L’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” è la più antica Scuola di sinologia e orientalistica del continente europeo, con una consolidata tradizione di studi nelle lingue, culture e società dell’Europa, dell’Asia, dell’Africa e delle Americhe. L’Orientale rappresenta un importante riferimento di studi e ricerche sulle dinamiche politiche, sociali, istituzionali e culturali della contemporaneità cinese, con ben 30 convenzioni attive con prestigiose università cinesi. Infine è sede dell’Istituto Confucio di Napoli che promuove la conoscenza della lingua e della cultura cinese.

L’intervista è di  Chiara Visconti, Docente di Archeologia e storia dell’arte della Cina e del Giappone

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Quali sono a suo parere, in questo periodo post-pandemico, le principali sfide e i vantaggi della cooperazione accademica con la Cina?

In questo momento la collaborazione accademica con la Cina è ancora fortemente limitata dalle conseguenze della pandemia. Tuttavia, sono numerosi i progetti che possono e devono essere portati avanti. Penso, ad esempio, alla cooperazione lungo i siti delle cosiddette “Vie della seta”, terrestri e marittime, che negli ultimi anni hanno costituito un importante terreno di incontro e di confronto, o all’archeologia subacquea.

Quali sono i principali progetti di collaborazione attivi tra L’Orientale e le Università cinesi nel suo settore di riferimento ? Quali sono i benefici di questa cooperazione ?

Come è naturale aspettarsi, L’Orientale mantiene numerosi rapporti di collaborazione con università cinesi, sia attraverso convenzioni sia attraverso le ricerche dei singoli docenti. Per quanto riguarda il mio settore, quello dell’archeologia e della storia dell’arte, porto avanti una ricerca con la Scuola di Archeologia e Museologia dell’Università di Beijing per la mappatura dell’arte cinese in Italia. Il progetto è destinato a diffondere la conoscenza in Cina di classi di materiali fino ad oggi più studiate in Europa e a favorire nuove prospettive di analisi. Il Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo ha inoltre attivato recentemente una convenzione con la Scuola di Architettura dell’Università di Tianjin per promuovere la cooperazione sullo studio e la valorizzazione del patrimonio architettonico antico. Questi progetti si affiancano a collaborazioni di lungo corso, come quella con l’Istituto di archeologia e l’Università del Nordovest di Xi’an.

Quanto l’apporto delle nuove tecnologie sta influendo nella valorizzazione dei beni culturali e archeologici?

L’apporto delle nuove tecnologie si sta rivelando fondamentale, sia per la comprensione sia per la comunicazione dei siti archeologici. In un’architettura come quella cinese tradizionale, che prevede un largo impiego di materiali deperibili, come il legno, difficilmente si conservano gli alzati delle strutture e la lettura dei resti archeologi è ardua per i non addetti ai lavori. L’uso del rendering 3D e della realtà aumentata è in questo un valido strumento di comunicazione, che consente di non ricorrere a restauri invasivi.

In questo periodo segnato dalla pandemia, inoltre, sono stati attivati numerosi percorsi virtuali per mostre e musei, che hanno reso accessibili da remoto eventi a cui non sarebbe stato possibile partecipare.

Quali sono le principali i differenze nell’approccio alla conservazione e alla valorizzazione dei beni archeologici tra i ricercatori italiani e cinesi?

Fare un paragone tra i due approcci è difficile. La Cina si è trovata ad affrontare negli ultimi trent’anni numerose sfide per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio archeologico e culturale: il progresso industriale, l’urbanizzazione, la creazione di grandi opere pubbliche sono state e sono ancora una costante minaccia per la tutela del bene culturale. Negli anni sono state sperimentate diverse proposte, nel tentativo di salvaguardare e, allo stesso tempo, comunicare efficacemente i siti archeologici: dalla ricostruzione alla costituzione di grandi parchi tematici. L’utilizzo di nuove tecnologie sta sicuramente segnando un nuovo tipo di approccio e un terreno fecondo su cui impostare la cooperazione tra Italia e Cina.