La Fondazione Italia Cina nasce a Milano nel 2003 con l’obiettivo di migliorare l’immagine e le modalità della presenza dell’Italia in Cina e per realizzare un diverso posizionamento strategico-commerciale del Paese. Attraverso l’ampliamento qualitativo e quantitativo della base associativa, la Fondazione intende rappresentare il settore imprenditoriale italiano con riferimento alla Cina e fare leva sulla propria posizione rappresentativa per sostenere gli interessi dell’imprenditorialità italiana nei confronti delle istituzioni italiane e cinesi. La recente adesione di imprese cinesi in Italia ha reso oggi bilaterale la missione della Fondazione: non solo al servizio delle imprese italiane in Cina ma anche un riferimento per le imprese cinesi che hanno investito o sono interessate all’Italia. La valorizzazione della presenza italiana in Cina è supportata dalla promozione di eventi ed attività formative, culturali, economiche e scientifiche, così da presentare l’Italia come “Sistema Paese”.

L’intervista è di Mario Boselli, Presidente della Fondazione Italia Cina

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È diventato presidente della Fondazione Italia Cina in un periodo molto particolare. Quali sono gli obiettivi della Fondazione alla luce dei nuovi scenari dettati dalla pandemia?

L’emergenza da Coronavirus ha sicuramente stravolto la vita e il lavoro di tutti ma questa pandemia non ha cambiato i nostri obiettivi e anzi ci spinge a fare di più e meglio per rilanciare le nostre attività. In questi tempi difficili la strategia che vogliamo portare avanti è quella della collaborazione e non della competizione. Come da tradizione, la Fondazione continuerà ad essere un ponte tra le istituzioni italiane, gli attori pubblici e privati attivi nell’ambito dei rapporti italo-cinesi e la Cina stessa. Lo spirito deve essere sempre quello di cogliere le opportunità e non fermarsi davanti ai problemi. In questa ottica, spero di poter dare un contributo valido grazie anche alla mia quarantennale presenza in Cina con diversi ruoli e responsabilità, e al mio incarico di Presidente dell’Istituto Italo Cinese. Questo doppio ruolo mi aiuterà a gestire nel migliore dei modi le relazioni ai vari livelli con gli interlocutori della Repubblica Popolare Cinese e, spero, a realizzare un’unica regia nell’ambito dei rapporti tra i nostri due Paesi.

Il 2020 si era aperto con l’inaugurazione dell’Anno Italia-Cina del Turismo, settore tra i più toccati dall’emergenza sanitaria. Cosa consiglierebbe agli operatori di questo settore considerando anche il vasto patrimonio culturale dei nostri paesi con radici profondissime?

La crisi provocata dalla pandemia ha colpito duramente tutti i settori, ma certo il turismo è uno di quelli messi maggiormente a dura prova. Il 2020 sarebbe dovuto essere un anno speciale nell’ambito dei rapporti tra Italia e

Cina, ma così non potrà essere. Il problema al momento è legato alla logistica e ai trasporti, perché finché non ripartiranno i voli i turisti non potranno arrivare. Quello che sicuramente si può fare fino a quel momento è mantenere attivi il più possibile i canali promozionali verso la Cina perché appena l’emergenza sarà passata, tante persone avranno voglia di venire nel nostro Paese. Come nel dopoguerra, anche dopo una pandemia c’è

molta voglia di riscatto. Nell’attesa che questo succeda si potrebbe, per esempio, valorizzare l’asse Italia-Cina puntando sulle mostre di beni culturali cinesi in Italia e italiani in Cina: sarebbe un modo per cominciare a far conoscere le nostre bellezze, in modo che i turisti possano vederle di persona appena possibile. Facciamo viaggiare le testimonianze delle culture in attesa che possano viaggiare di nuovo gli individui.

La Cina ha investito moltissimo in ricerca e sviluppo in tutti questi anni, diventando un paese leader nella tecnologia. Quali sono oggi a suo parere i settori di maggiore interesse per l’Italia nel mercato cinese che vede oggi una grande richiesta di innovazione?

Da oltre dieci anni parlo delle “tre F”: Food, Fashion e Furniture. Sono convinto che siano loro il core business su cui l’Italia ha una strada già aperta e su cui deve puntare. Ma sono anche consapevole che il campo dove si

gioca la più importante partita tra le potenze economiche è quello della tecnologia e dell’innovazione. Il primato tecnologico non è, e non sarà più, solo occidentale. Per questo dobbiamo investire in ricerca e sviluppo, ci serve una prospettiva per i prossimi anni in modo da non erodere il patrimonio italiano di creatività e tecnologia fin qui costruito. I settori sono numerosi, dalla meccatronica ai macchinari, dall’aerospazio alla farmaceutica.

Sono circa 900 gli accordi già in essere tra le nostre università e quelle cinesi e sono 120 i docenti italiani impegnati in università cinesi. Questo rappresenta la base della nostra cooperazione culturale, scientifica ed economica, anche per il futuro. Crede che le difficoltà di spostamento dei prossimi mesi possano affievolire questi rapporti? Cosa fare, invece, per renderli ancora più solidi?

Nel breve periodo temo di sì, è inevitabile. Ma certo non si perderà quanto costruito fino ad ora perché le basi di questa cooperazione resteranno e non appena possibile si potrà realizzare integralmente quanto stabilito in questi accordi. Anzi, resto convinto che su questi se ne costruiranno di nuovi, sempre grazie alla spinta psicologica che dà la ripartenza dopo un’esperienza drammatica come quella della pandemia. Il mio consiglio è quello di mantenere vivi questi rapporti anche a distanza, in attesa della ripresa che arriverà e su cui dovremo lavorare tutti insieme.