Volterra, Peano e i gatti che cadono

Quelli di Volterra e Peano non sono nomi qualsiasi nel mondo matematico. Non lo erano neppure, nomi qualsiasi, negli ultimi anni dell’Ottocento, quando tra loro scoppia una polemica che definire vivace è dir poco.


Vito Volterra – era nato ad Ancona nel 1860 – si era trasferito all’Università di Torino nel 1893. Veniva da Pisa, dalla “Normale” dove si era laureato nell’82 con Enrico Betti. L’anno dopo era già in cattedra, avendo vinto il concorso di Meccanica razionale, e adesso con il trasferimento nel capoluogo piemontese cercava un’università dove sviluppare i suoi progetti senza più essere considerato il “giovane Volterra”, in qualche modo soggetto all’autorità dei suoi ex-professori. Cominciava a essere noto e apprezzato anche a livello internazionale.

Nell’81 – ancora studente della “Normale” – aveva pubblicato due Note, tuttora citate nelle storie del calcolo integrale, che apportavano un contributo significativo alla formulazione matematica del concetto di insieme “piccolo” e dimostravano poi che, senza ulteriori ipotesi, non si poteva sostenere che integrazione (nel senso di Riemann) e derivazione fossero l’una l’operazione inversa dell’altra. Nel 1887 – a soli 27 anni! – aveva fondato l’Analisi funzionale, introducendo in modo chiaro il concetto di funzionale e costruendo per questa generalizzazione del concetto di funzione un calcolo differenziale (fino alla formula di Taylor) simile a quello ordinario. Nel ’92, ancora, era stata pubblicata sui prestigiosi Acta Mathematica una sua Memoria di carattere fisico-matematico in cui erano analizzate le leggi della propagazione della luce nei mezzi birifrangenti, con la loro proprietà di scindere il raggio incidente in due raggi polarizzati che vibrano in piani perpendicolari tra loro (scovando anche un errore nel quale era incappata Sonia Kowalewskaja).

Giuseppe Peano era nato due anni prima di Volterra, nel 1858, ma accademicamente era più giovane. Aveva vinto il concorso a cattedra “solo” nel ’90, con una commissione di cui – ironia della sorte – faceva parte proprio Volterra. Ugualmente, quando scoppia la polemica, aveva alle spalle risultati che sono ancora oggi ricordati nei manuali di Analisi. Aveva riformulato la definizione di integrale definito di Riemann attraverso i concetti di estremo superiore e inferiore di un insieme di numeri reali e soprattutto, in merito alla sua estensione a funzioni di due variabili, aveva definito la misura di una regione del piano. Aveva dato una nuova formula per il resto dello sviluppo di Taylor. È della seconda metà degli anni Ottanta il suo teorema di esistenza per le equazioni differenziali del primo ordine, dimostrato con una sola ipotesi di continuità e seguito dall’esposizione di un metodo di integrazione per approssimazioni successive. È dal ’90 la cosiddetta “curva di Peano” che rimane una delle conclusioni più “sconvolgenti” e meno intuitive a cui il rigore deduttivo ha portato nella teoria degli insiemi, svolgendo un ruolo importante nella storia del concetto di dimensione.

Una controversia scientifica tra due personaggi di questo livello è destinata inevitabilmente a fare rumore anche perché, al di là delle questioni di priorità, solleva un interessante confronto su due diversi modi di declinare nell’indagine scientifica rigore e fantasia, serietà e creatività. Ma procediamo con ordine e ripercorriamo le principali tappe della polemica.

Siamo all’inizio del 1895 quando Volterra avvia la pubblicazione di alcune Note e Memorie – saranno complessivamente 13, tutte redatte nel ’95! – con le quali si prefigge di riprendere la questione della permanenza del movimento di rotazione terrestre: se e in che misura tale movimento può essere modificato da fenomeni metereologici e geologici quali terremoti, esplosioni vulcaniche, glaciazioni, sedimentazioni secolari, eccetera. Era una questione che vantava già contributi autorevoli, quali quelli di Laplace e Poisson, che avevano però trascurato a giudizio di Volterra la considerazione di quei moti ciclici che sono presenti sulla superficie della Terra e al suo interno senza per questo modificare in modo sensibile la forma della superficie e su di essa la distribuzione delle masse.

Nulla sembra escludere che tali moti (che avvengono sotto l’azione di forze interne e non alterano gli assi di inerzia della Terra né i suoi movimenti principali d’inerzia) possano esercitare una sensibile influenza sulla posizione dei poli. Volterra pensa in particolare alle correnti marine, a quelle atmosferiche e ancora ai movimenti continui delle acque dei fiumi verso il mare con la loro evaporazione e condensazione sulle montagne.

La sua prima Memoria sull’argomento, “Sulla teoria dei movimenti del polo terrestre”, viene pubblicata sulla rivista Astronomische Nachrichten su indicazione di Giovanni Schiaparelli e porta la data del 1° febbraio. Il problema è dapprima presentato in termini generali considerando un corpo qualsiasi al cui interno o sulla cui superficie avviene, causato da forze interne, un moto stazionario di una sua parte, che però non ne altera la forma e la distribuzione di densità. I calcoli vengono quindi riferiti in particolare a un corpo omogeneo che ruota attorno al proprio baricentro e al cui interno una parte ruota uniformemente attorno ad un suo asse, in modo che tutto il resto del corpo conserva la propria rigidità e né il baricentro né gli assi d’inerzia né i momenti principali d’inerzia risultano modificati.

Nell’ipotesi che il modello sia caratterizzato dall’assenza di forze esterne, Volterra perviene a un sistema di tre equazioni differenziali riferite poi al caso specifico dei moti della terra e integrate per approssimazioni successive.
Propone il problema, ora accompagnato dalla sua risoluzione analitica, anche all’Accademia delle Scienze di Torino presentando nel mese di marzo cinque Note sull’argomento. Sono scritti che invia pure ad alcuni colleghi, quali lo stesso Schiaparelli e Valentino Cerruti, per far conoscere le sue ricerche e ricevere eventualmente consigli e osservazioni. È proprio rispondendo a Cerruti, che aveva avanzato alcune perplessità sulla novità del procedimento analitico seguito, che Volterra fa un primo riferimento nella lettera dell’8 maggio alla polemica con Peano: “In questi giorni ebbi l’animo assai amareggiato da parte del collega Peano. Questo senza avvertirmi in nessun modo ha presentato all’Accademia una Nota nella quale ripete gli stessi calcoli e le stesse considerazioni da me fatte per i moti del polo, riportando la cosa quasi come nuova e dicendo alcune frasi ugualmente finte che non mi è possibile di accogliere benevolmente. Inoltre egli ha tentato l’applicazione numerica partendo dall’esame della corrente del Golfo sul moto del polo. Ritengo che quest’ultimo calcolo sia condotto in maniera inesatta, senza contare che i dati da cui parte non sono attendibili e i risultati in nulla conformi alla realtà”.

Nei mesi di maggio e giugno, Volterra presenta all’Accademia delle Scienze di Torino altre tre Note con gli sviluppi della ricerca e gli approfondimenti sollecitati da alcuni corrispondenti ma motivate anche dalla necessità di rafforzare la propria presenza e immagine in un ambiente in cui Peano era intervenuto più volte. Dopo l’estate, la strategia cambia e le rimanenti Note appaiono negli Annali di Matematica e nei Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Volterra avverte che il confronto con Peano è ormai inevitabile e cerca maggiore diffusione e ulteriori consensi alla sua impostazione; alcuni accenni presenti nella corrispondenza permettono di aggiungere, quale ulteriore motivazione di questo suo “disimpegno” da Torino, un certo disagio e insoddisfazione che egli prova di fronte alle reazioni suscitate all’interno dell’Accademia dai primi sviluppi della polemica.

È allora giunto il momento di dare la parola a Peano. Le date – ecco perché le abbiamo finora riportate con una certa precisione – sono importanti perché le questioni di priorità costituiranno, come quasi sempre accade, uno dei motivi più ricorrenti nella polemica; a Volterra che osserva come la sua prima memoria sull’argomento porti la data del 1° febbraio, Peano replicherà ricordando “Il principio delle aree e la storia di un gatto” apparsa nel gennaio ’95 nella sua “Rivista di Matematica”.

In realtà, in questo articolo, Peano si limita a riferire della discussione avvenuta all’Accademia delle Scienze di Parigi sui motivi per i quali un gatto, comunque abbandonato, cade sempre sulle zampe; la questione era stata ripresa in seguito ad una serie di fotografie che documentavano in tal senso la dinamica di caduta. Il primo intervento di Peano consiste dunque in quello che oggi verrebbe chiamato un articolo di divulgazione scientifica, di buon livello e indubbiamente brillante nello stile. In esso Peano avanza anche una sua spiegazione dei fatti: “questo animale abbandonato a sé, descrive colla sua coda un cerchio nel piano perpendicolare all’asse del suo corpo. In conseguenza, pel principio delle aree, il resto del suo corpo deve ruotare in senso opposto al moto della coda; e quando ha rotato della quantità voluta, egli ferma la sua coda e con ciò arresta contemporaneamente il moto suo rotatorio, salvando in tal guisa sé ed il principio delle aree”. Non compare invece alcun riferimento ai problemi connessi con la rotazione della Terra. Dell’analogia tra i due fenomeni, basata sul fatto che in entrambe le circostanze movimenti ciclici interni possono modificare l’orientamento complessivo del corpo, Peano parla invece con i colleghi ed è proprio la freddezza con cui la sua congettura viene accolta – è il caso certamente di Volterra – che lo motiva ad affrontare esplicitamente la questione. Sotto l’aspetto meccanico la questione è identica. “Ma spetta al prof. Volterra il merito d’averla pel primo proposta. Egli ne fece l’oggetto di alcune Note presentate a quest’Accademia, e delle quali la 1° è in data del 3 febbraio scorso (…). Oggetto di questa nota si è di esporre come si possa fare il calcolo degli spostamenti prodotti sulla terra dal moto relativo di sue parti, e di farne una applicazione numerica. Il calcolo si fa senza quadrature, applicando il solo principio delle aree” scrive Peano nell’introduzione al suo secondo articolo presentato all’Accademia delle Scienze di Torino il 9 maggio. L’effettiva possibilità dello spostamento delle terre polari viene constatata considerando quale moto interno quello della corrente del Golfo (anche se Peano avverte che i risultati numerici trovati valgono solo come indici dell’ordine di grandezza delle quantità coinvolte, in quanto i dati a disposizione non permettono una precisione maggiore).

Il discorso viene infine ripreso in una terza Nota, presentata sempre all’Accademia torinese il 23 giugno, con l’obiettivo di introdurre tutti gli strumenti matematici necessari per individuare la posizione del polo dopo un certo intervallo di tempo. I calcoli per ottenere l’equazione fondamentale non sono né difficili né pesanti e questo, secondo Peano, è un merito non da poco del calcolo geometrico al quale ricorre. La “leggerezza” dell’elaborazione analitica continua anche nella fase successiva quando, dall’equazione fondamentale, occorrerebbe ricavare tutte le conseguenze atte a individuare la posizione del polo. Se si pensa al numero di pagine e alle quantità di calcoli dedicate invece da Volterra alla risoluzione delle stesse questioni, si comprende – già solo da questo aspetto – come il contrasto metodologico non possa essere più evidente.

E il contrasto assume subito toni molto decisi, neppure attenuati dalle consuete frasi di circostanza. Per Volterra, Peano si è appropriato del suo lavoro limitandosi a rivestirlo con il linguaggio dei vettori: il suo primo intervento è una “semplice e modesta recensione di lavori altrui” (lettera a Eugenio Beltrami del 2 gennaio ’96), mentre il secondo “sia pel linguaggio, sia per le conclusioni (…) è uno strano insieme di idee confuse e risultati assurdi” (lettera a Luigi Bianchi del 18 maggio ’95). Il verbale riservato dell’Accademia documenta l’immediata opposizione di Volterra alla presentazione da parte di Peano di questa seconda Nota. Nel verbale leggiamo: “Il socio Peano presenta e legge una sua Nota: “Sullo spostamento del polo terrestre” nella quale si applicano delle formole generali a stabilire l’ordine di grandezza dello spostamento prodotto dalla corrente del Gulfstream. Il socio Volterra osserva che i calcoli numerici del socio Peano partono dalle idee che egli ha già esposto nelle sue varie note, ma sono fondati sopra dati numerici poco attendibili. In quelle note ed in una memoria inviata già da lungo tempo alle Astronomische Nachrichten egli aveva svolta la questione”.

Il tono del verbale è ancora misurato ed è facile immaginare come ogni espressione sia stata scelta con cura in modo da non creare ulteriori tensioni. Si ha un’idea molto più diretta della gravità con cui l’intera vicenda viene vissuta leggendo gli appunti inediti di Volterra. Pur preparati ad uno stile meno asettico – si tratta di materiale preparatorio a successivi interventi pubblici – si rimane ugualmente colpiti dallo stato d’animo di Volterra e dalla drasticità dei suoi giudizi:

“che la nota del professor Peano non abbia scopo scientifico resulta chiaramente da ciò: che egli non fa che un’inutile ripetizione di studi e di ricerche che io ho già pubblicato, né un’applicazione numerica che egli tenta ed eseguisce con una strana precipitazione fondandosi su dati inattendibili può giustificare la sua nota. Anzi a questo proposito tengo a porre in guardia il pubblico che se i suoi risultati potranno anche apparire assurdi, ciò non infirma le idee teoriche da me esposte e da cui egli è partito. Il professor Peano afferma che l’idea da cui io mi sono mosso è così semplice da presentarsi alla mente di tutti. Non discuterò su tale critica fanciullesca, solo osserverò che del valore di un’idea deve giudicarsi solo dalla importanza delle applicazioni, non già dalla minore o maggiore sua semplicità.(…)Leggendo la memoria del Peano sembra in qualche modo che io abbia posto la questione ed egli l’abbia risolta. Ciò è una menzogna, perché egli non fa che ripetere inutilmente i calcoli che ho già fatto io e questo nell’applicazione numerica che egli dà non ha alcun significato anche perché parte da dati non attendibili come ho già avuto occasione di parlare con lo Schiaparelli. (…) Era suo dovere quello di avvertirmi: è una cosa che ogni persona educata suole fare. (…) Ciò che è assolutamente falso è ciò che dice il Peano che una volta posta la idea la questione può dirsi risolta. Infatti: 1) Dal punto di vista di porre in equazione il problema la cosa non è tanto semplice ma occorrono vari calcoli, come egli deve fare copiando i miei risultati. 2) Dal punto di vista di sviluppare la soluzione analitica del problema la via è molto difficile. (…) Sono rimasto molto dispiaciuto di quanto è avvenuto ieri. Il Prof. Peano ha fatto proprio una cattiva azione. (…) Nella sua fretta di denigrare l’opera altrui il Prof. Peano ha mostrato la completa mancanza di preparazione. (…) Il Prof. Peano si permette di fare la storia del modo come io sono pervenuto a svolgere ed applicare l’idea di moti ciclici. Le sue asserzioni a questo riguardo sono perfettamente gratuite, dirò di più sono del tutto false come sempre avviene a chi con incredibile leggerezza e non basandosi sopra alcun dato vuol leggere nel pensiero altrui. (…) Non è mia abitudine di entrare in polemica e tanto meno di usare un linguaggio, quale oggi mi occorre di usare, ma la condotta abituale del Prof. Peano me lo permette, quanto mi esenta dall’obbligo di quei riguardi cui mai si attenne costui. (…) l’assurdo risultato che il polo terrestre si sposta verso lo Spitzberg di alcuni metri all’anno! Chiunque sarebbe rimasto colpito da un così ridicolo e assurdo risultato, non però il prof. Peano il quale colla petulanza di chi non ha conoscenza di una questione, ha creduto di averla risolta, mentre non ha fatto altra cosa che quella di non comprenderla. (…) Di qui la luminosa idea che due problemi in cui si applica il principio delle arre sono sicuramente la stessa cosa. Chiunque abbia la più lontana pratica dei problemi di meccanica comprenderà facilmente quanto sia assurda questa idea! (…) l’assoluta mancanza del professor Peano di ogni cultura riguardo al problema è evidente nel fatto che gli sono sconosciuti i lavori più importanti della meccanica di Eulero, Lagrange, Jacobi, Hermite, ecc.; o crede egli con un tratto della sua penna di cancellare le opere loro? (…) Non è piacevole cosa seguire il Prof.Peano nelle sue elucubrazioni e nella sua via, dirò così tanto animalesca. (…) Non è certo coltivando il campo della cosiddetta logica per cui sono superflui o l’impegno o la cultura che ci si può preparare allo studio dei problemi della natura”.

La critica di Volterra è talmente incalzante che costringe Peano a ritirare una successiva nota presentata sempre all’Accademia delle Scienze di Torino nella seduta del 19 maggio. Nel carteggio Volterra c’è il telegramma di Peano del 27 maggio che gli comunica “Riconosciuto errore mio”, liberandolo – sono parole di Volterra – “dall’obbligo molto increscioso di rispondergli per le stampe”.Volterra non riesce invece a eludere tale obbligo per il terzo intervento di Peano che, a suo avviso, riproduce quasi totalmente i contenuti della Nota ritirata del 19 maggio. È vero che in questa Memoria non compare nessuna allusione polemica nei confronti di Volterra ma – ancor peggio – il suo nome non viene neppure citato nell’introduzione in cui si fa una breve storia degli ultimi studi sui moti del polo. Sempre nell’introduzione Peano puntualizza che “per decidere siffatta questione occorre fare completi calcoli, nulla trascurando;” Volterra lo interpreta come un attacco personale e una provocazione che lo presenta come matematico che esegue tutti i passaggi fino alla soluzione finale quando questi sono poco significativi mentre, d’altra parte, trascura elementi di calcolo importanti.

Lo sviluppo della polemica permette di individuare i punti – alcuni dei quali già toccati nella precedente ricostruzione – che assegnano a tutta la vicenda uno spessore che va al di là della cronaca scientifica. La controversia Peano-Volterra si rivela tessera quanto mai utile per seguire alcune delle principali dinamiche in atto nella matematica (italiana e non) di fine secolo.

La diatriba, che vede contrapposte le date di pubblicazione della prima Nota di Volterra e di quella “sul gatto” da parte di Peano, ha in sé scarso interesse; ne acquista invece se si valuta l’atteggiamento di Peano al di là del fatto contingente. La sua difesa ribadisce l’importanza data al momento logico-strutturale; per Peano l’elemento decisivo non è la soluzione, in tutti i suoi dettagli, del problema quanto la comprensione della sua struttura che permette di associarlo ad altri, apparentemente diversi, deducendone la dinamica da modelli già analizzati. Volterra non crede invece a questo programma o, perlomeno, non ritiene che esso venga realizzato da Peano: “Non è corretto trovare, come dice il Peano, identità fra due problemi di meccanica essenzialmente diversi, e trattarli, con metodi diversi per la sola ragione che è comune ad ambedue l’impiego di principi fondamentali di questa scienza; se ciò potesse pensarsi, si potrebbe sempre ricondurre due problemi meccanici qualunque ad un solo, perché ambedue debbono necessariamente farsi dipendere dagli stessi principi”.

Peano contro-attacca rilanciando l’importanza del calcolo geometrico che permette di procedere con calcoli semplici e di abbracciare nello stesso tempo una generalità maggiore. Riesce anche a scalfire, in un certo momento della polemica, le granitiche certezze di Volterra (quando registra una leggera modifica nei suoi orientamenti, dovuta alle osservazioni di Schiaparelli) ma in ogni modo questi ha dalla sua il riferimento alla grande tradizione fisico-matematica. Così risponde a Peano il 2 giugno ’95: “Ricevo oggi la sua lettera del 30 maggio. Il procedimento di integrazione che ho tenuto non importa tre costanti arbitrarie, come Ella dice. La derivazione delle equazioni esprimenti il principio delle aree, le quali includono tre costanti arbitrarie, per la scelta speciale degli assi x,y,z è necessaria per stabilire le equazioni della rotazione, ossia per eliminare dalle equazioni i nove coseni. Del resto il procedimento d’integrazione è quello seguito per ogni problema di rotazione da Eulero fino ai nostri giorni; Ella può consultare qualsiasi libro di Meccanica”.

Volterra non prova alcun interesse verso il calcolo geometrico e rimane estremamente diffidente nei confronti delle nuove strade che Peano cerca di percorrere: “Dio ci liberi dai suoi simboli, se questi sono i risultati a cui possono condurre”. Così gli scrive Carlo Somigliana in una lettera del 6 aprile ’96, proprio riferendosi a Peano e alla sua ricerca avviata con la “caduta del gatto”. Sono parole che Volterra sicuramente condivideva.

 

*Tratto dalla rivista Scienza & Società n. 25/26 – “Il volo della ragione”