La Costituzione e l’ecologia

La Scienza dell’Ecologia – 3° incontro
Per i 90 anni di Giorgio Nebbia: ecologia e Costituzione

La Costituzione e l’ecologia
Comunicazione di Valerio Calzolaio

 

  1. Nell’ultimo trentennio (circa da quando Giorgio Nebbia divenne deputato la prima volta) sono stati modificati 35 articoli della Costituzione italiana, più o meno un quarto del totale. Nello stesso periodo tre commissioni bicamerali sorte per cambiare tutta o quasi l’intera Costituzione non hanno portato nessun risultato di modifica e due volte i testi di riforma di intere parti della Costituzione sponsorizzati e fatti votare dai governi in carica sono stati bocciati dalla grande maggioranza degli elettori nel referendum “confermativo” (Berlusconi nel 2006 e Renzi 2016, in questo secondo caso con un’altissima percentuale di votanti). Ormai tutti dovrebbero aver compreso che è preferibile, se del caso, aggiornare singoli articoli piuttosto che avere la presunzione di cambiare tutto insieme sguaiatamente. E questo è anche il senso letterale e sostanziale dell’attuale articolo 138 della Costituzione.
    Come sapete, è il rispetto sostanziale della Costituzione che finora è stata attaccato e rimesso in discussione: per il conflitto d’interessi, per la proprietà degli organi di informazione, per le modifiche introdotte con legge ordinaria (ad esempio sull’immunità per le più alte cariche dello Stato), per il disprezzo contro l’indipendenza della Magistratura e le continue invasioni di campo rispetto alla separazione dei poteri, per una “gestione” del maggioritario irrispettosa delle garanzie democratiche, per lo “sbrego” della commistione elezione presidenziale-formazione di una maggioranza (diversa da quella presentata agli elettori) all’inizio di questa legislatura. Noi “sinistra italiana” dovremmo restare ancor più convinti che l’attuazione della Costituzione italiana sia stato e sia un pezzo del programma politico e non solo il contesto del confronto fra programmi politici diversi. La Costituzione italiana, la sua attuazione o il suo stravolgimento, la sua modifica faziosa o il suo aggiornamento unitario, non dovrebbe più essere occasioni di aspro conflitto politico-istituzionale. Quando si maneggia un oggetto prezioso, una norma fondamentale, se non ci sono condivise istruzioni per l’uso, è ancor più necessario adottare principi di cautela e di prevenzione.
  1. La materia ambientale è un buon esempio della grande utilità dei principi di cautela e di prevenzione quando si parla di riforme costituzionali. Il termine “ambiente” è assente dalla Costituzione entrata in vigore oltre 59 anni fa. Oggi è unanime, tuttavia, il riconoscimento che l’ambiente costituisce nel nostro ordinamento un “valore costituzionale”. Varie successive sentenze della Corte Costituzionale (omogenee nella qualificazione dell’ambiente come valore costituzionale, non sempre su tutto il resto), attraverso il combinato disposto di vari articoli (2, 3, 9, 32, 41, 42), hanno riconosciuto il bene ambientale come valore primario, assoluto e unitario, non suscettibile di essere subordinato ad altri interessi, un bene fondamentale garantito e protetto, da salvaguardare nella sua interezza.
    Da circa tre decenni, la forma continua a non esserci, c’è la sostanza; con pratiche conseguenze non solo per la costituzione materiale ma anche per la tutela quotidiana dell’ambiente. La giurisprudenza diffusa ha trovato spesso la strada per garantire il diritto dell’individuo all’ambiente salubre e per affermare il dovere connesso dello Stato alla tutela del patrimonio ambientale.
    Da una quindicina d’anni è entrata in Costituzione anche la parola “ambiente”. Nel titolo quinto della parte seconda, riorganizzando la ripartizione di competenze fra stato e regioni, si assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”. Sottolineo l’importanza del secondo termine: quale è la differenza precisa scientifica e giuridica fra “ambiente” ed ecosistema? Ambiente non può certo essere qualcosa che prescinde dalla presenza umana (e nemmeno la stessa “natura”) e viene ormai spesso utilizzato come sinonimo di contesto. La nozione cruciale è quella di ecosistema, l’insieme dei fattori biotici e abiotici, riferito sia all’intero pianeta che a singoli specifici “ecosistemi” (o quelle nozioni che caratterizzano territori in base a determinati parametri fisico-biologici, come i “biomi” per il clima). Va comunque evidenziata la parzialità di una formula collocata solo nella ripartizione delle “materie” e delle competenze. Ed è noto il complicato dibattito dottrinario interpretativo su quei concetti. Comunque, il vuoto formale è colmato. E la Corte Costituzionale ne ha tenuto subito conto (per esempio con le sentenze 303/03 sulla legge nazionale “obiettivo” relativa alle infrastrutture e 307/03 sulle leggi regionali in materia di inquinamento elettromagnetico), probabilmente ancora in modo incerto, contraddittorio, parziale, conseguente anche alla complicata lettura del nuovo titolo V. Rispetto allo stesso nuovo assetto costituzionale nel settore della tutela dell’ambiente vi sono discutibili interpretazioni di nuovo intento centralista o di semplice razionalizzazione dell’esistente; una modifica della prima parte della Costituzione dovrebbe favorire con maggiori coerenze e certezze le “potenzialità” del nuovo titolo V.
    L’ambiente c’è, ormai, nella Costituzione italiana, formale e materiale. Il nostro problema principale sono le politiche ambientali, che non si fanno o si fanno male. Vale la pena toccare la Costituzione se la forma migliora e la sostanza consente di tutelare e valorizzare meglio l’ambiente. Sarebbe importante che docenti ed esperti, associazioni e giornalisti, forze sociali e forze politiche seguissero la vicenda parlamentare in modo non episodico e superficiale. Non ogni testo migliora la Costituzione e le condizioni dell’ambiente in cui viviamo…sarà bene tenerlo presente!
  1. Nella XIV° legislatura presentai una proposta di legge costituzionale di modifica all’articolo 9 della Costituzione in materia di tutela degli ecosistemi e di promozione dello sviluppo sostenibile, depositata il 17 luglio 2003. Fu sottoscritta da circa novanta deputate e deputati di tutti i vari gruppi dell’allora centrosinistra: ds, margherita, udeur, sdi, verdi, comunisti italiani, rifondazione.
    Il testo originale della Costituzione non era certo ottimale, come quello di molte carte coeve. Il riferimento alla tutela del paesaggio, dei beni culturali, della salute è certo stato molto importante, introducendo, anche indirettamente, l’esigenza di salvaguardia delle risorse naturali; tuttavia, ovviamente non per “colpa” della Costituzione, abbiamo dovuto “subire” decenni di inquinamenti, sprechi, dissesti. La stessa giurisprudenza costituzionale è divenuta incisiva solo dopo l’istituzione con legge del Ministero dell’Ambiente nel 1986 e sulla spinta di un movimento ecologista diffuso con associazioni e comitati in tutto il paese. E, non a caso, in molte trascorse legislature in materia di ambiente sono stati depositati sia alla Camera che al Senato testi positivi di modifica costituzionale o si è giunti ad ipotesi interessanti nelle commissioni bicamerali di riforma organica. Sarebbe interessante approfondire in una dimensione comparata la relazione fra Costituzione e diritto dell’ambiente, considerato paradigmatico (in dottrina e storiografia) della stessa evoluzione del costituzionalismo moderno.
    Al testo attuale dell’articolo 9 proposi allora di aggiungere tre commi: “Riconosce e garantisce l’ambiente e gli ecosistemi quali beni inviolabili e valori fondamentali propri e del pianeta. Promuove lo sviluppo sostenibile e garantisce il rispetto delle specie non umane e delle biodiversità. Tutela l’accesso all’acqua quale bene comune pubblico.”
    La formalizzazione di un diritto costituzionale dell’ambiente potrebbe oggi valutare anche le definizioni e gli obiettivi via via introdotti nelle carte di altri paesi e nei trattati comunitari. Non dovremmo “migliorare” un testo del 1948, piuttosto fissare principi validi ora e capaci di futuro. La mia proposta di allora aggiungeva all’attuale articolo 9 formulazioni che completano la “costituzione dell’ambiente” come formale valore costituzionale. Riflettei molto e attentamente su verbi, principi, nozioni, ma non voglio dilungarmi sull’esegesi del testo della proposta di legge 4181.
    Il punto è questo: si doveva e deve cercare una soluzione condivisa, non fossilizzarsi sulle virgole, proporre una ricerca comune aperta verso il contributo “esterno” alle aule parlamentari, definire ipotesi proprie sapendo che la soluzione finale deve essere approvata anche da parlamentari e partiti con i quali NON si governerebbe o governa insieme. Anche l’incontro di oggi va in questa direzione. Indico anche oggi le discriminanti del percorso, tre griglie di lettura, tre tracce di indirizzo politico che consideriamo essenziali per ottenere un buon risultato, qualcosa che “valga” la modifica costituzionale formale:
  • la coerenza fra nuovo articolo 117 e modifica dell’articolo 9 della Costituzione;
  • l’indispensabile costituzionalizzazione del principio dello sviluppo sostenibile;
  • riflessione approfondita e scelte omogenee su altri valori costituzionali connessi.
  1. La prima parte della Costituzione forse dovrebbe riprendere le espressioni utilizzate nell’articolo 117, “ambiente” ed “ecosistema” (possibilmente la seconda al plurale), sanzionandoli come beni inviolabili e fondamentali. Evitiamo la confusione di una differente terminologia, di altri concetti nuovi. Cerchiamo di contribuire alla omogeneità e coerenza della “fonte” primaria, per le leggi del paese e per i casi della vita. Specificando troppo, diventa sempre maggiore il rischio di escludere qualcosa. Privilegerei frasi secche e concise. Rimanderei alla legislazione e alla giurisprudenza “ordinarie” per la definizione delle singole politiche ambientali.
    A partire dagli anni settanta, otto paesi europei della EU hanno via via configurato la tutela ambientale come diritto e principio nei propri testi costituzionali: Svezia 1974, Grecia 1975, Portogallo 1976, Spagna 1978, Olanda 1983, Belgio e Germania 1994, Finlandia 1995. Sulla stessa linea si muovono paesi fuori dalle EU a 15, fra le altre le carte di Svizzera, Ungheria, Norvegia, Polonia, Slovacchia, Slovenia. La Francia ha approvato oltre dieci anni fa il progetto di legge governativo che raggiunge lo stesso risultato e ha previsto l’inserimento nel Preambolo della “Carta dell’ambiente”, allegata come altre grandi carte tipiche dell’ordinamento costituzionale francese (la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 e i diritti economici e sociali già enunciati nel Preambolo del 1946). Noi dobbiamo ovviamente essere fedeli al nostro “contesto” costituzionale, integrando l’articolo 9 e, eventualmente, altri articoli successivi.
  1. È giuridicamente maturo e politicamente indispensabile introdurre un’azione pubblica positiva “oltre” la tutela, quella di promuovere lo sviluppo sostenibile, cioè dare ai posteri la sentenza di eguali o maggiori risorse. Tutelare l’ambiente è un valore in sé; promuovere lo sviluppo sostenibile è condizione e presupposto affinché la tutela sia equa per le attuali e future generazioni. Impone quindi anche doveri e non solo diritti dell’ambiente.
    Sviluppo non è crescita, il termine allude a basi qualitative. Di per sé, il concetto supera l’ortodossia socialdemocratica, richiama equità intergenerazionale (ambientale) e non solo intragenerazionale (sociale). So bene che, nel senso e nella pratica comuni, anche il termine “sviluppo” contiene molti limiti della nozione lineare di “progresso” e delle opinioni sulle neutralità (primazia) dei processi economici. Sostenibile è un aggettivo, viene dopo e forse e magari in coabitazione con altri aggettivi; connota una possibile condizione non un evidente limite dell’attuale sviluppo. Sotto questo punto di vista, noi (centrosinistra, alternativo al centrodestra) dobbiamo sostenere che non va rilanciato lo sviluppo, ma “uno” sviluppo interamente e organicamente “sostenibile”. Comunque, sul piano costituzionale, è ancora possibile sottolineare la fertilità (spinta propulsiva) del concetto di sviluppo sostenibile. Richiede di mettere in discussione l’adeguatezza degli indicatori riassunti nel dato sintetico del PIL al fine di misurare il livello di sviluppo qualitativo e di benessere sociale di una comunità (contabilità ambientale, bilancio partecipativo, agenda XXI, informazione ambientale). Richiede di adottare il principio (giuridico) di precauzione. Non è poco: vuol dire ripensare la storia dopo la rivoluzione industriale, incentrata sul carbone nell’ottocento, sul petrolio nel novecento.
    Allo “sviluppo sostenibile” fa esplicito riferimento la costituzione della Svizzera (1999), al principio di sostenibilità quella greca (2001), ai diritti delle generazioni future la Germania e, fuori Europa, fra le altre Cuba, Argentina, Malawi, Sudan, Venezuela, Georgia, con definizioni tutte approvate negli anni novanta.
    Anche l’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata a Nizza nel dicembre 2000, introduce il principio dello sviluppo sostenibile, riversandosi oggi nella parte seconda del progetto di trattato all’esame della Conferenza intergovernativa. Dire “sviluppo sostenibile” non basta a discriminare in positivo fra centrodestra e centrosinistra in Italia, in Europa, nel mondo. Ma forse, proprio per questo, può diventare un principio costituzionale condiviso. In molte “leggi” dell’ONU (ratificate da Europa e Italia) la nozione è ripresa, definita, articolata. Non possiamo prescinderne.
  1. Il parlamento deve attentamente riflettere sulla necessità di integrare la costituzione con altri “principi” di grande valore sociale e culturale, oggetto di citazione in costituzioni di altri paesi e di proposta anche in Italia, a esempio il diritto all’accesso all’acqua e il diritto delle specie non umane (in un altro articolo, se il 9 risulta meno appropriato). In entrambi i casi citati l’esigenza non è risolta dalla tutela della biodiversità.
    Evito anche in questo caso riferimenti scientifici, filosofici, culturali. L’acqua è già un bene pubblico, gli animali sono già ricompresi nell’ambiente (anche se avesse quella brutta specificazione “naturale”). Il richiamo nella Costituzione potrebbe essere utile ad affermare l’approdo di nuove acquisizioni culturali e di dirompenti conflitti sociali, tanto più dopo la positiva vicenda referendaria e la persistente resistenza del pd. Anche a livello internazionale, sono in realtà pochi i valori bisognosi di nuova protezione “costituzionale”. Noi auspichiamo che il Parlamento italiano ne discuta approfonditamente, valuti la legislazione multilaterale e comparata, ascolti esperti e movimenti che hanno maturato proposte, si orienti in modo consapevole e coerente. Non consideriamo questa esigenza in modo vincolante e assoluto; chiediamo che non venga rimossa, accantonata, rinviata.
  1. Nella stessa XIV° legislatura la discussione raggiunse un notevole avanzamento. Per impedire che l’avvio fosse il nostro testo (il primo a essere stato presentato alla Camera), l’iter partì al Senato e lì fu approvato un testo di riforma dell’articolo 9 che non era una buona base di partenza, piuttosto un inutile peggioramento della Costituzione italiana in materia ambientale. Meglio nessuna integrazione costituzionale che una citazione formale peggiorativa del contesto sostanziale, giuridico e internazionale!
    Erano state depositati quattro disegni di legge, primi firmatari senatori di gruppi del centrodestra e dei verdi. Ne discusse solo la Commissione Affari costituzionali, non fu chiesto il parere di altre commissioni parlamentari, non furono previste audizioni esterne al parlamento. In aula il centrodestra fece esplicito riferimento alla elaborazione di un’unica associazione, la modifica costituzionale fu presentata come una politica ambientale, la discussione degli emendamenti fu rapida e confusa, con una chiusura pregiudiziale all’ascolto e al confronto.
    Il testo approvato il 24 settembre 2003 è il seguente: la Repubblica “tutela l’ambiente naturale, il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. L’italiano era discutibile, con troppi “e”. Si riproponeva il termine “Nazione” da tempo abbandonato negli aggiornamenti costituzionali. La semplice citazione formale dell’”ambiente” era già risolta dal nuovo articolo 117 del titolo V, nella modifica relativa alla ripartizione di competenze tra stato e regioni. L’aggettivo “naturale” è, casomai, riduttivo e restrittivo, sia sul piano giuridico che sul piano sociale, sia sul piano scientifico che sul piano culturale. La giurisprudenza della Corte Costituzionale nei decenni scorsi aveva già affermato e ottenuto molto di più per garantire ai cittadini un diritto all’ambiente. Alla Camera erano state presentate sette differenti proposte di legge sull’articolo (e altre sugli art. 2 e 32), da vari gruppi (ed anche “trasversali”), in un percorso ancora lungo e complesso, viste le particolari procedure delle leggi costituzionali. La discussione alla Camera iniziò in modo migliore, ma poi il Governo intervenne in modo chiuso, invadente e schematico, esaltando il testo del Senato, funzionale alle pessime politiche ordinarie del governo Berlusconi in materia ambientale durante quell’intera legislatura.
  1. In ogni legislatura sono state approvate norme di interesse ambientale, da un trentennio esiste il ministero ed esistono più efficaci controlli ambientali, certo pure la legislazione (non prevalentemente per ragioni di burocrazie e controlli) è divenuta più completa e organica. È cresciuta nel paese una maggiore sensibilità (in parallelo agli inquinamenti, da noi e altrove). Vi sono state legislature più e meglio riformatrici (sicuramente lo fu quella nella quale Nebbia ed altri ecologisti furono eletti in parlamento 1987-1992), altre meno e peggio. La storia normativa dell’ecologia italiana non è fatta solo di elenchi e date delle norme in vigore, in larga parte è ancora da scrivere. Sottolineo tre aspetti da verificare bene.
    1. La coerenza delle singole normative: contesto europeo, obiettivi, strumenti, fondi e, anche, relazione sia con la maggioranza parlamentare che con il ministro e il governo in carica;
    2. L’effettività delle norme rispetto all’attuazione: tempi e coerenza dei decreti attuativi, dinamiche amministrative finanziarie giudiziarie e, anche, relazione con l’attività sia del Ministero dell’ambiente che degli altri ministeri;
    3. L’effettività delle norme rispetto alla qualità concreta della vita dei cittadini e degli ecosistemi “trattati” dalle norme, una questione rilevante spesso sottovalutata che attiene alle caratteristiche proprie delle comunità sociali e biologiche (con entropia e resilienza).
    Suggerisco di impegnarci, con l’ausilio delle riflessioni di Giorgio Nebbia sulla storia dell’ecologia in una ricognizione sul rapporto fra norme giuridiche e situazione biologica, fra evoluzione delle riforme e impatti concreti. Ciò può essere utile anche a esaminare i percorsi avviati di alcuni disegni di legge su come dire no all’ulteriore consumo dei suoli (questione seria, urgente, matura e mai trattata) e sulla riforma della legge del 1991 sulle aree protette (questione possibile ma non urgente, questione attuale ma non ben impostata finora). Il nostro forum può contribuire a questo lavoro di ricognizione sostenendo il lavoro e le proposte già positivamente fatti dai nostri gruppi parlamentari al Senato e alla Camera, nella prospettiva anche di individuare durante la restante finale parte dell’attuale legislatura le priorità di un serio lavoro legislativo (al governo e all’opposizione) nella prossima.