L’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (CNR-ISPC), nato dalla fusione di IBAM (Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali), ICVBC (Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali), ISMA (Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico) e ITABC (Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali), ha come obiettivo principale il potenziamento e l’innovazione delle linee di ricerca esistenti, predilige le dimensioni multi e interdisciplinari degli approcci scientifici nell’ambito del complesso e diversificato settore dei Beni Culturali. È dedito all’Heritage Science, ovvero allo studio dei metodi per conoscere, conservare, valorizzare e divulgare il Patrimonio Culturale.

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L’intervista è di Nicola Masini Direttore di Ricerca dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC) del CNR di Potenza e Docente di Fondamenti di Restauro presso la Scuola di Architettura di Matera dell’Università della Basilicata

 

Lei collabora da tempo con istituzioni scientifiche in materia di ricerca archeologica; ha diretto anche alcune missioni come quelle dei siti archeologici di Luoyang e di Kaifeng nella provincia dell’Henan, quali sono i principali risultati ottenuti in materia di ricerca con i colleghi cinesi?

Tra la Chinese Academy of Sciences (CAS) e altre istituzioni di ricerca ad essa collegate e il CNR (ISPC, già IBAM) e IMAA (Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale) si è sviluppata un’importante cooperazione, nata nel 2012, grazie ad un progetto bilaterale di grande rilevanza finanziato dal MAE, che ha portato ad importanti risultati dal punto di vista scientifico, tecnologico e formativo. In questi anni, io e la Dott.ssa Rosa Lasaponara dirigente di ricerca del CNR-IMAA, abbiamo contribuito alla creazione di un laboratorio congiunto e alla formazione di un gruppo di giovani e brillanti ricercatori che lavorano prevalentemente nel campo delle tecnologie di osservazione della terra applicate all’archeologia e alla gestione e valorizzazione del patrimonio culturale. È stato un rapporto molto fruttuoso perché ha consentito di complementare le nostre competenze, contaminare idee e avviare nuove linee di ricerca nel campo delle tecnologie digitali, delle metodologie di remote sensing e dell’intelligenza artificiale per lo studio del passato umano e per la gestione sostenibile del patrimonio culturale. Abbiamo lavorato prevalentemente nella provincia dell’Henan, considerata la culla della civiltà cinese, su alcuni progetti archeologici, basati sull’applicazione del telerilevamento e della geofisica, riguardanti due delle sette antiche capitali della Cina, Luoyang e Kaifeng, con particolare riferimento alle epoche Han (206 a.C-220 d.C), Sui (581-618) e Tang (618-907). È stata un’esperienza eccitante, sia per i risultati scientifici ottenuti, che per la capacità di trasformare gli esiti della ricerca in fruizione e, nel caso, di Kaifeng, musealizzazione dei siti indagati.

Quali sono, invece, i principali progetti di ricerca attualmente attivi tra il CNR-ISPC e la Cina? Come state proseguendo questa cooperazione in questo periodo di emergenza sanitaria?

Il risultato di questa pluriennale cooperazione è l’istituzione di un Centro di eccellenza Sino-Italiano di Remote Sensing per l’Archeologia con una sede in Cina presso il CAS (Chinese Academy of Sciences) di Pechino e una in Italia presso il CNR-IMAA di Potenza.

L’attività di ricerca sul campo ha riguardato lo studio di siti di interesse archeologico in Italia e in Tunisia, utilizzando e confrontando dati satellitari dell’ESA (Sentinel 1 e 2), dell’ASI (Cosmo Sky Med) e dell’Agenzia spaziale cinese (Gaofen). In Cina, la cooperazione si è incentrata sulla Via della Seta e, in particolare, sull’individuazione di tratti sepolti e percorsi viari perduti nella regione del Xinjiang, utilizzando principalmente tecnologie SAR da satellite.

Durante questa emergenza sanitaria vi è stata una costante, sincera partecipazione e condivisione delle reciproche preoccupazioni per il futuro dei nostri Paesi. L’auspicio e la speranza di riprendere i progetti e le campagne di indagine interrotte, hanno contribuito a tenere viva la nostra collaborazione che è continuata da remoto con diversi incontri in streaming e articoli scientifici in corso di pubblicazione.

Quali sono oggi i nuovi traguardi della ricerca archeologica nel Suo campo con le nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale?

Big Data, Analytics e Intelligenza artificiale sono alcune tra le evoluzioni più profonde e pervasive del mondo digitale degli ultimi anni. Le potenzialità di utilizzo per migliorare la conoscenza e la gestione dei beni culturali sono ancora poco note e scarsamente sfruttate.

Rimanendo sul focus della domanda, gli archeologi oggi hanno una crescente disponibilità di dati; ma la semplice raccolta di dati senza una corretta analisi non produce alcun risultato. A tal fine, è necessario rendere sinergiche le diverse tecnologie e sviluppare strumenti e piattaforme di connessione tra Big Data e Intelligenza Artificiale per trasformare i Big Data in informazioni capaci, ad esempio, di predire le potenzialità archeologiche di un territorio o aiutare a comprendere il rapporto tra frequentazione umana, cambi ambientali e climatici; in definitiva, rendere l’archeologia uno strumento di conoscenza della nostra identità storica e di proiezione nella progettazione del nostro futuro. Il remote sensing, essendo nato per mappare, osservare e studiare l’ambiente fisico, ha straordinarie opportunità di crescita proprio in campo archeologico attraverso l’intelligenza artificiale.

Non ci dimentichiamo, però, che le Intelligenze Artificiali non sono “intelligenti”, ovvero non hanno quella capacità tipica dell’intelligenza umana di affrontare e risolvere con successo situazioni e problemi nuovi o sconosciuti, di attribuire un conveniente significato pratico o concettuale ai vari momenti dell’esperienza umana.

Serve, quindi, un’alleanza ‘sinergica’ tra chi lavora nello sviluppo degli algoritmi e chi li deve utilizzare per accrescere la conoscenza del passato umano, tra chi sviluppa strumenti in grado di svolgere alla perfezione determinati compiti e chi è preposto a validare, finalizzare, alimentare quei meccanismi di auto apprendimento attraverso i quali l’intelligenza artificiale può davvero essere intelligente.

Nel 2016 è stato insignito dal CAS (Chinese Academy of Science) del President’s International Fellowship Initiative (PIFI), un programma di finanziamento specifico rivolto ai talenti stranieri per scambi scientifici e cooperazione di ricerca. Quali ritiene essere le principali differenze circa i metodi di approccio alla conservazione dei beni archeologici tra l’Italia e la Cina? Come possiamo imparare l’uno dall’altro?

In Cina vi è una grande attenzione alle tecnologie e ai nuovi materiali per la conservazione. Tuttavia non hanno quell’approccio filologico tipico delle culture occidentali più attente alla conservazione della ‘materia autentica’ del bene culturale, per dirla alla Cesare Brandi.  Ciò, probabilmente, è dovuto anche al fatto che gran parte dei materiali costruttivi tradizionali (mi riferisco al patrimonio architettonico) sono costituiti da legno e/o terra cruda molto più deperibili della pietra, più utilizzata nell’architettura occidentale. Naturalmente, i crescenti scambi scientifici in questo settore stanno portando ad una revisione del loro modus operandi più allineato con quello degli europei. Dei cinesi ho apprezzato il grande entusiasmo, il pragmatismo e la loro velocità nel trasformare la conoscenza in concreti progetti di valorizzazione. Ne è prova il fatto che la Cina, in appena 35 anni, da quando (1985) ha accettato la Convenzione UNESCO per i Beni dell’Umanità, ha raggiunto l’Italia nella classifica tra i paesi con il maggior numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità.

Vinta questa sfida, la Cina ha capito che la salvaguardia del patrimonio culturale non è solo un modo per trasformare dei beni (culturali) in risorse (economiche), ma anche uno straordinario mezzo per ricostruire un’identità culturale in parte perduta nel ‘900.