Avocado. Deforestazione, riserve idriche e anidride carbonica

Superfood. Super-nutrizionali, super-fashion, super-bio. Ma faranno davvero bene all’ambiente o, al contrario, le mode ci stanno allontanando da un’alimentazione sostenibile? Questa volta al banco degli imputati siede l’avocado, il frutto dall’aroma esotico e il colore brillante che porta in Europa un tocco di Sud-America.

Navigando nel web, le informazioni appaiono confuse:  riesce a rallentare l’invecchiamento cellulare, contrasta i depositi di colesterolo, aiuta il cuore, previene il morbo di Alzheimer, favorisce la ripresa dalla depressione, ha poteri antinfiammatori e risulta ottimo per trattare i capelli molto secchi. Tutte queste proprietà concentrate in 200-300g. Apparentemente, il frutto perfetto.

Produzione e ambiente. L’avocado, che si adatta a climi tropicali o sub-tropicali, viene coltivato soprattutto in Messico, nella Repubblica Dominicana, in Colombia, Perù, Indonesia, Kenya e California (90% della produzione US), ma è proprio nella fase di produzione che emergono i punti deboli dei super-food. L’allarme arriva principalmente dal Messico, dove l’appetito internazionale senza precedenti per questo specifico frutto sta indirettamente alimentando degrado ambientale e deforestazione illegale. Secondo un rapporto pubblicato nel 2012 dal “Mexico’s National Institute for Forestry, Farming and Fisheries Research”, tra il 2001 e il 2010, la produzione di avocado in Michoacán (lo Stato che produce la maggior parte dell’avocado del Paese) è triplicata, mentre le esportazioni sono aumentate di dieci volte; il rapporto suggerisce, inoltre, che l’espansione abbia causato la perdita di terreni forestali per circa 690 ettari/anno tra il 2000 e il 2010.

Lo scenario agricolo messicano è lo stesso che ritroviamo, ad esempio, in Perù con la quinoa e in Indonesia per l’olio di palma, dove la domanda sempre crescente del mercato occidentale ha modificato le tradizioni agricole locali.  I contadini sud-americani, che oggi possono trarre profitti molto elevati dalla produzione di avocado, non si preoccupano dell’impatto ambientale sulla biodiversità di domani e disboscano ampi territori per piantare giovani alberi di monocolture, spesso ignorando le leggi vigenti. Per rientrare nei costi di produzione, inoltre, vengono spesso utilizzati prodotti chimici e fertilizzanti di scarsa qualità, che provocano l’inquinamento del prodotto, del suolo, dell’aria e delle riserve d’acqua.

Acqua. La vegetazione spontanea non ha bisogno di essere trattata con fertilizzanti e pesticidi, e agisce come un vasto serbatoio di acqua e carbonio; al contrario le piantagioni intensive di avocado richiedono ripetuti cicli di input chimici e una quantità di acqua di irrigazione maggiore rispetto ad altre colture, mettendo sotto pressione le riserve idriche locali. Si calcola che la produzione di 500g di avocado, 2-3 frutti di medie dimensioni, richieda circa 272 litri di acqua (a paragone, la lattuga ne utilizza solo 20 litri circa).

Impatto sociale. Alle problematiche agricolo-ambientali si affianca l’impatto sociale di queste super-colture intensive. Una pianta, raggiunta la maturità dopo circa 7 anni, produce circa 100 avocado/anno, un rendimento piuttosto basso, che gli agricoltori messicani riescono comunque a sfruttare grazie ai tassi stagionali che fanno oscillare il prezzo del frutto da circa 0,86$ nel mese di gennaio, a circa 1,10$ nel mese di luglio. E’ possibile, tuttavia, che parte del ricavato proveniente dal mercato di questi frutti non rientri nelle tasche dei coltivatori messicani. Questo commercio sempre più redditizio è controllato da un cartello della droga, conosciuto con il nome di  Caballeros Templarios, che estorce ai contadini e ai proprietari terrieri una percentuale del loro profitto e applica tasse sui frutti venduti e sui terreni coltivati. Quando si acquista un avocado messicano, una quota potrebbe quindi rientrare nel mercato criminale.

Trasporto e CO2. Non dimentichiamo che, oltre alle risorse impiegate per la produzione, una volta raccolto, il frutto, per arrivare dal Messico alle tavole europee, deve affrontare un lungo viaggio su mezzi che consumano petrolio ed emettono gas a effetto serra. E’ stato calcolato che 1 kg di avocado messicano per raggiungere le tavole italiane deve percorrere quasi 10.200 km con un consumo medio di 5,80 kg di petrolio e l’emissione di 18,5 kg di anidride carbonica.

Ancora Superfood? Campi di lavoro a basso reddito, coltivatori che lavorano senza sosta in un ambiente devastato tra corsi d’acqua inquinati, commerci che nascondono spesso traffici illegali, deforestazione, sfruttamento frenetico delle acque e del suolo, inquinamento e cambiamenti climatici: il nocciolo della questione è che sappiamo molto poco sulle condizioni di lavoro delle persone senza volto che, in luoghi lontani, coltivano il cibo per le nostre tavole, e conosciamo ancora meno l’impatto che questi super-alimenti hanno sull’ambiente. Questa riflessione non deve portarci a boicottare a priori le importazioni di cibo che non può essere consumato a km zero, ma dovrebbe aiutarci a riflettere in modo consapevole e critico sui cibi-feticcio, che anni fa erano rappresentati dagli hamburger delle grandi catene d’oltreoceano, e che ora, spesso mascherati da alimenti sani dalle mille proprietà nutrizionali, ci fanno dimenticare il concetto di sostenibilità ambientale.