L’Università degli Studi di Milano-Bicocca è un ateneo pubblico di recente costituzione, fondato a Milano nel 1998. L’Università di Milano-Bicocca è un Ateneo multidisciplinare, che forma professionisti in diversi campi, con un programma didattico che offre 32 corsi di Laurea, 34 corsi di Laurea Magistrale, 5 corsi di Laurea Magistrale a ciclo unico e 16 dottorati di ricerca suddivisi in 7 aree disciplinari: Scienze Matematiche-Fisiche e Naturali, Medicina, Economia e Statistica, Giurisprudenza, Sociologia, Psicologia e Scienze della Formazione. L’Università offre anche 31 scuole di specializzazione di cui 6 di area chirurgica, 14 di area medica, 9 di area dei servizi clinici e 2 di area psicologica. L’Università assume un ruolo di leadership nella didattica e nella ricerca a livello internazionale, facendosi parte attiva di una rete di Atenei ed Enti di ricerca europei ed extra europei, con l’obiettivo di offrire agli studenti e ai docenti le condizioni ottimali per accedere a tutte le opportunità del mondo globale.

L’intervista a Pietro Invernizzi, Professore presso la Bicocca School of Medicine, Università degli Studi di Milano-Bicocca

invernizzi

Come sono nate le collaborazioni tra Scuola di Medicina dell’Università di Milano-Bicocca e le istituzioni cinesi, in particolare con la Jiao Tong University (JTU) di Shanghai? Quali sono le principali attività di cooperazione e di scambio di conoscenze?

Ho iniziato a collaborare con gruppi ed istituzioni in Cina nel 2005. Ricordo che fui io a contattare dei colleghi della Seconda Università Medica Militare di Guangzhou (allora una istituzione cinese molto famosa per le loro recenti scoperte sulla SARS) che avevano da poco pubblicato un piccolo studio sui fattori genetici di una malattia autoimmune delle vie biliari, la colangite biliare primitiva, di cui già mi occupavo molto. Mi interessava collaborare con gruppi cinesi interessati a questa malattia per capire se i pazienti asiatici avessero caratteristiche diverse rispetto a quelli di origini caucasiche. Dopo meno di un anno i medici della “Guangdong Liver Association” mi hanno invitato ad un loro meeting dedicato alle malattie autoimmuni del fegato, tema che allora conoscevano molto poco e al quale potevamo contribuire. Da allora è stato un crescendo di incontri e di aperture di collaborazioni con un numero sempre maggiore di gruppi cinesi in tante province. In pochi anni ho visto gruppi cinesi diventare grandi esperti di queste malattie rare del fegato, con casistiche diventate enormi rispetto a tanti centri europei e nord americani. Diversi giovani ricercatori cinesi hanno lavorato con il mio gruppo a Milano per periodi variabili da 6 a 18 mesi, e appena prima della pandemia COVID19 i primi due studenti italiani hanno trascorso alcuni mesi in Cina.

Tra queste diverse collaborazioni, quella con il Professor Ma Xiong, gastroenterologo della Jiao Tong University di Shanghai è sicuramente diventata la nostra principale collaborazione con la Cina, con un numero crescente di studi scientifici condotti e pubblicati insieme, di meetings scientifici organizzati congiuntamente sia in Italia (Sino-Italian Liver meetings) che in Cina, e tanto altro. Le interazioni e la stima reciproca sono cresciute a tal punto che a fine 2019 sono stati finalizzati alcuni accordi ufficiali tra le Schools of Medicine della Università di Milano-Bicocca e della Jiao Tong University. Tra questi accordi c’era anche quello relativo alla istituzione di un “joint lab” su “Liver Immunology” tra il mio gruppo e quello del collega Ma Xiong. La pandemia da COVID19 ha momentaneamente rallentato le nostre interazioni, ma appena potremo, riprenderemo a lavorare insieme con ancora più vigore e determinazione per capire il perché vengono certe malattie del fegato, a sviluppare nuovi biomarcatori, ed anche nuove terapie. I loro giovani sono molto interessati a venire a studiare ed a fare ricerca in Italia, così come molti nostri giovani vogliono andare in Cina attratti da un ambiente molto vivace, dinamico, e ricco di risorse.

Quali sono stati i principali benefici e i risultati di questa collaborazione italo-cinese in campo gastroenterologico?

Come dicevo, la possibilità di studiare le stesse malattie in popolazioni molto distanti sia da un punto di vista geografico ma anche ambientale (alimentazione, stili di vita, etc) e genetico ci aiuta a capire meglio il perché si sviluppano.

L’approccio alla medicina è spesso molto diverso tra Italia e Cina, soprattutto quando si pensa alla medicina tradizionale cinese. Quali punti di interesse comune avete trovato nella ricerca clinica in gastroenterologia?

Non sono un esperto di medicine “alternative” ma ho cercato di capire che spazio e ruolo avesse quella tradizionale cinese in Cina e se potesse darci insegnamenti anche per il nostro paese. La maggior parte dei colleghi cinesi mi hanno confermato che l’utilizzo della medicina tradizionale rimane la scelta principale per molti cinesi nelle zone rurali. Mentre nelle zone urbanizzate e più sviluppate della Cina, spesso tanti decidono di non utilizzarla.

Come in passato si è attinto ad altre “medicine tradizionali” (i.e. quella europea coltivata per secoli in ambito conventuale da monaci ed altri religiosi) per sviluppare nuovi farmaci partendo da sostanze naturali, appena possibile abbiamo in programma di testare scientificamente presso il nostro “joint lab” a Shanghai i principi attivi della medicina tradizionale cinese.

Con la pandemia da covid19, abbiamo capito quanto è importante la cooperazione internazionale in materia di prevenzione e di ricerca per sconfiggere problematiche che sono di fatto globali. Quali sono le sfide da affrontare assieme nel suo campo di riferimento?

L’anno scorso, durante la prima ondata della pandemia, avendo un rapporto con istituzioni cinesi, ho organizzato, anche con il prezioso aiuto della nostra ambasciata a Pechino e il Consolato a Shanghai, un incontro tra il mio ospedale a Monza ed altri ospedali cinesi colpiti poco prima dalla stessa infezione. È stato un confronto molto utile per capire come affrontare nel modo migliore l’infezione, sia da un punto di vista medico ma anche organizzativo. Penso che dovrebbero rimanere aperti questi canali di dialogo e confronto perché solo lavorando insieme ed unendo le risorse potremo vincere le sfide che abbiamo ed avremo nel futuro.