà ad eliminare le malattie infettive come causa di morte. E le modifiche nel quadro epidemiologico nei Paesi sviluppati sembravano confermare questa idea: sempre di più la mortalità si spostava verso l’età avanzata e le cause di morte erano legate alle malattie non infettive, dette “di degenerazione” (come le malattie cardiovascolari, il cancro o le cosiddette malattie croniche).

 

Il paradigma della poliomielite

Un fattore decisivo per la diffusione di questo ottimismo e per un atteggiamento nel pubblico molto favorevole allo sviluppo e introduzione di nuove tecniche nella pratica medica e sanitaria è costituito dal “successo” nella lotta contro l’epidemia di poliomielite che sino agli anni Sessanta sembrava destinata a prendere il posto del vaiolo come drammatica minaccia sanitaria.

La storia della pandemia di poliomielite si svolge su un periodo di tempo relativamente corto, alcuni decenni, dalla fine dell’Ottocento sino agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso. Sebbene la malattia continui a essere un serio problema nei Paesi in via di sviluppo, la poliomielite è scomparsa dal mondo sviluppato. L’eradicazione totale della malattia può essere prevista in tempi relativamente brevi e le epidemie recenti non hanno mai raggiunto il livello di pericolosità e l’impatto sociale che hanno avuto nei primi sessant”anni del XX secolo. Con una rapida successione di eventi, l’esplosione della pandemia è stata bilanciata da una serie impressionante di nuove attività internazionali e di sviluppi tecnologici, in particolare l’introduzione rapida di vaccini efficaci e di nuove tecniche terapeutiche riabilitative.

In Italia, a causa della sua particolare storia sociale e demografica dopo l’unificazione nel 1861, questa storia è compressa in soli quarant’anni, dalla prima epidemia grave immediatamente alla fine degli anni Trenta agli anni Settanta, quando l’epidemia fu bloccata e eliminata grazie a una campagna di vaccinazione efficace e diffusa su tutto il territorio nazionale.

L’emergenza in forma epidemica di una malattia in precedenza relativamente rara ma comunque presente nell’antichità e descritta nella letteratura clinica all’inizio dell’Ottocento da Giovanni Battista Monteggia (1762-1815)[37], fu percepita come un paradosso dalla comunità medica e di sanità pubblica, in particolare negli anni Cinquanta proprio quando la medicina sembrava essere capace di eliminare le malattie infettive come problemi di sanità pubblica e concentrare piuttosto l’attenzione sulle malattie croniche costituzionali. Sino alla fine dell’Ottocento l’impatto epidemiologico della malattia era molto limitato e  la polio era considerata una malattia dei bambini. L’impatto reale della malattia non era percepibile, dato che la maggior parte delle infezioni rimanevano silenziose, invisibili, senza sintomi specifici, producendo una immunità permanente. La maggior parte dei bambini infettati mostravano solo un breve episodio febbrile che abitualmente veniva trascurato. Solo alla fine dell’Ottocento i giornali medici cominciano a pubblicare casi di giovani adulti colpiti da una forma di paralisi e a descrivere un cambiamento sensibile della fisionomia della malattia e dei suoi aspetti clinici. La distribuzione epidemiologica sembrava ora attaccare anche i giovani adulti e vi erano differenze significative nei segni clinici nei casi severi, con importanti lesioni nervose e debolezza degli arti. Il sistema nervoso risultava gravemente danneggiato e le lesioni non potevano essere riparate, producendo una paralisi permanente.

Le prime epidemie si produssero in Svezia a partire dalla fine dell’Ottocento, soprattutto con una epidemia devastante nel 1905 con più di 1000 casi. Negli Stati Uniti dopo una prima epidemia nel 1907 a New York, il Nord-Est del paese fu colpito da una epidemia molto grave, con 28,5 casi ogni 100.000 abitanti. Come era avvenuto per le epidemie dell’Ottocento, in particolare del colera, questo avvenimento spinse all’introduzione di misure di quarantena stretta, disinfezione delle città, denuncia e isolamento dei casi e trattamento obbligatorio, ma la comunità medica si rese rapidamente conto che i casi denunciati erano probabilmente solo il 10% del totale delle persone infette. Di conseguenza le misure di quarantena risultavano essere inefficaci e venivano applicate allo scopo squisitamente psicologico di calmare le ansie e le preoccupazioni della popolazione.

In Italia dopo il 1935 vengono riportati cinque casi ogni 100.000 abitanti in media, un picco di 13, 7 nel 1939 con un totale di 6.000 casi. In questo anno un evento particolare rese l’epidemia di polio particolarmente visibile in Italia, creando un vasto allarme tra la popolazione. La figlia più giovane di Benito Mussolini, Anna Maria, fu colpita da una forma grave di poliomielite. All’inizio la malattia fu mal diagnosticata e confusa con una forma non specifica di tosse convulsa. La bambina finalmente guarì ma rimase con una grave forma di scoliosi paralitica. L’implicazione diretta della famiglia del Duce produsse una serie di rilevanti iniziative nel campo della prevenzione, del trattamento e delle conseguenze della malattia. Fu lanciata una vasta campagna sociale e la dichiarazione dei casi fu resa obbligatoria.

Nel secondo dopoguerra si ebbe un’epidemia grave nel 1953 e successivamente l’incidenza rimase stabile fino alla fine del decennio con un picco nel 1958, con 16 casi ogni 100.000 abitanti. La distribuzione all’interno del paese era strettamente correlata con la qualità delle condizioni sanitarie e l’educazione sanitaria. I bambini degli strati più bassi della popolazione contraevano la malattia in un’età precoce rispetto a quelli delle classi sociali più elevate e le conseguenze risultavano meno gravi, in quanto la gravità della malattia aumentava con l’età dei colpiti. Le analisi dei dati epidemiologici disponibili a partire dal 1925 mostrano infatti lo spostamento dell’incidenza della malattia in tre differenti gruppi di età con una significativa riduzione del numero dei morti tra i bambini giovani (0-4 anni) e un aumento negli adulti sopra i 20 anni mentre gli altri rimanevano costanti. Questa modificazione fu attribuita al miglioramento delle condizioni igieniche e all’aumentata urbanizzazione della popolazione .

Negli anni Cinquanta la polio viene vista come un problema nazionale e come un pericolo sociale. Un’intensa attività scientifica ed epidemiologica, resa anche possibile da nuove risorse finanziarie resi disponibili dagli aiuti internazionali e dallo sviluppo economico, si accompagnano a una vasta campagna di prevenzione ed educazione sanitaria. La malattia a livello internazionale divenne un “problema mondiale” che non poteva essere risolto a livello locale: “La trasformazione della poco comune paralisi infantile dell’Ottocento nella poliomielite epidemica a distribuzione praticamente mondiale presenta oggi uno dei problemi di sanità pubblica più formidabili” (Payne).[38] Immediatamente dopo la sua creazione nel 1947, l’OMS creò una commissione di esperti sulla polio, che svolge ruolo fondamentale della coordinazione delle attività a livello nazionale internazionale, diffondendo le nuove scoperte e le tecniche e aumentando la conoscenza sulla malattia e sui metodi terapeutici e riadattativi.

Negli anni Cinquanta l’incidenza della polio in Italia continuò a crescere particolarmente nelle regioni centrali e meridionali. Dopo il picco epidemico del ‘53 si verificò una diminuzione del numero di casi negli anni ‘54-‘55 ma dal ‘56 il numero cominciò a crescere ancora e nel 1958 si ebbe la peggiore epidemia mai avvenuta in Italia, con più di 8000 casi e un’incidenza di 16,7% per mila abitanti, 1.173 morti e una letalità del 14%.

Le origini della nuova epidemia furono connessi con l’evoluzione dell’igiene e i cambiamenti nei modi di vita della popolazione, ma in alcuni ambienti fu anche suggerito che la responsabilità poteva essere attribuita alle campagne di vaccinazione, in particolare quelle contro la difterite, con un vaccino disponibile in Italia sino dalla fine degli anni Venti. La vaccinazione anti-difterite era stata resa obbligatoria nel 1939 ma in effetti era stata implementata a livello nazionale solo all’inizio degli anni Cinquanta. Di qui la diffusione in alcuni ambienti scientifici e soprattutto nell’opinione pubblica di un possibile legame causale con l’epidemia di poliomielite. Nel 1952 fu organizzata presso l’Istituto superiore di sanità una riunione speciale presieduta dal celebre clinico Cesare Frugoni, con un rapporto del direttore generale della sanità pubblica Dino Tramarossa. Praticamente tutti gli esperti sulla poliomielite erano presenti e il risultato fu la completa esclusione di ogni legame causale tra le vaccinazioni e la poliomielite. Una coincidenza temporale, infatti, non comporta necessariamente un legame causale, che deve essere determinato con un’analisi dettagliata dei possibili nessi causali.

In questa situazione di crisi epidemica e di attenzione dell’opinione pubblica si fece strada rapidamente la necessità di una campagna di vaccinazione, utilizzando i due tipi di vaccino che erano stati da poco messi a punto,  rispettivamente da Salk con il vaccino inattivato (IPV) e il vaccino orale con virus vivente attenuato (OPV) messo a punto da Sabin. Il vaccino di Salk fu approvato dal Ministro della Sanità nel 1957 e il ministero della sanità mise a disposizione dosi gratuite per i  bambini in età prescolare e scolare. Gli sforzi di ricerca che erano stati condotti soprattutto negli Stati Uniti per la preparazione di un vaccino contro la poliomielite furono seguiti rapidamente dalla realizzazione di strutture produttive in Italia che rapidamente divennero capaci di preparare sia l’IPV (Istituto sieroterapico italiano a Napoli) che l’OPV (l’istituto Sclavo a Siena e l’Istituto Sieroterapeutico Milanese a Milano).

Il vaccino di Salk fu largamente usato in Italia, senza apparenti opposizioni, fra il 1958 e il 1963, ma questo non impedì il verificarsi di migliaia di casi di poliomielite paralitica in Italia. Degli studi realizzati sul terreno mostrarono che i ceppi del vaccino Salk utilizzati in Italia avevano una bassa immunogenicità[39]. Se ne sviluppò un vivace dibattito di controversia scientifica sui metodi di vaccinazione. Alcuni esperti pensavano che ci si doveva concentrare sul vaccino inattivato migliorando la sua immunogenicità mentre altri sostenevano l’uso del vaccino attenuato vivente di Sabin. Lo studio di questo secondo tipo di vaccino era iniziato in parallelo con l’altro ma il tempo necessario per la sua preparazione e prova clinica fu più lungo a causa dell’argomento delicato della sicurezza legato all’uso di un vaccino vivente, anche se attenuato. In una serie di riunioni tra il ‘55 e il ‘56 furono discussi i risultati immunologici ottenuti con i due metodi e risultati immunologici e finalmente i risultati dei test persuasero le autorità di sanità pubblica, negli Stati Uniti come in Italia, a lanciare nel 1959 una sperimentazione dell’OPV su vasta scala, che sembrò produrre un’immunità notevole ma anche  una resistenza alla reinfezione con virus di poliomielite selvaggi nel tratto intestinale. Questo fatto era considerato una barriera contro la diffusione del virus nella popolazione che in questo modo poteva acquisire una certa quantità di protezione.[40]

L’attitudine positiva della comunità medica fu amplificata dalla stampa nazionale in un articolo pubblicato su La Stampa il 31 agosto 1962,  nel quale si chiedeva esplicitamente “perché il vaccino di Salk non è usato ?” L’articolo faceva riferimento ai risultati ottenuti dalle ricerche di laboratorio e dai testi sulla popolazione, notando i vantaggi dell’OPV anche per la facilità con cui era possibile amministrarlo ai bambini. In un paese come l’Italia dell’epoca, dove i fattori economici e la struttura socioeconomico rendevano difficile raggiungere i giovani bambini per poter somministrare dosi successive del vaccino inattivato,  l’uso dell’OPV poteva limitare a tre o quattro il numero di dosi da dare oralmente. Il passaggio dal vaccino inattivato al vaccino vivente poteva rendere la vaccinazione possibile su larga scala e perciò aumentare la copertura della campagna di vaccinazione.

Con un sostegno forte da parte dei medici pediatri responsabili, dei responsabili della sanità pubblica e delle famiglie, finalmente nel 1964 il Ministero della Sanità decise di lanciare la prima campagna di vaccinazione di massa utilizzando il vaccino orale vivente attenuato (OPV).

Dopo una formazione attenta degli operatori sanitari e la distribuzione di informazione pubblica attraverso i media, la campagna di vaccinazione fu realizzata con una larga copertura su tutto il territorio nazionale, superiore al 90%. Nel 1966, allo scopo di mantenere un elevato livello di immunizzazione, la vaccinazione antipoliomielite fu resa obbligatoria per tutti neonati (legge 51 del 4 febbraio 1966), mentre lo stato di immunità della popolazione era regolarmente controllato con analisi sierologiche.

Con l’utilizzazione massiccia dell’OPV a partire dall’inizio 1964, il numero di casi riportati rapidamente diminuirono da una media di circa 3000 per anno a 254 nel 1965, 147 nel 1966, 106 nel ‘67 e 87 nel ‘68. In questo periodo la maggior parte dei casi riportati provenivano delle regioni del sud e nelle isole dove la percentuale di bambini vaccinati durante le campagne era molto più bassa che nella regioni del Nord e centrali.[41]A partire dal 1983 nessun nuovo caso di poliomielite è stato riportato in Italia e i dati sierologici ed epidemiologici mostrano una copertura vaccinale eccellente in tutto il territorio nazionale, con l’eccezione della regione di Napoli.

Durante la campagna di vaccinazione, un’attenzione particolare era posta sulla possibile produzione di casi di polio a causa della vaccinazione. Analisi epidemiologica successive mostrarono che nel periodo 1964-2000 un piccolo numero di casi di poliomielite associato al vaccino si erano effettivamente prodotti e tenendo conto degli aspetti etici e della situazione epidemiologica molto positiva nel 2000 è stato introdotto uno nuovo schema vaccinale basato sull’uso di ceppi inattivi nelle prime due vaccinazioni e del virus vivente nelle successive due, mentre a partire dal 2003 l’uso del vaccino attenuato è stato totalmente abbandonato e solo l’IPV viene usato per le vaccinazioni.

La storia delle campagne vaccinali contro la poliomielite mostra ancora una volta che il livello di accettabilità di una tecnica relativamente pericolosa dipende dalla situazione epidemiologica generale e dei rischi reali e percepiti di diffusione epidemica. Negli anni Quaranta e Cinquanta l’attitudine sociale e culturale in Italia, come negli altri paesi colpiti dalle epidemie, cambiarono e comparve una nuova sensibilità. Le immagini di giovani colpiti da un handicap severo oppure costretti a vivere per tutto il resto della loro vita in un polmone artificiale, una vera e angusta prigione per il corpo, diffuse ampiamente dai quotidiani e dai settimanali, ebbero un drammatico impatto sul pubblico. Anche nella vita di tutti i giorni, il grande incremento nel numero di colpiti dalla poliomielite rendeva frequente incontrare giovani sulla sedia a rotelle o con addosso pesanti apparati ortopedici. A questo si associava la paura di vivere il resto della propria vita con le gravi e invalidanti conseguenze della malattia, che obbligavano a un cambiamento totale del modo di vita. Di qui la richiesta urgente e le pressioni sociali per un uso rapido, esteso e obbligatorio della vaccinazione.

 

Le controversie attuali           

Negli ultimi decenni si è verificata la riemergenza di forti movimenti anti-vaccinazione, centrata in particolare sui rischi legati alla pratica e sulla messa in dubbio della sicurezza dei vaccini utilizzati. Nel mondo industrializzato un numero crescente di genitori non va a far vaccinare i bambini, con il conseguente declino nei tassi di copertura vaccinale, divenuta in molti Paesi una grave preoccupazione delle autorità di sanità pubblica. Per alcuni aspetti i movimenti anti-vaccinazione odierne riprendono argomenti tipici delle opposizioni nel passato, suggerendo una permanenza di credenze e attitudini[42], ma al tempo stesso presentano due elementi di notevole novità: 1. queste opposizioni si manifestano in una situazione sanitaria che non era stata mai nel passato così buona, con servizi sanitari relativamente efficienti e accessibili, una disponibilità di mezzi terapeutici senza precedenti e un generale miglioramento del quadro di salute degli individui e delle popolazioni; 2. gli argomenti utilizzati contro le vaccinazioni sono ampiamente diffuse grazie alla “società dell’informazione”, circolano liberamente nella popolazione, permettono agli individui e alle associazioni un accesso diretto a fonti di dati di grandi dimensioni, anche se spesso non criticamente verificati, creando un nuovo tipo di dinamica e di relazioni fra gli operatori del servizio sanitario e gli utenti.

Le obiezioni contro la vaccinazione possono essere raggruppate in due campi distinti e complementari. Il primo riguarda la percezione dei rischi legati ai vaccini e la loro sicurezza, il secondo collegato  invece ai diritti e alle responsabilità dei cittadini, al rispetto della libertà civile e dell’autonomia della scelta dei trattamenti medici, riconosciuti anche dalla Costituzione della Repubblica Italiana.

Per quanto riguarda il primo tipo di obiezioni è necessario riconoscere che come per ogni atto medico, esistono anche per le vaccinazioni dei rischi potenziali non trascurabili. Il rischio non può mai essere assente e, come per ogni attività umana, il rischio zero è solo un mito. La vaccinazione consiste in uno stimolo indotto e controllato del sistema immunitario. Reazioni avverse sono quindi sempre possibili e in alcuni casi anche prevedibili. Eventuali eventi negativi (in inglese Adverse Events Following Immunization, AEFI) devono di conseguenza essere tenuti in conto e valutati nella loro portata e nelle loro conseguenze sulla salute individuale e collettiva[43].

Tali rischi andrebbero studiati, valutati e se possibile diminuiti sulla base di una conoscenza approfondita dei dati clinici ed epidemiologici. Purtroppo spesso queste situazioni negative non vengono valutate sulla base della conoscenza ma di credenze o miti, nella cui costruzione svolge un ruolo fondamentale l’immaginazione e nella cui concreta manifestazione si manifestano processi emozionali profondi.

I motivi del rifiuto dei genitori a vaccinare i loro figli sono vari e comprendono: il rischio di trasmettere la malattia che la vaccinazione vuole prevenire, la possibilità che i vaccini producano un’immunità solo temporanea mentre in realtà indeboliscono il sistema immunitario favorendo l’insorgenza di altre malattie, le preoccupazioni sulla sicurezza del vaccino, il grado di fiducia nelle autorità sanitaria, il tipo di rapporto esistente con il medico di famiglia durante la consulenza relativa alla vaccinazione, il grado di informazione sulle procedure di produzione dei vaccini e sugli eventuali rischi legati a contaminazioni, l’effettiva capacità della vaccinazione di prevenire le malattie infettive, con una valutazione del rapporto rischi/benefici. La prevalenza dell’uno o dell’altro di questi motivi o il relativo grado di convinzione dipende dalle convinzioni ideali o religiose, dal contesto economico, dalle relazioni sociali e di gruppo, dall’adesione a pratiche di medicine complementari o alternative. Altri parametri demografici che svolgono un ruolo importante sono l’età, il livello di istruzione, il luogo di origine, il numero di figli e ovviamente lo stato civile. Occorre notare che la grande maggioranza dei partecipanti ai forum e alle discussioni sulla vaccinazione e più in generale sulla medicina sono donne, il che riflette l’organizzazione sociale che fa delle donne, madri di famiglia, le attrici fondamentali della “medicina quotidiana”, cioè delle pratiche sanitarie di base e delle relative scelte.

Negli anni più recenti le controversie più significative riguardano la possibilità che la vaccinazione provochi malattie diverse da quelle che si intende prevenire. Come era avvenuto già nel passato, la pratica vaccinale viene legata alla comparsa di diverse patologie, con la differenza sostanziale che nel passato le malattie temute e talvolta riscontrare erano malattie infettive, i cui germi potevano essere trasmessi con la “materia vaccinale”, mentre oggi i diversi tipi di vaccini sono legati a patologie di tipo costituzionale, sistemico o cronico, come l’autismo, la malattia di Crohn, l’artrite cronica, il diabete insulino-dipendente, la sindrome della morte improvvisa, l’encefalopatia, la sclerosi multipla. Una serie di ricerche molto sofisticate di tipo clinico ed epidemiologico sono state realizzate negli ultimi anni, anche sulla spinta dell’ansia sociale, per poter affermare o negare questo tipo di legami causali. I risultati sono stati sempre negativi e il legame causale fra vaccinazione e insorgenza di malattie croniche non ha mai potuto essere verificato con indagini epidemiologiche e di laboratorio.

In effetti in un gran numero di casi i pretesi legami causali sono in realtà esempi del tradizionale errore post hoc ergo propter hoc : l’evento negativo si è verificato dopo una vaccinazione e quindi la successione temporale tende a far concludere che la causa dell’evento patologico possa essere la vaccinazione. L’epidemiologia fa però osservare, da molto tempo, che sebbene una successione temporale sia una condizione necessaria, essa non è sufficiente per stabilire una relazione causale. Il termine reazione avversa o effetto secondario dovrebbe quindi essere usato solo se una relazione causale con l’immunizzazione è stata stabilita utilizzando gli appropriati criteri di validità epidemiologica, come i criteri di Hill[44].

Uno dei problemi più importanti è che le posizioni contro la vaccinazione si basano spesso sull’amplificazione e generalizzazione di testimonianze individuali sulla possibile relazione causale tra la vaccinazione e la comparsa di complicazioni e di effetti secondari di varia natura, compreso il manifestarsi di patologie croniche. L’impatto di testimonianze sui risultati delle pratiche vaccinali o sieroterapiche erano state nel passato una delle chiavi per la diffusione della vaccinazione. A partire dal caso di Jenner, della vaccinazione contro la rabbia del giovane Joseph Meister da parte di Louis Pasteur, o ancora la guarigione del 90% dei casi di difterite, una malattia estremamente temuta dalle madri all’inizio del Novecento, grazie alla sieroterapia, o infine l’impatto drammatico della vaccinazione contro la poliomielite negli anni Sessanta del XX secolo, i casi di successo avevano oscurato gli effetti negativi e spesso funesti, che effettivamente esistono o nel caso, che storicamente è stato il simbolo stesso della rivoluzione pastoriana, o ancora l’accumulo di “casi individuali positivi” era stato strumentale nell’accettazione dell’immunizzazione e della sua diffusione a livello di massa.

Con lo stesso tipo di ragionamento basato sull’amplificazione di casi individuali, nella situazione contemporanea si ottiene il risultato opposto, dato che le malattie infettive sono diventate estremamente rare e l’allarme suscitato da eventuali eventi negativi dopo la vaccinazione viene amplificato, stabilendo un legame causale tra vaccinazione e complicazione. Lo stesso fenomeno si era verificato, e si verifica tuttora, nella presenza di un atteggiamento negativo nei confronti delle campagne per il divieto del fumo nei locali pubblici, nonostante la massa di prove scientifiche ed epidemiologiche del legame causale stretto fra fumo e tumori, questo atteggiamento è basato su osservazioni o credenze su casi individuali, del tipo classico “mio nonno ha sempre fumato il sigaro ed è morto a 90 anni”, con un bilanciamento non giustificato fra un singolo caso individuale e risultati delle indagini epidemiologiche su larghe popolazioni. Uno degli ostacoli epistemologici e psicologici più importanti è l’assenza di un pensiero capace di prendere in conto l’insieme dei fenomeni di popolazione (population thinking). Molto spesso si generalizza a partire da uno o pochi casi, senza tener conto che spesso un caso singolo può venire annullato da un altro caso con risultati opposti e che solo risultati statistici su grandi numeri può dimostrare, insieme alla conoscenza scientifica di tutti i cofattori, la validità di un nesso causale.

Negli ultimi anni particolarmente importanti nell’influenzare le attitudini nei confronti delle vaccinazioni si sono rivelati i molti forum e siti di discussione su argomenti medici e sanitari esistenti su Internet, che spesso funge da amplificatore di grande potenza di testimonianze personali e di singoli dati individuali. I movimenti anti-vaccinazione fanno uso sistematico di Internet, con una presenza costante nei dibattiti e una tendenza a pubblicizzare e drammatizzare casi di reazioni negative ai vaccini nei media e tra il pubblico.

Nella società contemporanea dell’informazione il problema non è l’assenza di dati ma l’eccesso di diffusione di dati non controllati. La diffusione di atteggiamenti contrari alla vaccinazione è facilitata da una scarsa e inadeguata conoscenza scientifica presente nei media e dalla nota e tradizionale tendenza al sensazionale. Come scritto il direttore della rivista Vaccine, nei media amanti di sensazioni, l’esacerbazione dei singoli incidenti per indicare la possibilità di maggiori disastri è una tentazione troppo potente per la maggior parte dei commentatori, mentre all’opposto la prevenzione riuscita di malattie in decine di milioni di individui è virtualmente ignorata[45].

Ci sono stati in epoca recente grandi cambiamenti nella percezione del rischio e nella sua accettazione. All’inizio dell’Ottocento il vaiolo era talmente diffuso che il rischio di morirne o di restarne sfigurati risultava, ed era percepito, come molto più grande dei rischi associati prima all’inoculazione del vaiolo e poi alla vaccinazione, soprattutto in un periodo che non conosceva ancora la sterilizzazione e l’igiene scientifica. Esiste una relazione inversa, storicamente verificata : più una malattia epidemica è grave e maggiore è il suo impatto sociale, minore è l’opposizione alle pratiche terapeutiche e vaccinali. Al contrario quando lo stato generale di salute aumenta, anche grazie alle politiche di vaccinazione con la diminuzione dell’incidenza delle malattie contagiose, aumenta la percezione del rischio di eventi avversi e per una malattia rara o divenuta tale si giunge facilmente al rifiuto totale di ogni tipo di rischio. Si è quindi in presenza di una situazione paradossale: una malattia diventa (quasi) eradicata per effetto delle politiche di vaccinazione e al tempo stesso aumenta la percezione del rischio legata alla vaccinazione, sino al rifiuto.

Questa dinamica è presente anche nei casi di introduzione di nuovi vaccini, abbastanza numerosi negli ultimi anni, come quelli contro il papillomavirus, i pneumococchi e meningococchi, il rotavirus). Questi nuovi vaccini sono stati accolti con favore, anche se alcuni eventi negativi associati alla vaccinazione si sono verificati. Occorre sottolineare che l’introduzione di questi nuovi vaccini, anche grazie all’aumentata sensibilità dell’opinione pubblica, è stata accompagnata da una ricerca medica di punta, attraverso tutti gli strumenti di analisi epidemiologica, clinica, fisiopatologica e genetica per escludere tutti i rischi possibili dovuti all’utilizzo dei vaccini, comprendere la natura delle reazioni avverse alla vaccinazione.  Studiare in dettaglio le caratteristiche biologiche e personali in ogni caso negativo permette di ottenere conoscenze decisive sulle reazioni, di specificare le reazioni agli stimoli immunologici prodotti con la vaccinazione in modo da poter assicurare la sua sicurezza. Ed è questo il modo migliore per contrastare tutte le tendenze diffuse contro l’uso della vaccinazione. Gli strumenti di biologia molecolare e di indagine su materiale biologico, in particolare lo studio delle sequenze genomiche,  possono confermare o escludere la presenza di elementi genetici del vaccino nei casi delle malattie particolarmente gravi come l’autismo o l’encefalite. Se non si ritrovano i caratteri genetici dei vaccini nelle persone malate è possibile escludere un legame causale. Anche se come sempre in epidemiologia, l’assenza di prova non è una prova dell’assenza di un fenomeno causale, i risultati ottenuti dalle ricerche cliniche ed epidemiologiche dovrebbero richiamare alla prudenza quanti si fanno sostenitori fra il pubblico generale ma anche nella comunità medica, di atteggiamenti tendenti a negare l’importanza – che resta grande – delle politiche di vaccinazione.

Le autorità di sanità pubblica hanno cominciato a prendere in considerazione lo sviluppo di strategie di comunicazione per contenere la diffusione tramite Internet di informazioni acritiche e non generalizzabili sulla vaccinazione. Nella maggior parte dei casi, ciò che manca è la conoscenza dei dati relativi all’importanza delle coperture vaccinali, i dati epidemiologici relativi all’aumento di malattia infantile, in particolare il morbillo e la rosolia, nei casi in cui la copertura vaccinale scende al di sotto di una data soglia critica e, soprattutto, un’informazione trasparente sulla sicurezza delle pratiche vaccinali, tema al quale i genitori sono particolarmente sensibili.

Da questo punto di vista occorre riconoscere che, come era avvenuto per i movimenti anti-vaccinazione alla fine dell’Ottocento, la diffusione ampia di atteggiamenti negativi nei confronti dei vaccini ha prodotto effetti positivi,  in particolare con il richiamo costante alla sicurezza dei vaccini utilizzati, alla trasparenza delle relazioni con le case farmaceutiche che li producono, alla necessità di una sorveglianza continua degli eventi avversi e allo sviluppo di programmi di compensazione per i danni prodotti dalla vaccinazione.

Gli oppositori della vaccinazione, siano essi esperti o pubblico generale, in gran parte ritengono che i benefici della vaccinazione obbligatoria siano oscurati dai problemi etici associati a questa pratica sanitaria. Una serie di questioni etiche sono da sempre al centro delle controversie intorno alla vaccinazione, il primo elemento e il più incisivo è che la vaccinazione crea un rischio per una persona, in particolare un bambino, in buona salute. Esiste una differenza fondamentale, a livello psicologico e a livello etico, fra un atto medico che viene realizzato su una persona bisognosa di cure e quello che viene invece compiuto certo per proteggere il singolo individuo, ma anche la popolazione nel suo complesso.

Esiste quindi una tensione etica fondamentale fra diritti individuali e interesse collettivo. Di fronte a una minaccia grave per la salute di una popolazione si può imporre una pratica rischiosa per il singoli individui se questo aumenta in modo considerevole la protezione contro le malattie trasmissibili dell’intera popolazione. È per questo che le politiche di vaccinazione come l’insieme delle politiche igieniche sono sotto la responsabilità dello Stato. È solo il potere pubblico, creato sulla base di un “contratto sociale” (Rousseau) che può imporre pratiche vaccinali coerenti ed eticamente valide. In una situazione di diminuzione di grande proporzione dei rischi di epidemie gravi, l’equilibrio si sposta con decisione verso il rispetto dell’autonomia e della libera scelta degli individui. Molte delle associazioni anti-vaccini create negli ultimi decenni in vari Paesi europei criticano soprattutto l’obbligatorietà della vaccinazione, considerata una violazione della libertà morale, fisica e personale, e della libertà di coscienza. Il corpo umano è la proprietà sacra e inviolabile dell’individuo e di conseguenza nessuno può subire un trattamento preventivo o curativo senza il suo espresso consenso. Se nei Paesi poveri, la mancata vaccinazione è in genere associata alle difficoltà di accesso delle strutture sanitarie o al comportamento del personale sanitario, nei Paesi più sviluppati invece il tema più ricorrente è quello della libertà individuale, in particolare il diritto dei genitori a decidere loro stessi quali pratiche mediche utilizzare per il loro bambini.

Esiste tuttavia anche una valutazione relativa ai criteri di giustizia e di equa distribuzione. Chi non fa vaccinare i propri bambini, per non sottoporli ai rischi legati all’atto profilattico o per convinzione politica o religiosa, approfitta dell’immunità prodotta dalla vaccinazione degli altri bambini che invece hanno corso il rischio. Si può affermare, rispondendo a quanti affermano il valore assoluto della scelta individuale, che l’obbligatorietà della vaccinazione assicura una maggiore equità nella popolazione in quanto i rischi e benefici di questa pratica sanitaria sono equamente distribuiti fra tutti membri. Senza tale obbligatorietà, alcune persone ricevono i benefici indiretti della vaccinazione, grazie all’immunità dovuta alla copertura vaccinale senza i relativi rischi, per quanto piccoli essi siano.

Il fenomeno della crescita delle associazioni di pazienti e utilizzatori delle strutture sanitarie è molto positivo e di grande valore sociale. Si pensi in particolare alle associazioni dei malati e genitori che si sono create intorno a malattie rare o particolarmente difficili, che stanno svolgendo un ruolo prezioso di sensibilizzazione, di sostegno alle strutture sanitarie e alla ricerca, di aiuto reciproco fra i malati e le loro famiglia e hanno diffuso e reso necessaria una maggiore partecipazione alle decisioni cliniche e terapeutiche. Insieme alla condivisione di esperienze e prese di posizione, queste associazioni richiedono una maggiore partecipazione alla presa di decisioni e una responsabilità comunitaria sulle politiche sanitarie che tenga maggiormente conto della giustizia sociale e dell’efficacia degli interventi sanitari.

Si è così verificato lo spostamento graduale ma importante negli atteggiamenti nei confronti delle politiche di sanità pubblica e della pratica medica. L’atteggiamento paternalistico tipico dell’Ottocento e della prima parte del Novecento è stato sostituito da una maggiore insistenza sui diritti individuali, con un accento sulla partecipazione e sulla distribuzione delle responsabilità nelle prese di decisione.

Anche per quanto riguarda la vaccinazione, il concetto di “cittadinanza scientifica” propone una soluzione al dilemma tra obbligatorietà della vaccinazione e libertà di scelta. La diffusione di conoscenze scientificamente valide, la partecipazione democratica all’elaborazione delle grandi scelte di politica sanitaria, il richiamo alla responsabilità individuale ma al tempo stesso all’efficienza e all’efficacia dei sistemi sanitari sono la base per il superamento in positivo delle controversie sulla vaccinazione che stanno rischiando di mettere in pericolo una delle conquiste più fondamentali della sanità contemporanea.

 

Note

[1] L’espressione “eroici rimedi” era molto frequente nei testi medici e di igiene dei primi decenni dell’Ottocento, a indicare i mezzi terapeutici più potenti, ma anche più rischiosi, a disposizione della terapia e della prevenzione.

[2] Plotkin S. A., Fantini B. (eds.),  Vaccinia, Vaccination, vaccinology. Jenner, Pasteur and their successors, Pasteur-Mérieux, Amsterdam, Elsevier, Paris, 1996; Moulin A. M. (ed.)  L’ aventure de la vaccination, Fayard, Paris, 1996.

[3] Pasteur L., “Vaccination in relation to chicken-cholera and splenic fever (des virus-vaccins)”, In Transactions of the International Medical Congress, held in London, August 2nd to 9th, 1881, London, I, 85-90, versione francese in Oeuvres de Pasteur, vol. VI, p. 378.

[4] Centers for Disease Control and Prevention, “Impact of vaccines universally recommended for children”, in   Jama, 1999,  281, pp. 1482-1483; Ehreth J., “The global value of vaccination”, in  Vaccine, 2003,  21, pp. 596-600.

[5] Blume S., “Anti-vaccination movements and their interpretations”, in Social Science & Medicine, 2006,  62, pp. 628-642.

[6] Jenner E., The origin of the vaccine inoculation, D.N. Shury, London, 1801.

[7] Sacco L., Memoria sul vaccino, unico mezzo per estirpare radicalmente il vajuolo umano, G. G. De Stefanis, Milano 1805.

[8] Ad esempio i medici della scuola viennese Josef Škoda (1805 – 1881), specialista di semeiotica e Josef Dietl (1804-1878). Su questo si veda Wiesemann C., Josef Dietl und der therapeutische Nihilismus. Zum historischen und politischen Hintergrund einer medizinischen, Lang, Frankfurt a.M.-Bern-New York, 1991.

[9] Tisci C., Lo scudo contro il vaiolo. Antonio Miglietta e la profilassi nel Regno di Napoli (1801-1826), Edizioni Grifo, Bari, 2015.  “La vaccinazione antivaiolosa nel Regno di Napoli (1801-1809): il ruolo del clero”, in  Medicina & Storia, 2003,  3, pp. 89-117.

[10] Dujardin-Beaumetz G., Leçons de clinique thérapeutique professées à l’hôpital Saint-Antoine, Octave Doin, Paris, 1880-1884,  (recueillies par le docteur Eug. Carpentier-Méricourt et revues par l’auteur), Quatrième leçon, Traitement des fièvres eruptives, Tome III, p. 759.

[11] Bernouilli D. “Essai d”une nouvelle analyse de la mortalité causée par la petite vérole, et des avantages de l’inoculation pour la prévenir”, Histoire et Mémoires de l’Académie des Sciences de Paris, 1766, II 1-79, Paris.

[12] D”Alembert J., “Réflexions philosophiques et mathématiques sur l’application des probabilité à l’inoculation de la petite vérole”, In Mélanges de littérature, d”histoire et de philosophie, , 1767, pp 5-409, Chatelain, Amsterdam. Si veda Paty M., “D”Alembert et les probabilités”, In: Rashed R. (ed.), Sciences à l’èpoque de la Révolution française. Recherche historiques, 1998, 203-265, Blanchard, Paris.

[13] Jurin J., An account of the success of inoculating the smallpox in Great Britain. With a comparison between the miscarriages in that practice, and the mortality of the natural small-pox, J. Peele, London 1724-1727.

[14] Sull’evoluzione storica del concetto di rischio si veda Walter F., Fantini B., Delvaux P. (eds.), Les cultures du risque (XVIe-XXIe siècle), Travaux d”histoire suisse, Genève: Presse d”histoire suisse, 2006.

[15] Uno degli episodi più noti è costituito dalla inoculazione nel 1721 e 1722 della famiglia reale inglese, dopo che, ovviamente, i medici aveva provato l’innocuità e l’efficacia del procedimento su diversi condannati a morte, variolizzati e successivamente messi in contatto con malati di vaiolo, e su cinque neonati di un orfanotrofio. Silverstein . A. M. & Miller G., “ The royal experiment on immunity, 1721-1722 ”, Cellular Immunology, 1968, 61, 437-447.

[16] Baron J, The Life of Edward Jenner, Henry Colburn, London, 1838.

[17] Jenner E., The origin of the vaccine inoculation, D.N. Shury, London, 1801, p.2.

[18] Jenner E., An inquiry into the causes and effects of variolae vaccinae, Sampson Low, London, 1798.

[19] Il termine “vaccinazione” non fu introdotto da Jenner, ma dal suo amico Richard Dunning nel 1800: Dunning R., Some Observations on Vaccination, L. Congdon, London. 1800. Si veda su questo punto Baxby D., “Edward Jenner”s Inquiry; a bicentenary analysis”, Vaccine, 1999, 17: 301-307.

[20] King-Hele D. (ed.), The Collected Letters of Erasmus Darwin, Cambridge University Press, Cambridge, 2007.

[21] Una dimostrazione eclatante e drammatica della necessità della rivaccinazione si ebbe nella guerre franco-prussiana del 1870-1871, dato che nell’esercito  tedesco, in cui si applicava sistematicamente la rivaccinazione il numero delle vittime a causa del vaiolo erano state circa 500 mentre almeno 23.000 soldati francesi, non rivaccinati, morirono a causa di una grave epidemia.

[22] Burnet E., La lutte contre les microbes, Armand Colin, Paris, 1991, p. vii.

[23] Baxby D., Jenner”s smallpox vaccine. The riddle of vaccinia virus and its origin, Heinemann Educational Press, London 1981.

[24] Downie Allan W., “The Immunological Relationship of the Virus of Spontaneous Cowpox to Vaccinia Virus”, British Journal of Experimental Pathology, 1939, 20: 158-176.

[25] Carroll  D. S. , Emerson G. L., Li Yu, Sammons S., “Chasing Jenner”s Vaccine: Revisiting Cowpox Virus Classification”, PLoS ONE, 2011, 6: e23086.

[26] Li Guiyun, Chen Nanhai, Feng Zehua, Mark R, Buller L, et al., 2006, “Genomic sequence and analysis of a vaccinia virus isolate from a patient with a smallpox vaccine-related complication”, Virology Journal, 3: 88.

[27] Qin Li, Favis N., Famulski J., Evans D. H., “The evolution and evolutionary relationships between extant vaccinia virus strains”, Journal of Virology, 2015, 89: 31-44.

[28] Kaufman, M., “The American anti-vaccinationists and their arguments”, Bulletin of the History of Medicine, 1967,  41, pp. 463-478.

[29] Thomas, E. G., “The old poor law and medicine”, Medical History , 1980,  24, pp. 1-19.

[30] Editorial, “The future of legislation on vaccination”, British Medical Journal , 1986, 2, pp. 1396-1397.

[31] Weber, T., “Alfred Russell Wallace and the Antivaccination Movement in Victorian England”, Emerging Infectious Diseases , 2010, 16, pp. 664-668.

[32] Questa definizione è un adattamento del concetto di ”illusione epistemologica” introdotto Paul Feyerabend in Feyerabend P., Against Method. Outline of an Anarchist Theory of Knowledge, New Left Books, New York, 1975,  (revised edition, with an introduction by Ian Hacking, Verso Books, New York, 2010. Traduzione italiana della prima edizione, con una prefazione di Giulio Giorello, Milano, Feltrinelli, 1979.). A sua volta, questo concetto è debitore a quello di “ostacolo epistemologico”, proposto da Gaston Bachelard nel 1938 in La formation de l’esprit scientifique, Librairie Philosophique Vrin, Paris, 1999.

[33] Burnet F. M., “The future of medical research”, Lancet , 1953, 1, pp. 103-108.

[34] La tubercolosi sino alla seconda guerra mondiale era considerata il più importante flagello sociale in Europa, tanto da spingere a costruire negli anni Trenta del XX secolo dei grandi sanatori in montagna, divenuti successivamente, dopo l’introduzione degli antibiotici, inutili e inutilizzabili, delle vere e proprie “cattedrali nel deserto”. Sulla storia della tubercolosi si veda Dubos R. J., The white plague. Tubercolosis, man, and society, Rutgers  University Press, New Brunswick, 1987; Tognotti E., Il morbo lento. La tisi nell’Italia dell’Ottocento, Franco Angeli, Milano, 2012.

[35] Fenner F., Henderson D. A., Arita I., Jezek Z., Ladny I. D., Smallpox and its eradication, OMS, Geneva, 1988; Hopkins D. R., The Greatest Killer: Smallpox in History, The University of Chicago Press, Chicago, 2002; Tognotti E., “The eradication of smallpox, a success story for modern medicine and public health: What lessons for the future ?”, Journal of Infection in Developing Countries , 2010,  pp. 264-266.

[36] Howie J. W., “ Infectious disease, does it still matter?”, in  Public Health, 1968, 82, pp. 253-260.

[37] Armocida G, Frigo A, Musumeci G (a cura di), Giovanni Battista Monteggia (Laveno 1762 – Milano 1815) e la chirurgia milanese del suo tempo, Mesenzana (Varese): Edizioni Marwan, 2014.

[38] Payne, A. M., “Poliomyelits as a world problem”, in Poliomyelitis. Papers and Discussions presented at the Third International Poliomyelitis Conference, Philadelphia, Lippincott, pp. 391-400, 1955.

[39] Crovari, P., “History of polio vaccination in Italy”. Italian Journal of Public Health. 2010, 7:

322-324.

[40] Giovanardi, A. et al., “Vaccinazione di adulti e bambini con il virus poliomielitico, vivente

ed attenuato secondo il metodo Sabin”. Minerva Medica, 1959, 50: 3847-3851.

[41] Giovanardi A., “Effect of Sabin Poliovirus Vaccine on Incidence of Poliomyelitis in Italy”, Jama, 1969, 209.

[42] Wolfe, R. M., Sharp, L. K., “Anti-vaccinationists past and present”,  British Medical Journal, 2002, 525, pp. 430-432.

[43] Spier, R. E., “Perception of risk of vaccine adverse events: a historical perspective”, Vaccine, 20, pp. S78-84, 2002; Bonhoeffer, J., Heininger, U., “Adverse events following immunization: perception and evidence”, Current Opinions in Infectious Diseases , 2007, 20, pp. 237-246.

[44] Rothman, K. J., Greenland, S., “Causation and causal inference in epidemiology,” in  American Journal of Public Health, 2005, 95, pp. S144-S150.

[45] Spier, R. E., “Perception of risk of vaccine adverse events: a historical perspective”, Vaccine , 2002, 20, pp. S78-84.